Cercare la distanza corretta può essere complesso, ma tra ferite e temperamento a volte è difficile trovare l’equilibriodi Sophie Lutz
Un giorno stavo parlando con una coppia della possibilità che sorgessero disaccordi tra loro. Lui si è affrettato a dire: “Non metterai neanche un foglio tra me e lei!” Ha difeso la loro unità, col rischio di rifiutare le differenze.
Domanda sensibile, quella sulla distanza tra due persone che si amano! Parlare della distanza può preoccupare chi ha sperimentato abbandono, separazione o rottura. Capita a molta gente. Mantenere o stabilire una distanza spaventa quelle persone, perché associano quella parola al timore di essere rifiutati o di suscitare indifferenza, il che ferisce.
Curare le ferite
Di fronte a questa paura, si oscilla tra due atteggiamenti protettivi paradossali: tenere l’altro a distanza, credendo così di evitare una nuova ferita e allo stesso tempo, senza volerlo, provocandola di nuovo, o soffocare l’altro essendo possessivi fino all’estremo per paura di esserlo. Questi comportamenti sono difficili da riconoscere e correggere, perché richiederebbe che la ferita si disinfetti in qualche modo. Questa guarigione avviene in molto tempo, richiede un dialogo paziente, umiltà, magari perdono, a volte un accompagnamento.
La questione della giusta distanza potrebbe essere ben definita la questione della giusta vicinanza. Ci sono distanze che presuppongono dubbi, paura o mancanza di coraggio per dialogare, o una sensazione di asfissia di fronte a un coniuge troppo possessivo.
Ad esempio, cosa mi porta a preferire gli schermi, il lavoro o perfino la religione alla compagnia dell’altro? Questo atteggiamento è il mio modo di evitare un’intimità che può turbare, un conflitto o la mia impotenza di fronte a un problema? Quando non so come uscire da questi schemi incisi così profondamente in me o nell’altro, mi chiedo se ho bisogno di aiuto psicologico, mediazione o accompagnamento matrimoniale?
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Piccoli esercizi quotidiani
E ci sono distanze che sono vicinanze! La scelta di portare alla luce (magari anche da un terapeuta) le proprie mancanze emotive, per far sì che non esauriscano (troppo) il partner, è una forma di distanza, che può liberare entrambi. Rinunciando ad essere legati dalle nostre ferite, ci avviciniamo all’altro in modo diverso: ciascuno esce da se stesso per conoscere l’altro com’è, e non come quello che deve curare le mie ferite.
Scegliete di permettere che l’altro sia se stesso, non interferite nel suo viaggio interiore, rispettate la sua libertà di avvicinarsi senza essere forzato, rinunciate ad essere possessivi, a soffocare l’altro. Lasciatelo esprimere o avere un’iniziativa personale. Tanti piccoli esercizi quotidiani, che non hanno niente a che vedere con freddezza o indifferenza, ma al contrario comportano un interesse reale per la persona complessa con cui viviamo e per la persona complessa che siamo.
Mi piace questa frase di un uomo sposato da molto tempo: “Cerco di rispettare la distanza necessaria per far sì che ci cerchiamo”. Una distanza elastica che non perde il contatto rale. Un contatto aperto a sorprese, differenze e cambiamenti.