Vietnam: il vertice tra Trump e Kim concluso in anticipo senza accordo
Il summit tra il presidente statunitense Donald Trump e il suo omologo nordcoreano Kim Jong-un si è concluso giovedì 28 febbraio in anticipo, con un nulla di fatto. In mancanza di un accordo con Kim sulla denuclearizzazione, Trump ha preferito infatti interrompere il vertice a Hanoi, Vietnam. «A volte bisogna andarsene», ha spiegato il presidente americano. «Questa è stata una di quelle volte». Sono saltati gli ultimi due eventi previsti nel programma: la firma di una dichiarazione congiunta e il pranzo di lavoro conclusivo.
Il punto di rottura sarebbe stata la richiesta da parte del leader nordcoreano di eliminare tutte le sanzioni nei confronti del suo Paese, in cambio dell’inizio dello smantellamento del sito di Yongbyon. Per l’amministrazione Trump, questo passo non era abbastanza: il programma nucleare «altamente segreto» di Pyongyang comprende infatti anche altri siti. «Gli abbiamo chiesto di fare di più e non era disposto a farlo», ha detto il Segretario di Stato Mike Pompeo. Il ministro degli Esteri di Pyongyang, Ri Yong-ho, ha negato la versione americana: la Corea del Nord avrebbe chiesto solo il ritiro parziale delle sanzioni, quelle che «toccano l’economia e la vita della gente comune», così riferisce il South China Morning Post.
Trump è comunque fiducioso. «Lui ha una certa visione, non è esattamente la nostra visione, ma è molto più vicina rispetto ad un anno fa», così ha detto il presidente americano, che ha espresso la speranza di rivedere Kim. Anche se non è previsto un terzo vertice (almeno per ora), le due delegazioni, guidate da Stephen Biegun e Kim Hyon-Chol, continueranno ad incontrarsi.
Stati Uniti: Trump definito «un imbroglione» dal suo ex avvocato personale
Mentre il presidente Donald Trump era impegnato a Hanoi, Vietnam, nel vertice con il leader nordcoreano Kim Jong-un, il suo ex consulente legale e «fixer» (cioè «tuttofare»), Michael Cohen, ha tenuto mercoledì 27 febbraio la sua molto attesa e anche temuta deposizione davanti al Congresso di Washington.
Durante la sua testimonianza, durata sette ore, Cohen non ha risparmiato il magnate o «tycoon» newyorchese. Anche se ha ammesso di non essere a conoscenza di «prove dirette» di collusione da parte di Trump nei confronti della Russia (ma ha i suoi «sospetti»), il ritratto che l’ex avvocato ha offerto dell’attuale presidente nella sua deposizione iniziale, tradotta da La Repubblica, è comunque durissimo. Secondo Cohen, che ha sottolineato di conoscere Trump «molto bene», perché ha «lavorato a stretto contatto con lui per oltre dieci anni», l’attuale inquilino della Casa Bianca è «un razzista», «un imbroglione» e «un truffatore». «Forse non posso cambiare il passato, ma qui, oggi, posso rendere giustizia al popolo americano», ha concluso Cohen.
Altrettanto dura la reazione di Trump. «Ha mentito un sacco», così ha detto il presidente, citato dal Washington Times, ma almeno «non ha mentito su una cosa – ha detto niente collusione con la bufala russa». «Avere un’audizione finta come questa, e averla nel bel mezzo di questo importante vertice è davvero una cosa terribile», ha continuato il presidente, il quale ha aggiunto: «penso che sia stato piuttosto vergognoso».
India-Pakistan: tentativi di «de-escalation»
Il raid «preventivo» lanciato martedì 26 febbraio da caccia indiani contro un presunto campo di addestramento del gruppo Jaish-e-Mohammad (JeM, significa «Esercito di Maometto») in Pakistan, ha portato i due Paesi, che in passato hanno già combattuto tre guerre, sull’orlo di un nuovo conflitto. Il gruppo estremista, che opera dal territorio pakistano, aveva rivendicato l’attentato suicida, in cui il 14 febbraio scorso decine di paramilitari indiani erano rimasti uccisi nella parte del Kashmir amministrata da Nuova Delhi.
A portare la tensione alle stelle è stato l’annuncio da parte del Pakistan di aver abbattuto mercoledì 27 febbraio due aerei da combattimento indiani. E’ stato catturato anche un pilota, identificato come il comandante di stormo Abhinandan Varthaman. La decisione di Islamabad di divulgare le immagini della sua cattura, è stata condannata con forza da parte del governo indiano, che a sua volta ha annunciato di avere un aereo da caccia pakistano.
Mentre la chiusura dello spazio aereo pakistano ha portato alla cancellazione di decine di voli commerciali, bloccando quasi 5.000 passeggeri nell’aeroporto di Bangkok, in Thailandia, i timori per una «escalation» della situazione sono grandi. Entrambi i Paesi sono infatti potenze nucleari.
Ne è consapevole il primo ministro del Pakistan, Imran Khan, il quale ha ricordato che «nessuno sa» dove porterà una guerra. «Chiedo all’India: con le armi che avete voi e le armi che abbiamo noi, possiamo davvero permetterci un errore di valutazione?», ha detto Khan, il quale ha annunciato che venerdì 1 marzo verrà rilasciato in libertà il pilota indiano, «come un gesto di pace».
Francia: frenata della crescita economica nel 2018
L’economia francese ha registrato nel corso del 2018 un rallentamento. Secondo i dati pubblicati giovedì 28 febbraio dall’Istituto Nazionale della Statistica e degli Studi Economici (INSEE), l’anno scorso il PIL (Prodotto Interno Lordo) francese è cresciuto infatti dell’1,5% su base annua, ossia un calo di quasi un punto percentuale (lo 0,8%) rispetto al 2017, quando la crescita era stata del 2,3%.
Nel quarto ed ultimo trimestre 2018, il PIL transalpino è cresciuto con lo stesso ritmo del trimestre precedente, cioè dello 0,3%, così rivelano i dati diffusi dall’INSEE. Sull’andamento dell’economia francese negli ultimi tre mesi del 2018 hanno pesato le proteste dei cosiddetti «giubbotti gialli» contro il rialzo del prezzo del carburante e contro il carovita in generale.
Secondo le stime del ministero dell’Economia e delle Finanze, le giornate di mobilitazione convocate dai «gilets jaunes» – siamo già a quindici sabati a partire da metà novembre – hanno esercitato un impatto negativo sull’economia transalpina, «nell’ordine di 0,2 punti di crescita trimestrale». Lo ha dichiarato giovedì 28 febbraio il titolare del dicastero, Bruno Le Maire, che ha parlato di un «costo molto elevato».
Costa Rica: il Paese sarà «decarbonizzato» nel 2050
Il presidente del Costa Rica, Carlos Alvarado, ha firmato ufficialmente domenica 24 febbraio il decreto che intende eliminare entro il 2050 l’uso di combustibili fossili nel Paese dell’America Centrale (circa 4,9 milioni di abitanti). Il «Plan de Descarbonización 2018-2050», come viene chiamato, contiene infatti una tabella di marcia in dieci punti che mira a creare «un modello di sviluppo basato sulla riduzione delle emissioni di carbonio nell’atmosfera, la digitalizzazione e la decentralizzazione della produzione energetica», così ricorda BBC Mundo.
L’obiettivo è di arrivare a «zero emissioni nette», ovvero che nel 2050 il Paese non emetta più carbonio di quanto ne riuscirà a compensare attraverso le proprie foreste. Ma l’impresa si presenta ardua, come osserva Jairo Quirós, ricercatore dell’Università di Costa Rica, sul Guardian. Alcuni obiettivi saranno difficili a raggiungere, ad esempio l’addio ai combustibili fossili nel settore dei trasporti, visti i costi che la conversione all’elettrico comporta, spiega Quirós. Mentre entro il 2035 il 70% degli autobus del Paese e il 25% di tutte le auto dovranno essere elettrici, per finanziare l’ambizioso programma serve soprattutto una «riforma fiscale verde», sostiene il ricercatore. Il Paese è comunque già sulla buona strada: l’anno scorso, il 98% dell’elettricità proveniva infatti da fonti rinnovabili, ricorda sempre il Guardian.