“Prendetevi cura della vostra anima” (Cerf), di Jean-Guilhem Xerri, ha appena ricevuto il Prix 2019 de Littérature Religieuse, la cui giuria è il sindacato delle librerie di letteratura religiosa. L’autore, psicanalista e medico biologo, vi fa una diagnosi delle nostre anime. Appoggiandosi su raccomandazioni dei Padri del deserto, ci invita vivamente a (ri)scoprire la nostra interiorità, invece di lasciarla allo stato brado, e a coltivare la sobrietà, rimedio ai grandi mali di questo secolo.
La nostra interiorità soffre, e lo manifesta con differenti segnali: il crescente numero dei disturbi ansio-depressivi, dipendenze che affliggono soggetti sempre più giovani, ultraconsumismo nei rapporti, violenze, iperattività. Come siamo arrivati a questo punto? Jean-Guilhem Xerri, psicanalista e medico biologo, già membro dello staff degli ospedali di Parigi e diplomato all’Institut Pasteur, affronta l’argomento e lo tratta con rigore e autorevolezza nel suo libro Prenez soin de votre âme [Prendetevi cura della vostra anima, N.d.T.], pubblicato dalle edizioni Cerf.
L’autore denuncia la concezione attualmente dominante dell’essere umano, cioè nient’altro che una riduzione naturalista e materialista dell’uomo, che nega totalmente la sua dimensione spirituale. Ora, negare questa dimensione significa amputare l’uomo di una parte di sé stesso. Partendo da qui, l’autore si chiede: «Quale alternativa si offre a noi, oltre al bivio fra la depressione e l’ultraconsumismo con cui colmiamo il vuoto?».
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Al fine di provare che la salute psichica dell’uomo dipende dalla qualità della sua vita spirituale, Jean-Guilhem Xerri si fonda sugli insegnamenti ereditati dai Padri del deserto. Fuggendo l’agitazione del mondo fin dai primi secoli del cristianesimo, quei saggi hanno vissuto da eremiti e così hanno fatto esperienza della sobrietà, esercizio che oggi risulterebbe benefico – diciamo pure vitale – per le nostre anime malconce.
L’uomo, un vivente come gli altri?
L’autore parte dalla constatazione che la società attuale va male: le crisi – economiche, sociali, politiche, ecologiche – si moltiplicano, la sofferenza psicologica esplode, la vita spirituale è disdegnata se non abbandonata a vantaggio dell’ultraconsumismo. E se fossero tutti fenomeni collegati? Se il fatto di aver messo in cantina Dio e la religione avesse conseguenze nefaste sul nostro stile di vita e sulla nostra salute mentale? Se la definizione naturalista e materialista che abbiamo oggi dell’uomo avesse ripercussioni sulla nostra maniera di vivere?
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È quanto dimostra Jean-Guilhem Xerri ripercorrendo la storia della filosofia attraverso i secoli, nonché l’evoluzione della visione dell’uomo. Nell’Antichità, Aristotele affermava che l’uomo è un animale razionale, che è fatto di animalità e razionalità, di un corpo e di un’anima uniti in un sinolo. In epoca moderna, il pensiero cartesiano, dualista, introduce una distinzione fra anima e corpo. L’uomo non è un animale poiché è dotato di un’anima, e il suo corpo è una macchina. Nei secoli XIX e XX, lo strutturalismo fa dell’uomo un oggetto di scienza. Egli non ha più un’essenza propria: non esiste in quanto tale ma sempre per le relazioni che lo uniscono agli altri. Viene sezionato e osservato rispetto ai suoi comportamenti, alla sua cultura, alla sua psicologia, alle sue motivazioni eccetera.
Alla fine del XX secolo, con l’avvento della genetica e delle neuroscienze, l’uomo – questa è la concezione oggi predominante – è considerato un vivente come gli altri. Assistiamo a un fenomeno di naturalizzazione, di biologizzazione di tutto il suo essere. Secondo l’autore, questa visione naturalista e materialista dell’uomo è la causa di un malessere crescente. Negare la dimensione spirituale dell’uomo significa amputare una sua parte. La società riduce l’uomo ai suoi soli aspetti biologici e psicologici.
Questa perdita di consistenza ferisce l’uomo, forse anche mortalmente. Lo strutturalismo di ieri e il neuro-essenzialismo di oggi assicurano questo masochistico lavoro di decostruzione dell’uomo e della sua interiorità.
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Depressioni, dipendenze, iperattività, ultraconsumismo… sarebbero altrettante manifestazioni della sofferenza del nostro essere mutilato della sua dimensione spirituale. Diventa quindi urgente prendersi cura della propria anima, scoprendo gli insegnamenti che ci hanno lasciato i Padri del deserto.
L’insegnamento dei Padri del deserto
I Padri del deserto furono dei cristiani che vivevano nei deserti di Mesopotamia, Egitto, Siria e Palestina fra il III e il VII secolo. Vivevano da eremiti in capanne, grotte o – più raramente – in cima ad alberi o colonne. Cercavano una vita di solitudine, di lavoro manuale, di contemplazione e di silenzio, con lo scopo di crescere spiritualmente. Molto presto, si formarono delle colonie monastiche e da ogni dove si accorreva a chiedere consiglio a quegli uomini sapienti.
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Dalla loro inedita esperienza sono stati tratti gli apoftegmi dei Padri del deserto, insieme di conversazioni o di racconti redatti dai monaci, ove venivano scandite le grandi leggi della vita interiore. Giovanni Paolo II li considerava
come un invito a riscoprire nella vacuità della moderna società, delle solitudini creatrici in cui ci si possa impegnare risolutamente sulla via della ricerca della verità, senza maschere né alibi né finzioni.
Possiamo ritenere due grandi insegnamenti dei Padri del deserto: anzitutto, ogni uomo è incompiuto alla nascita ed è chiamato a far “avvenire la propria umanità” – la vita spirituale è la fonte del suo divenire; in secondo luogo, tutto l’uomo è costituito di tre dimensioni, distinte nell’unità – corpo, anima e spirito. Forti della convinzione dell’intima unione tra piani fisico, psichico e spirituale, i Padri del deserto – in qualche modo i primi psicoterapeuti – hanno elaborato raccomandazioni di bruciante attualità per curare le “malattie dell’anima”. Tra queste si trova l’esercizio della sobrietà.
La sobrietà per guarire la propria anima
Per spiegare quale sia la funzione della sobrietà, Jean-Guilhem Xerri prende a prestito la metafora dello scultore:
Per creare la sua opera, nulla lo scultore aggiunge alla materia, al contrario ne toglie quanto è di troppo per rivelare ciò che già stava lì, per far emergere il fondo rompendo l’apparenza della forma bruta. Allo stesso modo anche noi siamo invitati a semplificarci perché appaia quel che già è in noi, per aiutare il nostro essere interiore a venire in superficie.
Prendersi cura della propria anima esercitando la sobrietà significa togliere il superfluo, significa accontentarsi di quanto basta, della giusta misura; significa tenersi lontani da quanto potrebbe perturbare l’anima e rompere l’equilibrio fra anima e corpo. Sussiste oggi una pletora di perturbatori della nostra interiorità: il rumore, le immagini, la pubblicità, la sovrabbondanza materiale, l’erotizzazione, la dittatura della reperibilità permanente eccetera… Stando così le cose, abbracciare la sobrietà necessita una vera decisione. E a questa Jean-Guilhem Xerri ci incita vivamente:
Questo stile di vita non è riservato ad alcuni asceti o ai soli monaci, bensì è divenuto un’imperiosa necessità, tanto per l’ecologia ambientale quanto per le nostre ecologie interiori.
Papa Francesco ci chiamava già a una “sobrietà felice” nella sua enciclica Laudato si’. La sobrietà vissuta con libertà e in maniera cosciente è liberatrice: essa aumenta la libertà per quello che la vita ha di bello e di profondo.
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In maniera molto concreta, Jean-Guilhem Xerri ci invita a rivoluzionare i nostri stili di vita, mettendoci più lentezza, silenzio e continuità. Per esempio, non fare che una sola cosa per volta, non interrompere un’azione, accordare al nostro cervello dei momenti di riposo nelle fasi di transizione, invece di buttarci sullo smartphone; rallentare i passi, imparare a dire no alle stimolazioni eccessive, consumare il giusto necessario, differire gli acquisti compulsivi; restituire al lavoro il giusto posto, ascoltare il silenzio nella propria camera eccetera.
Alcuni prenderanno il libro come una moda fricchettona, altri diranno che propone lussi che non possiamo permetterci, altri ancora che bisogna stare al passo coi tempi. Ecco, appunto: se vogliamo vivere, facciamo la scelta della sobrietà – per le nostre anime malconce, è divenuta una necessità vitale.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]