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Jazmin era pronta a festeggiare i suoi 15 anni, ma Dio l’ha chiamata a sé

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Fraternità San Carlo Borromeo - pubblicato il 25/02/19
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I suoi genitori avevano già perso un’altra figlia, i suoi amici sono inconsolabili. Eppure stare di fronte al mistero di Dio pregando a cuore aperto e ferito porta una carezza di speranza: il Bene del Padre non ci tradisce.di Patricio Hacin, viceparroco di San Rafael ad Asunción in Paraguay

Jazmín ha quattordici anni, le piace ballare e stare insieme alle amiche. Ha una bella famiglia, forse ancora ferita dal dolore per la morte di una sorellina di quasi due anni. Suo padre e sua madre sono collaboratori fedeli di una cappella in un paese della periferia di Asunción. Lì, la domenica, diverse famiglie recitano il rosario. L’idea è che, lungo un anno, si reciti il rosario in tutte le case.
Poco tempo fa, la mamma di Jazmín chiede alla ragazzina: “Figlia, il tuo compleanno è a dicembre, dobbiamo celebrare la quinceañera [i quindici anni]. Dimmi chi saranno gli invitati”. E lei risponde: “Dato che mi chiedi la lista degli invitati, mamma, verranno tutti quelli che vogliono venire”.
Qualche giorno fa, Jazmín va a una quinceañera e inizia a sentirsi male. I genitori vanno a prenderla e la portano immediatamente dal dottore. Tornano a casa ma lei continua a stare male. Spendono i giorni passando da un dottore all’altro, fino a quando peggiora a tal punto che viene portata d’emergenza all’ospedale dove scoprono che ha una grave malattia al cuore.


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Nella nostra parrocchia abbiamo l’abitudine di riunire ogni sabato un centinaio di ragazzi. Un giorno, un gruppetto di loro è venuto a chiedermi di pregare per un’amica gravemente ammalata. Così ho conosciuto Jazmín. Quello stesso giorno, infatti, sono andato a visitarla all’ospedale e ho avuto l’occasione di conoscere anche la sua famiglia. Sono entrato nella sala della terapia intensiva e ho pregato per lei, che era in coma. Ho potuto anche impartirle i sacramenti.
Torno a visitarla la domenica successiva: il dottore mi dice che il suo cuore si sta spegnendo. Le amministro ancora una volta l’unzione degli infermi. Recitiamo poi un rosario insieme alla famiglia e con gli amici. Il giorno seguente, Jazmín sta ancora male ma pare stia migliorando. Il dottore comincia a nutrire qualche speranza.

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Ogni volta che si apre la porta della sala dove la ragazza è ricoverata, è come una spina nel cuore per chi le vuole bene. Fino a quando quella porta si apre ma per comunicare ai familiari che Jazmín si è spenta.
Immediatamente sorge la domanda sul perché. La pongono i genitori, che sono già passati attraverso il doloroso cammino della “perdita”, e gli amici, che sono anche i miei amici e che continuano a guardarmi aspettando una parola.


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Domando ai ragazzi: “Come ha agito Dio in questi giorni?”. Rispondono: “È rimasto in silenzio e ci ha lasciato una speranza”. “Allora – dico loro – continuiamo così”.
Una marea di giovani presente al funerale, tra pianti e grida, mi impedisce di iniziare la messa. Il papà di Jazmín si alza e grida: “Basta! Adesso preghiamo”. Un grande silenzio scende allora sulla messa e sul funerale.
Qualche giorno fa, sono arrivati al collegio di Jazmín gli psicologi per aiutare i ragazzi. Una di loro, quattordici anni, mi scrive: “Pato, come è grande la nostra amicizia! Quanto è diverso stare di fronte al dolore con il silenzio di Dio, in attesa di una Sua risposta. Qui, al contrario, tutti voglio rispondere a quello che, in fondo, è un grande mistero”.


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Commosso, penso al mio silenzio, tanto vero quanto impotente. Capisco che è stata questa ragazza, con il suo messaggio, la prima a ricevere la risposta di Dio. Aspettare insieme è l’unica possibilità di stare di fronte alla storia. Il problema dei grandi perché è il problema di un’amicizia. Educare a questo significa educare all’unica speranza che non tradisce.

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