Gustiamoci a fondo questa esortazione così ricca, scritta per noi donne in occasione del Giubileo del 2000 dall’allora Arcivescovo di Ferrara, il compianto Carlo Caffarra. Per comprendere e promuovere davvero la donna e i tempi difficili e fecondi che stiamo attraversando, occorre che torniamo alla sua origine, attraversiamo la sua degradazione causata dal peccato e giungiamo alla sua, alla nostra piena trasfigurazione in Cristo, per mezzo di Maria.Carissime,
è da molto tempo che desideravo scrivervi. Il Giubileo 2000 ed in particolare la solennità dell’Annunciazione del Signore, in cui vogliamo celebrare il giubileo della donna, me ne offre l’occasione. Mi rivolgo direttamente solo a voi donne credenti in Cristo, ma vorrei che queste mie semplici riflessioni raggiungessero anche quelle donne che non sono credenti.
La verità originaria della donna: Adamo – Eva
…gli voglio fare un aiuto che gli sia simile. (Gen. 2,18)
1. Forse nel corso della storia umana mai la donna ha dovuto affrontare tante sfide, mai è stata così radicalmente provocata a porsi il problema della sua identità. In una tale condizione la prima esigenza è di interrogarci, carissime sorelle, sulla verità della nostra persona. Solo la consapevolezza della propria identità offre alla persona criteri veri di giudizio e di discernimento nelle varie situazioni. Questo primo capitolo della lettera vuole darvi un aiuto per scoprire voi stesse.
Noi possiamo sapere la verità sulla donna leggendo e meditando con grande attenzione la pagina che descrive la sua creazione: Genesi 2,16-25. Nell’atto creativo si manifesta il progetto del Creatore, e la verità della creatura è il pensiero di Dio nei suoi confronti: ciò che Dio ha pensato di essa.
La pagina biblica è particolarmente significativa perché dice esplicitamente quale è stato il motivo che ha spinto Dio a creare la donna: “non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (v.18). In queste parole è racchiuso tutto il mistero della persona umana-donna.
L’esistenza della donna è richiesta perché l’umanità della persona raggiunga la sua bontà, la pienezza cioè del suo essere [“non è bene che …”], in quanto solo la donna rende possibile quella comunione delle persone che le fa uscire dalla solitudine. Desidero fermarmi un poco su questo significato delle parole bibliche.
La solitudine di cui parla il testo biblico non è da intendersi in primo luogo in senso negativo. Essa significa l’assoluta originalità della persona umana nell’universo creato. La persona umana posta di fronte agli animali [vv. 19-20], si percepisce completamente diversa e dotata di una vera e propria superiorità nei loro confronti. Nel confronto con gli animali la persona umana prende coscienza della sua superiorità, che cioè non può essere messa alla pari con nessun’altra specie di essere vivente sulla terra. L’uomo è “solo” perché è essenzialmente diverso dal mondo visibile in cui è collocato. La solitudine connota la sua suprema dignità.
Perché allora il testo biblico dice “non è bene che …”? La solitudine qui assume anche una qualificazione negativa: la persona umana ha bisogno di “comunicare” con un’altra persona umana. Questo bisogno, questa esigenza può essere soddisfatta solo nell’incontro con un’altra persona: si esige il superamento della solitudine, e nello stesso tempo in questo superamento si afferma la dignità unica della persona.
La creazione della donna è la risposta a questo bisogno: ella è creata perché si renda possibile la comunione fra le persone. La verità quindi della donna e la ragione, il significato del suo esserci possono essere racchiusi in due affermazioni fondamentali.
La prima: la donna è una persona umana pari nella dignità alla persona umana-uomo, perché partecipe della sua stessa natura: il test cui viene sottoposto l’uomo nel confronto cogli animali doveva preparare questo avvenimento nell’universo: la creazione di un essere che è come l’uomo.
La seconda: la donna è una persona umana diversa dall’uomo; è a causa di questa diversità che l’uomo esce dalla sua solitudine e si costituisce la comunione delle persone. In sostanza. L’umanità di realizza in due modalità di uguale dignità, ma diverse nella loro interiore configurazione: la mascolinità e la femminilità. Possiamo dunque dire che la solitudine dell’uomo di cui parla il testo biblico, non significa solamente la scoperta che la persona fa di essere diversa da – superiore ad ogni altro vivente, ma anche la scoperta della sua vocazione ad essere con un’altra persona. E quindi nasce il desiderio, l’attesa di una “comunione delle persone”.
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2. Dopo che Dio ha creato la donna, dice il testo biblico che “la condusse all’uomo“: la donna viene donata da Dio all’uomo. E’ il dono più prezioso fatto all’uomo. La parola biblica “la condusse” richiama significati profondi. Una persona non può essere donata nel modo con cui viene donata una cosa. Essa deve consentire ad essere donata: deve essere essa a donare se stessa. Il testo biblico quindi significa da una parte che la vocazione della persona è il dono di sé, e dall’altra che la persona deve consentire a questa sua vocazione.
Non posso non ricordare a questo punto un testo mirabile dell’ultimo Concilio dove si insegna che la persona umana è l’unica creatura nel mondo visibile che Dio abbia voluto “per se stessa”, aggiungendo però subito che la persona umana non può “ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé” (Cost. past. Gaudium et Spes 24,4). Qui ritroviamo individuati con grande precisione la verità e l’ethos della “comunione delle persone”. La verità: la comunione delle persone può costituirsi solo attraverso il dono reciprocamente offerto ed accettato; l’ethos: ciascuno deve essere accolto così come è stato voluto dal Creatore, cioè “per se stesso”. L’unità vera fra l’uomo e la donna è posta in essere solamente in questo modo, cioè dall’amore. L’amore infatti è questo dono di sé che nasce dall’affermazione della persona “per se stessa”. La persona umana, uomo e donna, diventa dono nella libertà dell’amore e così ritrova se stessa.
3. Il testo biblico descrive certamente la comunità coniugale; Gesù stesso lo interpretò in questo modo (cfr. Mt 19,4) così come l’autore della lettera agli Efesini (cfr. 5,31-32). La cosa è importante. Per una serie di ragioni.
Alla luce del principio della creazione, la comunità coniugale monogamica ed indissolubile è in un certo senso il paradigma fondamentale di ogni società umana: unità nella diversità; unità nella quale ciascuno è affermato ed accolto “per se stesso”; costituzione di una comunione di persone.
Ciò che desidero sottolineare è che secondo la pagina biblica questo è reso possibile dalla presenza della donna. Ad essa sembra essere affidata in modo singolare la missione di far accadere la comunione delle persone, la custodia della libertà del dono, la cura che la persona sia sempre voluta “per se stessa“.
4. Ma il mistero della femminilità si manifesta e si rivela fino in fondo mediante la maternità: nella capacità di concepire una nuova persona umana, di darle la sua forma originaria. In un’unione singolare col Creatore (cfr. 2 Mac 7,22-23), la donna coopera con Lui in modo unico a che si formi una nuova persona “ad immagine e somiglianza di Dio”. Durante i nove mesi della gestazione Dio è presente in modo unico nella persona della madre, poiché solo da Dio può provenire quell’”immagine e somiglianza” che è propria della persona umana. Il momento in cui la donna vive il miracolo del figlio che emerge dal suo corpo, è forse il momento in cui è dato ad una creatura umana di vivere più intensamente la gioia dell’atto creativo. E’ per questo che la maternità esige una singolare venerazione e rispetto.
5. Carissime sorelle in Cristo, ho cercato di dire molto brevemente quale è la verità originaria della donna, come emerge da una lettura attenta del racconto della sua creazione. Riassumo dunque.
L’intenzione di Dio creatore, quando ha creato la donna, è stata di “dare un aiuto simile” all’uomo: di rendere possibile una vera comunione fra le persone. La comunione fra uomo e donna si costituisce nell’unità della diversità, attraverso il dono sincero di sé, nel quale ciascuno è accolto “per se stesso”. Da questa unità può essere concepita dalla donna una nuova persona umana, in una misteriosa ma reale cooperazione con Dio creatore.
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6. La deturpazione causata dal peccato nella persona è accaduta anche nella donna: è stata una deturpazione anche della femminilità umana.
Questo processo di deturpazione può essere verificato ad un duplice livello. A livello della “verità ed ethos della comunione delle persone”: delle strutture antropologiche permanenti. E a livello delle forme che storicamente, istituzionalmente anche, le deturpazioni hanno via via assunto. Vorrei ora fermarmi a riflettere su questi guasti che il peccato ha prodotto dentro alla “forma femminile” dell’umanità. Non con altro scopo, carissime sorelle, che quello di rendervi vigilanti e critiche, in vista di un impegno più efficace per la difesa e la promozione della vostra dignità di persone.
7. Prima di compiere questa verifica credo utile riflettere sul testo che conclude il racconto della creazione. Esso recita: “ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non me provavano vergogna” (v. 25). Che significato ha questa nudità originaria?
Nella giustizia originaria, l’uomo e la donna sono in possesso di un’armonia interiore che impedisce loro di guardarsi come possibile oggetto di uso: di degradarsi ad essere qualcosa di cui poter disporre, e non più qualcuno da volere “per se stesso”. La nudità di cui parla il testo significa che uomo e donna, nella giustizia originaria, possedevano in pieno la vera libertà, quella che consiste nella capacità di donarsi. Attraverso il corpo essi vedevano la persona e quindi, a causa rispettivamente della vista della mascolinità e della femminilità, prendevano continuamente coscienza della loro vocazione alla comunione interpersonale. Ma il testo forse vuole anche richiamare la nostra attenzione sulla condizione fondamentale della libertà intesa come capacità di auto-donazione: la padronanza di sé (l’auto-dominio). Non si può infatti donare ciò che non si possiede.
La perdita della giustizia originaria, nella quale Adamo trascina l’intera sua discendenza, consiste prima di tutto nella disobbedienza al Creatore. Ma quest’ingiustizia verso Dio ha come conseguenza la perdita immediata della nudità originaria. L’uomo e la donna perdono questa capacità di guardarsi come persone attraverso la loro mascolinità-femminilità: come persone che volute “per se stesse”, possono ritrovarsi solo nel dono sincero di sé. Perdono la capacità di farsi questo dono, pur permanendo in essi la tensione alla e l’esigenza della comunione interpersonale.
La radice di tutta la deturpazione della verità originaria della donna è questa! Vediamo ora, carissime sorelle, quali frutti questa radice ha prodotto: a quel duplice livello di cui parlavo prima (cfr. § 6).
8. Qual è l’essenza di questo modo sbagliato di guardarsi fra uomo e donna, quando non si guardano più come persone che Dio ha voluto “per se stesse”? Guardarsi come si guardano due individui separati l’uno dall’altro. Credo che troviamo qui una delle cause non ultime del grave malessere in cui oggi noi tutti viviamo.
Esiste una diversità essenziale fra una visione personalista dell’uomo ed una visione individualista.
Secondo la visione individualista dell’uomo, la persona umana non è costitutivamente in relazione con l’altro: è per natura chiusa in se stessa. Questa chiusura consiste nel fatto che il suo desiderio è solo e sempre desiderio del proprio bene; nel fatto che la sua ragione è incapace di conoscere una verità sul bene/male della persona come tale [= bene morale], ma è solo al servizio della ricerca della propria felicità individuale. Secondo questa visione, ogni rapporto con l’altro può essere solo “contrattato”, costruito cioè come incontro di due opposti egoismi che quanto meno chiedono una parità fra il dare e l’avere. La società umana, ogni società umana, diviene fragile convergenza di interessi opposti: la ricerca del mio bene può prescindere dal bene dell’altro, anzi può anche normalmente opporsi al bene dell’altro. E’ possibile raggiungere il mio bene anche senza o anche contro il bene dell’altro.
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Non sto, purtroppo, facendo lo schizzo di teorie o ideologie che restano confinate nel mondo delle idee. Chi non vede che questo, l’individualismo così inteso, è il vero cancro delle nostre società occidentali? Ma non è di esso in generale che intendo parlare. Sto parlando di esso in quanto fattore che deturpa o oscura la verità originaria della donna, perché deturpa o oscura la verità originaria del rapporto uomo-donna. In che modo?
Al livello delle strutture antropologiche permanenti, come le ho chiamate. Siamo condotti a questo livello più profondo dal testo biblico che parla per la prima volta del rapporto uomo-donna subito dopo il peccato originale: “verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà” (Gen. 3,10b).
Nell’uomo e nella donna permane la loro vocazione alla comunione interpersonale, il loro desiderio di unità (cfr. Gen. 2,24), ma questo desiderio si realizza di fatto in un “dominio” dell’uno sull’altro. Posto di fronte alla donna, l’uomo che è nella giustizia perché in alleanza col Signore, prova gioia, stupore, perché finalmente è con una persona, con qualcuno e non solo con qualcosa [animali e cose]. Ora questa visione della persona si è corrotta in istinto e tentativo di dominare. Nel rapporto si introduce precisamente quella logica individualistica di cui parlavo; e l’esperienza di ieri e di oggi dimostra che l’uomo, possedendo maggior forza, domina ed assoggetta la donna. La donna viene violentata, sfruttata, picchiata, asservita.
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E’ importante che comprendiamo bene questa peculiare trasformazione-corruzione dell’originario rapporto di comunione in rapporto di dominio. Esso consiste in una degradazione che viene compiuta nei confronti della donna dentro al cuore dell’uomo. Una degradazione che consiste nel ridurre la persona della donna ad una corpo di cui poter far uso o per la riproduzione o per il proprio piacere. E’ una vera e propria de-personalizzazione compiuta nei confronti della donna, a causa della quale de-personalizzazione viene sottratta all’unità uomo-donna la dignità del dono.
La struttura antropologica fondamentale viene così essenzialmente mutata, e pertanto l’istituzione matrimoniale subisce una progressiva demolizione, sulla quale ho richiamato varie volte la vostra attenzione [cfr. L’istituzione matrimoniale nella post-modernità, in La Voce di Ferrara–Comacchio, Ed. mensile, Giugno-Luglio 1999, pag. 2-7 ; Vangelo ed Anti-Vangelo del matrimonio, ibid., Novembre-Dicembre 1999, pag. 2ss; ed Omelia tenuta in Cattedrale in occasione della S. Messa per i fidanzati il 13-02-2000]. E’ sufficiente qui dire che alla degradazione della persona subentra l’incapacità della definitività della scelta, ed alla fine l’insignificanza del matrimonio come tale. La piaga della libera convivenza sta sempre crescendo anche nelle nostre comunità: segno di una libertà spesso ridotta ormai alla pura spontaneità della ricerca del proprio benessere psicofisico.
Esistono segni gravi di questa degradazione della persona della donna anche nella nostra città. Penso alla prostituzione, vera vergogna del nostro tempo, perché mette oggi in atto una forma di schiavitù nel cui confronto le forme storicamente conosciute sono giochi da bambini. Chiedo alle autorità competenti di fare ogni sforzo possibile perché questa vergogna sia completamente tolta dalle nostre strade. Conoscendo il loro impegno per il bene comune, sono sicuro che non lasceranno cadere nel vuoto questo mio invito.
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9. Sempre a livello di quella che ho chiamato “le strutture antropologiche permanenti” del rapporto uomo-donna, voglio attirare la vostra attenzione su un’altra dimensione essenziale di questo stesso rapporto: quello della maternità. E’ un punto questo, carissime sorelle, che reputo di importanza capitale, anche per la situazione, a tutti ben nota, in cui versa la società ferrarese (e nazionale, purtroppo. NdR). E’ di importanza capitale che in primo luogo da parte vostra si ponga molta attenzione e si abbia molta vigilanza perché questa fondamentale, la più importante di tutte, esperienza non venga deturpata nella sua originaria verità, come oggi sta accadendo.
Che cos’è la maternità? Sembra strano che inizi questo momento della mia riflessione con una domanda a cui risponde subito una evidenza originaria dello spirito. Ma oggi non è più così: e ciò la dice lunga circa la crisi spirituale in cui stiamo naufragando. Che oggi un tale interrogativo debba porsi risulta da almeno due ordini di fatti.
Il primo. E’ un fatto recente la sentenza di un Tribunale italiano, dunque un atto dello Stato italiano come tale, che nella motivazione del dispositivo asseriva essere un fatto privo di significato antropologico obbligante che concepimento-gestazione-parto di una nuova persona umana fossero atto della stessa persona umana. Ho commentato questa sentenza su un quotidiano nazionale, dicendo che la ragione umana aveva subito una grave umiliazione, perché la si rendeva strumentale al desiderio del proprio benessere. Ancora una volta ritroviamo quella logica individualistica di cui parlavo nel punto precedente.
Voglio dire che non raramente il bambino è visto come “qualcosa” che è necessario alla propria realizzazione individuale, ed allora si parla di “diritto ad avere il bambino“; oppure è visto come “qualcosa” che impedisce la propria realizzazione individuale, ed allora si è configurato il “diritto ad abortire“. Non sto dicendo che ogni donna senta la propria maternità in questi termini: sarei ingiusto e falso. Sto dicendo che sta penetrando nell’ethos del nostro popolo una configurazione, anche istituzionale, della maternità che ne sta corrompendo la verità e la bellezza originaria: nei due sensi suddetti.
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Il secondo ordine di fatti è costituito dalla condizione in cui oggi versa il bambino. Questa infatti è per così dire speculare alla condizione della maternità. Ciò che mi preoccupa maggiormente come pastore è il vedere quanto spesso e quanto profondamente oggi il bambino sia esposto ad una cultura nichilista. L’introduzione nella realtà, che definisce l’atto educativo, è impossibile se non si educa il bambino a discernere il vero dal falso ed il bene dal male. Ma la cultura nichilista si definisce come cultura che giudica insignificante questa distinzione. Non mi prolungo ulteriormente. Spesso nelle mie omelie vi metto in guardia contro questa malattia mortale. E tutto questo che cosa ha a che fare col discorso sulla maternità che stiamo facendo? si chiederà qualcuno.
Ha a che fare molto intimamente. Mai come in una situazione come questa la maternità è necessaria. La maternità intesa come luogo spirituale nel quale la persona umana viene interamente generata. Ma la condizione in cui di fatto essa si esercita impedisce sovente di essere un tale luogo. E’ la condizione in cui la famiglia è diventata sempre più una convenzione che va definita secondo l’opinione della maggioranza; in cui padri e madri si avvicendano spesso varie volte a causa di divorzi e libere convivenze. A ciò si aggiunga la consuetudine deplorevole di rimandare il matrimonio sempre più avanti in età. La conseguenza è che spesso la prima maternità avviene dopo i trent’anni, con frequenti aborti spontanei.
Ma, carissime sorelle, ritornerò ancora più avanti su questo tema della maternità.
10. Parlando del livello antropologico permanente del rapporto uomo-donna, siamo già entrati necessariamente nelle forme storiche che la deturpazione della verità originaria della donna ha via via assunto. E siamo nel grande tema del riconoscimento effettivo della dignità della donna nella società, in particolare in due sue componenti essenziali, quella economica e quella politica.
Riconoscimento della dignità della donna nel mondo del lavoro, ed effettiva possibilità della donna di configurare la costruzione dell’edificio sociale anche a misura della sua femminilità: sono ancora due sfide in larga misura inevase. Non può essere una risposta quella di annullare il più possibile la diversità della donna dall’uomo: la diversità non è un male da tollerare, ma un bene da promuovere. Uguali, ma nella diversità propria.
Penso che alla donna credente si apra in questo settore uno spazio assai ampio di testimonianza cristiana.
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Voglio fare solo un’esemplificazione. Le donne sono discriminate “quando, per esempio, vanno in cerca di un posto di lavoro e si sentono chiedere: “Signora, pensa di avere presto dei figli?”, se non ne hanno; oppure: “ne avrà degli altri?”, se sono già madri; o perfino, se sono di età più adulta, ma non hanno ancora figli: “avrà un figlio se otterrà questo impiego?”. Ma tutti sappiamo che alle donne vengono poste queste domande, mentre nel caso degli uomini che sono padri la paternità non riguarda l’attività lavorativa”. [J.H. Matláry, Il tempo della fioritura, Leonardo ed., Milano 1999, pag. 85-86].
La verità trasfigurata della donna: Cristo – Chiesa/Maria
“ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’Agnello” (Ap. 21,9)
11. “Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio nato da donna” (Gal 4,4). La verità originaria della donna trova la sua perfetta realizzazione e trasfigurazione in Cristo.
Il Verbo incarnandosi ha voluto avere quel rapporto unico, fondamentale che ogni persona umana ha con la donna: il rapporto del figlio colla madre. Ognuno di noi è plasmato, è fatto nella sua umanità da una donna. E così è accaduto anche per il Verbo: la sua umanità è stata plasmata da Maria, perché è stato generato da lei nella nostra umanità. E pertanto Ella è in senso vero e proprio “Theotokos – Madre di Dio”.
Carissime sorelle, sono sempre più convinto che solo Maria è capace di introdurre voi nella piena consapevolezza della vostra femminilità; che Maria ne è la chiave interpretativa completa. Ma su questo ritornerò più avanti. Ora preferisco continuare la narrazione del rapporto Cristo-donna; è il rapporto nel quale la verità della donna viene pienamente svelata: è trasfigurata.
E’ certo che il Verbo poteva assumere la nostra natura umana anche senza essere concepito e generato in essa da una donna. Perché dunque ha voluto avere una madre? Qual è l’intima ragione, il significato nascosto di questa divina decisione? I Padri ed i Dottori della Chiesa si sono fatti questa domanda. Raccolgo solo qualche riflessione utile allo scopo per cui vi ho scritto questa lettera.
Il rapporto Cristo – Maria è messo in relazione al rapporto Adamo-Eva dentro ad un mirabile chiaro scuro. Adamo-Eva prefiguravano quell’unità dei due in una sola carne che definisce l’avvenimento della salvezza: la Chiesa. Essa è la realizzazione perfetta di quanto era adombrato nell’origine della creazione: Corpo e Capo; Sposa e Sposo; umanità divinizzata e Cristo. Due in una sola carne: nella sola Carne [eucaristica] del Cristo che dona Se stesso (cfr. 1 Cor. 6, 15-17).
E’ assai significativo, per voi, carissime sorelle, e per noi uomini, che la Chiesa sia “femminile”, che l’ecclesialità sia svelata dalla forma della femminilità. Ma non c’è solo questo aspetto luminoso, diciamo. Alla nostra rovina cooperò sia Adamo che Eva; alla nostra salvezza cooperano con una essenziale diversità che vedremo subito, Cristo e Maria.
Ho trovato in S. Tommaso un testo mirabile che voglio portare anche a vostra conoscenza. Mi sono chiesto: in che modo la sposa viene introdotta allo Sposo e si unisce a Lui? che cosa significa che Maria coopera all’atto redentivo di Cristo? E’ cercando la risposta a queste domande che mi sono imbattuto nel testo di S. Tommaso. Quando il Verbo si fece carne nel grembo di Maria, è stato come celebrato il matrimonio fra l’umanità ed il Verbo. Maria diede il consenso ” a nome di tutta l’umanità” (cfr. 3,q.30,a.1). La decisione assolutamente gratuita del Padre di fare del suo Unigenito il primogenito di molti fratelli non si realizza a causa del nostro consenso: a Dio solo la gloria. Ma non si realizza senza il nostro consenso. Maria lo ha espresso. Questo è il senso profondo dell’Annunciazione.
La modalità con cui Maria entra nell’origine, nel principio della nostra salvezza, l’incarnazione del Verbo, svela la verità più profonda della donna. Ella è colei che “consente – rende possibile” alla Vita che è presso il Padre di rendersi visibile. Ecco perché è inscritta nella femminilità questa vocazione a custodire, a salvare, a non permettere che sia degradata la vita della persona, nel senso intero del termine. Nessuno forse ha espresso meglio di Dante questa che è la verità più profonda della donna. Il suo cammino di salvezza “dalla selva oscura” è reso possibile dalla donna: Lucia, Matelda, Beatrice, ed alla fine Maria.
Vorrei ancora fermarmi un poco su questo, richiamandovi ancora al testo di S. Tommaso. Maria – scrive il grande Dottore della Chiesa – dona il suo consenso “a nome di tutta l’umanità” [loco totius humanae naturae]. Giovanni Paolo II ha insegnato assai profondamente che il simbolo reale di tutto il corpo ecclesiale, donne e uomini, è la donna: “Si può dire che l’analogia dell’amore sponsale secondo la lettera agli Efesini riporta ciò che è “maschile” a ciò che è “femminile”, dato che, come membri della Chiesa, anche gli uomini sono compresi nel concetto di “sposa” … Nella Chiesa ogni essere umano – maschio e femmina – è la “sposa”, in quanto accoglie in dono l’amore di Cristo redentore, come pure in quanto cerca di rispondervi col dono della propria persona” [Lett. Ap. Mulieris dignitatem 25,4; EV 11,1321 ].
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12. Se ora pensiamo per qualche momento agli incontri di Gesù colla donna, narrati nei Vangeli, troviamo una conferma continua di quanto è accaduto “al principio” del suo rapporto con la donna: con Maria, nell’Annunciazione.
E’ subito da notare la grande stima che Gesù ha nei confronti della donna. “E’ universalmente ammesso – persino da parte di chi si pone in atteggiamento critico di fronte al messaggio cristiano – che Cristo si sia fatto davanti ai suoi contemporanei promotore della vera dignità della donna e della vocazione corrispondente a questa dignità. A volte ciò provoca stupore, sorpresa, spesso al limite dello scandalo: “si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna” (Gv 4,17)” [ibid. 12,1: EV 11,1263].
Fra i tanti incontri vorrei fermarmi brevemente solo su due di essi: quello colla donna samaritana e quello colla Maddalena la mattina di Pasqua.
13. Nel primo si narra la restituzione piena alla donna della sua dignità: la reintegrazione della sua persona nella verità e nella bontà dell’origine.
La deturpazione della dignità della persona della donna risulta dal suo essere stata di sei uomini (cfr. Gv 4,17). Come fin dal principio la Scrittura aveva insegnato, il peccato pone la donna “a disposizione dell’uomo” [“egli ti dominerà”: Gen 3,16]: la degrada ad essere suo oggetto di godimento e si sfruttamento. La reintegrazione avviene perché ella, la donna samaritana, viene introdotta nei misteri più profondi della nuova Alleanza: la stessa natura di Dio (cfr. v.24a) e la vera adorazione. Ma soprattutto è a lei che Gesù svela la sua identità, in un modo tale che non aveva mai fatto con nessun altro. Ella diviene la confidente del suo segreto più intimo. E’ stato questo un avvenimento incredibile: la donna dei sei mariti viene istruita nei misteri più grandi. Non solo, ma diventa la prima annunciatrice del Vangelo (cfr. vv. 39-42). A Maria, la piena di grazia, viene dato l’annuncio; ella lo accoglie “loco totius humanae naturae” e diviene Colei nella quale il Verbo si fa carne. Alla samaritana, degradata nella sua dignità, viene dato l’annuncio che il Messia, il dono della salvezza, è presente e vicino a lei; ella lo accoglie e diviene colei che lo annuncia. Consenso che genera vita.
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Ma ancora più significativo mi sembra l’incontro del Risorto con Maria di Magdala la mattina di Pasqua. Il fatto che il Signore abbia scelto di mostrarsi nella sua gloria per la prima volta non ad un apostolo, ma ad una donna, mi ha sempre profondamente stupito. Maria di Magdala è come il simbolo reale dell’umanità peccatrice che viene chiamata all’intimità collo Sposo. “E’ il simbolo della sposa infedele che Dio ha ricongiunto a sé nell’amore” [D. Barsotti, Meditazione sulle apparizioni del risorto, ed. Queriniana, Brescia 1989, pag. 30]: nella donna peccatrice, ora chiamata all’unione col Signore nella gloria, è riaffermata la verità più profonda della donna ed in questa riaffermazione è significata l’umanità. Gli apostoli, in quanto tali, non sono chiamati a questa unione: ne sono i ministri. Chi ha lo Sposo è solo la sposa. Essi sono i servi della sposa. E’ questa la ragione profonda per cui a causa della sua dignità la donna non può esercitare il ministero apostolico. In un giardino, quello dell’Eden, la donna era stata deturpata; in un giardino, quello della Risurrezione, la donna è trasfigurata dalla luce della sua piena verità.
14. Volendo ora dire in modo sintetico quanto abbiamo finora espresso, possiamo così sintetizzare.
In Cristo la donna viene redenta e trasfigurata. Redenta da ciò che aveva deturpato la sua verità originaria; trasfigurata, perché da Lui l’essenza stessa della femminilità viene interamente svelata in Maria sua madre.
La verità realizzata della donna: vergine, sposa, madre
“questo mistero è grande: lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa” (Ef. 5,32)
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15. La verità originaria della donna appare al principio della creazione pienamente realizzata nel matrimonio e nella maternità che normalmente ne consegue (cfr. Gen 2,24). L’unica interpretazione sensata del fatto che la persona umana sia uomo e donna è il matrimonio e la famiglia.
Ma il Verbo incarnato ha mostrato che la verità originaria della donna poteva avere un’altra realizzazione perfetta: la verginità per il Regno. Anzi, da un certo punto di vista, questa è obiettivamente una realizzazione più perfetta.
Non solo, ma la trasfigurazione che Cristo opera della verità della donna, pervade anche l’intima essenza del matrimonio, elevandolo alla dignità di sacramento della nuova ed eterna Alleanza. Verginità consacrata e matrimonio sono dunque le due vie possibili per ogni donna. Ciascuna di esse, presa in sé, esprime, come vedremo, in modo parziale la (verità della) femminilità, e solo dalla loro reciproca connessione traspare l’intero.
Anche da questo punto di vista vediamo che in Maria la bellezza della forma femminile si realizza nella sua misura intera. Ella è vergine, sposa e madre: come la Chiesa. E per contrario, la donna nega se stessa quando non vuol essere né vergine, né sposa, né madre.
E’ dunque opportuno che dedichiamo alcune brevi riflessioni su queste due modalità in cui si realizza la vocazione della donna, iniziando dalla dimensione che in un certo senso è presupposta dall’una e dall’altra: la verginità.
16. So che ora faccio una riflessione molto controcorrente. Ma non mi importa più di tanto, perché sono troppo convinto che solo una cultura (si fa per dire) superficiale e disumana come è quella in cui viviamo, può disconoscere la verità e la bellezza di ciò che sto dicendo.
La verginità della donna, di cui sto parlando ora, è la condizione fisica in cui ella si trova quando non si è data sessualmente a nessuno. Ovviamente presuppongo nel discorso che sto facendo due evidenze. La prima: poiché dimensione essenziale della persona è la libertà, la definizione sopra data di verginità va intesa nel senso della donna che ha liberamente deciso di non donarsi sessualmente a nessuno. La seconda: sempre per la stessa ragione, la tragedia di aver subito una violenza sessuale non toglie una donna dalla condizione di verginità così come sopra è stata intesa.
Dobbiamo dunque farci la domanda: la verginità, così intesa, è un bene nel senso morale del termine? oppure essa in sé e per sé è un fatto privo di valore morale? Carissime sorelle, non solo alla luce della Rivelazione ma anche alla luce della retta ragione, la verginità è un vero e proprio bene morale.
La persona umana non ha semplicemente un corpo: essa è il suo corpo. Il corpo è la stessa persona nella sua concreta visibilità: il corpo è il linguaggio della persona. Ora, che cosa dice il corpo vergine di una donna? come manifesta la persona della donna un corpo vergine? Dice la volontà della donna di appartenere, nell’amore, a nessun altro se non a quell’unico con cui diventerà per sempre una sola carne; se non a quell’Unico col Quale stringerà un rapporto di amore dal cuore indiviso. Il corpo vergine rende visibile una persona-donna che vuole realizzare la sua verità, la sua bellezza originaria: “due [non tre, non quattro…] in una carne sola” o nella forma della coniugalità o nella forma della consacrazione a Cristo.
E’ questa una delle ragioni per cui i rapporti prematrimoniali sono la distruzione pura e semplice dell’amore: la tomba dell’amore.
Ho detto sopra che parlando della verginità, sto parlando del “presupposto” sia della coniugalità sia della consacrazione. Nel senso che la verginità di cui sto parlando, è – e deve essere – vista in prospettiva: è posta sempre in relazione all’ingresso nello stato definitivo di vita, o il matrimonio o la consacrazione per il Regno dei cieli.
Se a prima vista, la verginità così intesa connota una negazione, vista più in profondità essa è altamente positiva: è l’integra custodia che la donna fa della sua verità.
17. La forma femminile dell’umanità può realizzarsi nel matrimonio. Nell’ordine della conoscenza, il matrimonio cristiano è la via per giungere al Mistero, cioè all’unità dei due, Cristo e la Chiesa. Ma la priorità metodologica non coincide colla priorità ontologica: la persona di mia madre non è la “ri-produzione” della foto che tengo sulla mia scrivania. E’ esattamente il contrario. Non è l’unità di Cristo colla Chiesa che “assomiglia” all’unità degli sposi. E’ esattamente il contrario: è l’unità degli sposi che “riproduce” in forma limitata ed imperfetta l’unità di Cristo colla Chiesa.
Questa inserzione del matrimonio nel Mistero, dal punto di vista che qui ci interessa, deve richiamare alla nostra mente due verità fondamentali.
La prima: dentro al vivere coniugale dei due battezzati è presente la vita stessa di Cristo unito alla Chiesa. Gli atti che fanno dei due una sola carne sono segni efficaci di questa vita: causativi della stessa, della vita di grazia.
La seconda: nel matrimonio-sacramento la verità trasfigurata della donna trova veramente una realizzazione perfetta. L’autore della lettera agli Efesini pone la donna-sposa in un rapporto singolare colla Chiesa-sposa di Cristo (cfr. Ef. 5,29). Nella sponsalità femminile si rende visibile la forma ecclesiale in cui ognuno di noi, uomo o donna, è chiamato a realizzarsi.
Questa riflessione ci ha già di fatto introdotto nell’altra forma in cui la donna può realizzare se stessa: la verginità consacrata.
18. Prima però di presentarvi alcune riflessioni al riguardo, vorrei fermarmi un poco a riflettere ancora sulla maternità. So bene che nel cuore della donna che si sposa non può non esserci il desiderio di donare la vita. Il rifiuto irragionevole di donare la vita ed il ricorso a metodi contraccettivi riduce il matrimonio ad un egoismo a due.
Ma mi rendo anche perfettamente conto delle difficoltà che oggi una donna incontra quando decidesse di donare generosamente la vita. E’ necessario che i responsabili della società civile, a tutti i livelli, da quello statale a quello municipale, prendano coscienza che esistono dei diritti naturali della maternità, e che questi diritti devono essere difesi e resi effettivi. Quali sono? Accenno solo a due, che mi sembrano particolarmente importanti.
Il primo è il diritto ad un reddito familiare. Cioè: dovrebbe essere garantito un reddito in grado di mantenere la famiglia, da assegnare al coniuge che percepisce lo stipendio.
Nella maggior parte degli Stati europei è più conveniente avere due redditi che aumentare della stessa somma un solo reddito [devo quest’osservazione a J.H. Matlàry, op. cit. pag. 84, nota 7], con conseguenze spesso negative sulla maternità.
Il secondo è il diritto di educare i propri figli, guidandoli nella scelta della scuola. La responsabilità della scelta educativa compete ai genitori, non allo Stato. La questione della parità effettiva scolastica è centrale, e chiedo a tutti di farla diventare il criterio fondamentale di giudizio ad ogni elezione politica e amministrativa.
19. Come ho già accennato nel capitolo precedente, la donna significa la verità ultima di tutta l’umanità, uomini e donne: ciascun uomo e ciascuna donna è destinato dalla grazia del Padre all’unione sponsale con il Signore “sposo”. Ciascuno di noi, uomo o donna che sia, si realizza pienamente nella Chiesa-sposa dell’Agnello.
Questa destinazione finale è espressa nella verginità consacrata. Essa alla fine svela in tutto il suo splendore la verità intera della donna: la ragione per cui il Creatore l’ha pensata e voluta. “Farò un aiuto simile a lui – i due saranno uno in una carne sola”: mentre diceva quelle parole, creava Adamo-Eva ma pensava a Cristo-Chiesa [Maria]. La vergine consacrata ci dice ogni giorno che questo è il grande Mistero, la vera ragione di tutto: ricapitolare tutto in Cristo (cfr. Ef 1,10b) perché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1Cor 15,28). Un testo mirabile di S. Girolamo lo esprime: “Quelle che sono le figlie del Re e si preparano all’amplesso dello sposo … dilettano quel Re il cui trono è eterno. Colei, però, che già è stata fondata e radicata in modo stabile sulla pietra che è Cristo (la Chiesa cattolica, cioè la colomba unica, perfetta e amatissima), sta alla destra … E’ una regina, infatti, e regna assieme al Re; le sue figlie, poi, possiamo pensare che siano in senso lato le anime dei credenti e in senso stretto i cori delle vergini” [Ep. LXV, 13; CSEL 54,637].
Ecco perché il carisma della verginità consacrata è di una necessità imprescindibile per la Chiesa intera ed in particolare per gli sposi: essa riorienta continuamente la persona umana uomo-donna verso il suo fine ultimo.
Data questa condizione, la vergine consacrata diviene feconda della fecondità stessa di Cristo: feconda della vita nuova nella generazione dello Spirito. Essa diviene madre in un senso più vero che la donna sposata: “tu” scrive ancora Girolamo ed una vergine consacrata “ogni giorno ne concepisci uno solo, lo partorisci, lo dai alla luce, ma la sua unicità è feconda, è infinito per maestà, uno della Trinità” [Ep. LXV, 1; CSEL 54,617].
Non posso non pensare alla testimonianza di amore materno di tante nostre religiose: nell’impegno educativo coi nostri bambini; nell’assistenza alle persone anziane; nella vicinanza a famiglie dissestate. Non posso non pensare alla pura oblazione delle nostre claustrali: esse sono il profumo di Cristo che sale al Padre dalla nostra Chiesa.
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20. Forse qualcuna di voi potrebbe avere l’impressione di non essere guardata dallo sguardo del Signore, non essendo né sposata né consacrata.
La compresenza dei due carismi, matrimonio e verginità, ha relativizzato ciascuno dei due. Non è vero dire: solo il matrimonio realizza la donna. Esiste infatti la verginità consacrata. Non è vero dire: solo la verginità consacrata realizza la donna. Esiste infatti il matrimonio. Dunque: né il matrimonio né la verginità consacrata sono necessari. Una sola cosa è necessaria. Non a caso essa è stata ancora una volta espressa da una donna, Maria in casa di Lazzaro (cfr. Lc 10.38-42): questo modo di essere è proprio di ogni donna, sposata, o vergine consacrata, o né l’una né l’altra.
Ma nella Chiesa sono sempre state particolarmente venerate le vedove. Esse esprimono una dimensione essenziale della Chiesa nel tempo presente: l’esperienza di un’assenza dello Sposo che la fa soffrire. Siano esse benedette! E riempiano il loro tempo di preghiera e di carità operosa.
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Conclusione
Carissime sorelle, ho terminato questa lettera. Vi chiedo scusa se essa non è sempre chiara. La profondità del mistero della vostra persona e gli impegni pastorali molto pressanti non mi hanno consentito di scriverla come avrei voluto, dedicandovi più tempo. Voi capirete.
Affido ciascuna di voi a Colei che è “benedetta fra tutte le donne” e nella cui luce vi vedo sempre. E vi benedico nel nome del Padre, che ha deciso che il suo Unigenito fosse fatto da una di voi; del Figlio, che ha voluto essere concepito da una di voi; dello Spirito Santo, che ha scelto una di voi come sua dimora privilegiata.
Ferrara, dal Palazzo Arcivescovile
25 marzo 2000 – Solennità dell’Annunciazione del Signore