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Alabama: papà cita in giudizio clinica abortiva e casa farmaceutica per aborto del figlio

RYAN MAGERS
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Paola Belletti - pubblicato il 06/03/19
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Nel 2017 la fidanzata di Ryan Magers decide di abortire contro la volontà del ragazzo, padre del concepito, che l’aveva a lungo implorata di non farlo. Per lo Stato dell’Alabama il concepito è persona; per questo il ragazzo si costituisce rappresentante del figlio e fa causa a nome suo.

Il bambino, ca va sans dire, lo avevano concepito in due

Siamo nel 2017 a inizio anno, nella contea di Madison, stato dell‘Alabama; una ragazza scopre di essere incinta, lo comunica al ragazzo che scopre quindi di essere padre, ma quasi simultaneamente la giovane donna fissa un appuntamento presso una clinica abortiva per terminare la gravidanza. Lui la implora, supplicandola di non farlo, ma non riesce a dissuaderla. Così racconta Ryan.

La ragazza si reca presso l‘Alabama Women’s Center dove le viene somministrata una pillola abortiva che sopprime il bambino all’età gestazionale presunta di 6 settimane.

Il 10 febbraio 2017, contro la sua volontà di padre, la ragazza di Ryan Magers ha abortito Baby Roe, il bambino che avevano concepito, leggiamo sul Dailywair.

La storia potrebbe semplicemente e tragicamente aggiungersi alle centinaia di migliaia che si stanno sommando da decenni, in tutto il mondo, per un ammontare di milioni di vite soppresse, senza fare più di tanto notizia. Potrebbe subire questa storia, oltre l’onta della morte dell’innocente, dell’inganno della donna convinta di essere più libera, dell’esclusione totale del padre come parte in causa, anche l’affronto abituale del silenzio e dell’indifferenza. Invece questa volta le cose stanno andando diversamente e, commenta l’avvocato del giovane, Brent Helmes, la vicenda potrebbe aprire nuovi scenari legali.

Ma veniamo ad oggi, proprio a pochi giorni fa.

Il padre fa causa alla clinica abortiva e alla casa farmaceutica

Sul sito della WAYY31 abc leggiamo:

A local man filed a lawsuit in Madison County against the abortion clinic and others he said helped end his girlfriend’s pregnancy even though he begged her to keep the baby. “I’m here for the men who actually want to have their baby,” Ryan Magers, who’s suing the abortion clinic and others, said. It’s been nearly two years since Magers’ girlfriend aborted their baby. “It was just like my whole world fell apart,” Magers said. Mager’s filed a lawsuit in Madison County on Wednesday suing Alabama Women’s Center, their employees and the pharmaceutical company who makes the medication used in an abortion. “I believe every child from conception is a baby and deserves to live,” Magers said. (WAAY 31 ABC, 7 febbraio 2019)

Traduzione:

Un uomo del luogo ha intentato una causa nella contea di Madison contro la clinica per aborti e altri, ha detto, che hanno aiutato a porre fine alla gravidanza della sua ragazza, anche se lui l’ha pregata di tenere il bambino.

“Sono qui per gli uomini che vogliono davvero avere il loro bambino”, ha detto Ryan Magers, che ha citato in giudizio la clinica per aborti e altri. Sono passati quasi due anni da quando la ragazza di Magers ha abortito loro figlio.

“Era come se il mio intero mondo fosse crollato”, ha detto Magers.

Mager ha intentato un’azione legale nella contea di Madison mercoledì facendo causa all’Alabama Women’s Center, ai suoi dipendenti e alla compagnia farmaceutica che ha utilizzato il farmaco  per provocarle un aborto.

“Credo che ogni bambino dal concepimento è un bambino e merita di vivere”, ha detto Magers.

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Lo dice ai microfoni, indossando una camicia a quadri e una cuffia. Perché lo fa? Dice che pensa agli altri uomini, ai padri futuri. E se per suo figlio non può più fare nulla, in merito alla vita, possiamo dire, può farlo in ordine alla verità.

Sempre sul WAAY 31 ABC in un articolo di oggi leggiamo che la corte di Madison County ha riconosciuto il feto abortito come una persona con diritti legali che il padre sta quindi giustamente rappresentando e difendendo. Per questo continua la sua causa contro la clinica abortiva e la casa farmaceutica.

Non so se sia la prima considerazione da fare ma come donna, che ha un marito e dei figli, è la prima che mi si para dinanzi. L’uomo non accusa la donna; pare che l’abbia solo implorata e supplicata. Non la accusa, non è a lei che chiede risarcimento. Al tribunale delle loro coscienze porterà sempre, credo, il valore di quell’atto con il quale insieme hanno concepito un figlio. E forse, ma qui è puro azzardo poetico, sa che la sola via è cercare di sanare la relazione uomo donna, ristabilire la nostra antica e sempre vera alleanza.

Chiede conto a chi, in una posizione di forza rispetto alla donna, in difficoltà, probabilmente accecata all’idea che quella sarebbe stata l’unica soluzione possibile, ha causato la morte di suo figlio, di loro figlio. Strutture che stanno in piedi e fanno profitto, sistemi che trovano il loro equilibrio, che hanno consolidato processi lavorativi, che organizzano suplly chain, turni di lavoro, poli logistici, punti di distribuzione e prodotti tutto intorno all’intenzione di terminare vite concepite nell’utero delle donne. Per questo allora chiama in giudizio due soggetti: clinica abortiva e casa farmaceutica.

Qui il testo della citazione in giudizio. 

Il padre chiede giustizia per sé e come rappresentante del figlio. Come persona lesa e come persona che rappresenta il figlio (nella privazione del quale è stato gravemente leso).

 

Sweet Home Alabama

Where the skies are so blue! Non per il piccolo o la piccola Magers, (Baby Roe), azzardiamo il cognome, sicuri che il papà lo avrebbe riconosciuto volentieri.  Lui o lei, è morto prima di vedere la luce ma per il papà la sua vita ha un valore incacellabile e può portare ancora molto bene a tanti. In ogni caso lo stato centrale degli Usa vedrà sopra di sé cieli più tersi di quelli della Grande Mela o della Virginia; là le nubi si addensano a danno della vita nascente.


GOVERNOR ANDREW CUOMO
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Fa impressione lo sforzo legislativo messo in atto per riportare il dogma dell’aborto ai vertici del laicismo più ortodosso. Non si può che leggere così il Reproductive Health Act e le sue terrificanti rettifiche a favore di un accesso all’aborto pressoché  illimitato (nemmeno più la garanzia di un medico laureato ad eseguire la procedura per nulla innocua anche per la donna). O le dichiarazioni di altri esponenti DEM, come il governatore della Virginia, che ammettono candidamente che tra aborto tardivo e infanticidio non esiste differenza sostanziale, cosa peraltro verissima. Il secondo dovrebbe essere considerato legale, secondo Ralph Northam.

Sulla East Coast solo un mese e mezzo fa si celebrava come una vittoria la possibilità di abortire, (diciamo uccidere va’ che con un bimbo di 3 chili almeno la cosa suona più comprensibile) fino a pochi attimi prima dell’espulsione totale del figlio;  e lo si faceva con tanto di palazzi illuminati di rosa (proprio uno dei nuovi edifici sorti al posto del World Trade Center ridotto a Ground Zero) per ammiccare all’inesistente estensione della tutela della salute della donna. E’ vero esattamente, precisamente il contrario. Le donne sono molto più in pericolo ora, ma le procedure di aborto decisamente più economiche. Cui prodest? resta sempre domanda opportuna, in caso di delitto.


ABORTO, CORPO, DONNA
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In Alabama, invece, già dal 2013 e grazie ad un caso limite che ha portato ad una sentenza storica, si riconosce al bambino non ancora nato diritto alla tutela legale. Il caso riguardava due donne in stato di gravidanza che avevano assunto sostanze pericolose per la salute del bambino. Una in particolare aveva fumato sostanze stupefacenti tre giorni prima della nascita  del figlio, avvenuta prematuramente e seguita, dopo soli 19 minuti dalla sua morte per intossicazione da metanfetamine.

L’ 11 gennaio 2013 l’Alta Corte d’Alabama ha stabilito che i bambini non ancora nati sono protetti dalla legge della “messa in pericolo-chimico” dello Stato. Il caso riguardava due donne che hanno messo i loro bambini non ancora nati a rischio attraverso l’uso di droghe illegali durante la gravidanza. Una delle donne ha riconosciuto di aver fumato droghe tre giorni prima che suo figlio nascesse prematuramente, bambino poi morto solo dopo 19 minuti dal parto per intossicazione acuta da metamfetamina.

Secondo la legge dell’ Alabama, è un delitto mettere in pericolo la vita di un bambino esponendo lui o lei se femmina, ad una sostanza chimica. Gli avvocati della donna hanno tentato di sostenere che la legge della “messa in pericolo chimico”  non si applica ai bambini non ancora nati, ma la Corte non si è dimostrata d’accordo: osservando che “l’unica area principale in cui viene negata ai bambini non ancora nati protezione giuridica è l’aborto, e che tale negazione è solo per i dettami della Roe v. Wade.” Stabilendo così di fatto che la legge fa riferimento anche ai bambini non ancora nati e dotandoli per così dire di un vero e proprio diritto di protezione. (vedi su Osservatorio Internazionale Card Van Thuan)

Forse non è solo un’impressione, forse il vento è cambiato e soffia più forte

Continuiamo a seguire gli sviluppi di questa storia; la parte citata in giudizio non è famosa nel mondo per mansuetudine e arrendevolezza. Vediamo quali mosse potranno giocarsi la clinica, i suoi dipendenti e la casa farmaceutica produttrice della pillola abortiva chiamati in giudizio da un padre modello classico, di quelli che i figli li vorrebbero vivi e non ammazzati su commissione e contro la sua volontà.

Non è detto che questo ragazzo e il suo giovane avvocato saranno dei nuovi Davide, ma è certo che il gigante Golia nemico della vita irrigidito nella sua fulgida armatura inizia a mostrare un certo impaccio nel muoversi. Forse davvero l’aria sta cambiando, forse è sempre più visibile nei suoi effetti più estremi il volto anti-umano della legge che liberalizza l’aborto. Forse più la trascinano alle sue estreme e logiche conseguenze più si rivela per quel che è: soppressione dell’innocente. E impoverimento di tutta l’umanità. A quante vite e intrecci di vite e imprese e storie abbiamo rinunciato Dio solo lo sa, ma sul serio.


FLORA GUALDANI
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