La legge Merlin, che 61 anni fa smantellò le case chiuse, non viola la costituzione. Lo ha deciso la Corte costituzionale che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte d’Appello di Bari riguardo il reclutamento e il favoreggiamento della prostituzione, puniti dalla legge approvata nel 1958.
La questione era stata sollevata nell’ambito del processo sulle donne portate, fra il 2008 e il 2009, nelle residenze dell’allora premier Silvio Berlusconi, e nel quale è imputato, tra gli altri, l’imprenditore Gianpaolo Tarantini per reclutamento e favoreggiamento della prostituzione.
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Sono proprio le escort, infatti, il ‘nodo’ su cui era chiamata a puntare l’attenzione la Corte costituzionale: il fenomeno sociale della prostituzione professionale rappresenta una novità – era l’assunto dei giudici baresi – e la legge Merlin era invece stata concepita in un’epoca storica in cui tale fenomeno non era conosciuto.
In particolare, i ‘giudici delle leggi’ erano chiamati a sancire se la norma risalente al 1958 sia legittima o meno nel punto in cui configura come reato “il reclutamento e il favoreggiamento della prostituzione volontariamente e consapevolmente esercitata”. La Corte d’appello di Bari, infatti, poneva in rilievo un possibile contrasto della norma con il “principio della libertà di autodeterminazione sessuale, qualificabile come diritto inviolabile della persona umana, la quale potrebbe esprimersi anche nella scelta di offrire prestazioni sessuali verso corrispettivo” e, a suo dire, sarebbe violato anche l‘articolo 41 della Costituzione, “potendo la libera autodeterminazione sessuale, essere considerata anche come una forma di estrinsecazione dell’iniziativa economica privata”.