Abusata dal padre – insieme alla sorella – e poi dal parroco. infine, violentata da un marito imposto
“Come un melo tra gli alberi del bosco, così l’amato mio tra i giovani. Alla sua ombra desiderata mi siedo e dolce il suo frutto al mio palato” (Cantico dei Cantici 2,3).
Il bosco è presente in molti miti e fiabe, pieno di pericoli e di misteri dove è sempre in agguato il lupo, dove si possono incontrare fate o draghi. Il bosco, che spesso si presenta nei ricordi dei bambini, nei sogni e nell’espressione pittorica può esprimere tutto ciò che ci manca nella casa, la privazione di un amore che genera paura, un momento di tensione o semplicemente indicare il bisogno della ricerca di noi stessi. Avvertire di una imminente disgrazia o indicare che dei problemi si risolveranno. Un padre e un sacerdote, parroco che benedisse anche le nozze con lo sposo imposto e mai amato. L’abuso fu anche per la sorella, sistematico, seriale, devastante. Quanti bambini orfani con genitori vivi, di ieri e di oggi. Cosa spinge i sopravvissuti a vivere? A non farla finita? In molti casi è una forza interiore e l’incontro con qualcuno che li ama, li riama come “l’amato mio tra i giovani”. La difesa dei bambini vale più del perdono. Il perdono dev’essere consapevole, cosciente, riconciliante, libero e autentico. È un’esperienza della persona, che sceglie di vivere un rapporto positivo nei confronti di un’altra che l’ha offesa: e il cristiano deve perdonare perché ha sperimentato, nella fede e nella vita, che è stato perdonato. In un percorso di guarigione alcune vittime si sono riconciliate con il loro abusatore nel dono ricevuto in un cammino di fede: Dio perdona me e io perdono chi mi ha offeso. Ma gli abusatori, raramente, molto meno, chiedono perdono: sono malati lucidi, consapevoli di aver fatto il benessere del bambino senza sensi di colpa e vergogna. Conosciamo la testimonianza di abusati riconciliati con il proprio abusatore. Un dono grande, un esempio per i tanti. Altri attendono ancora che l’abusatore abbia il dono di dire: perdonami! Non è sempre così. Ecco perché ci affidiamo all’esempio ancora vivo del martirio della piccola vergine Maria Goretti (don Fortunato Di Noto).
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«Io fanciulla, abusata da mio padre e molestata dal mio parroco: sento ancora il fetore e non il profumo di Gesù. Molestata dal parroco quand’ero bambina, rientrai in chiesa dopo tanti, tanti anni, per la formalità del matrimonio. Mi benedisse le nozze: senza vergogna. A chi dovevo denunciare? Ditemi voi, a chi? Oggi sono una donna adulta, mamma, con una storia di sofferenza indicibile, dove solo l’arte mi viene incontro e mi consola. Ogni giorno, però, mi domando perché mi vengono strane idee in testa, scrivere su di me è faticoso perché difficoltosa è stata la mia vita che ora conosco. VITA mi chiamavano i miei sogni. Vita incruenta ma travagliata, tormentata, vita straziata, lacerata, squarciata.
La conseguenza dell’abuso da parte di mio padre e del parroco della mia parrocchia da cui scappai. Complicità nella complicità. Dai 4 anni fino a 9, quando smise, per iniziare con mia sorella, ella venne in lacrime a raccontarmi tutto ed io lo minacciai, lo minacciai…poi non ricordo nulla. Per anni, il dolore e la sofferenza furono anestetizzanti, all’età di 11 anni, ricordo che avevo mal di pancia, poi il buio più totale. Non sono riuscita a ricordare altro. Entrata in quell’ambulatorio non ricordo nulla e non ho il coraggio di chiederlo a mia madre.
I luoghi sono vicini a dove vivo, ci passo, mi chiedo tante cose…ma non ho risposte. I ricordi rimembrano tutto quello che di positivo e di naturale ho vissuto, ma per tanto tempo hanno cessato di richiamare alla memoria, le esperienze che hanno avuto la forza nel deteriorare la mia giovane vita. Io fanciulla…voglio un ritorno non per giudicare e punire nessuno ma per rivolgere lo sguardo in avanti con gli occhi trasfigurati. L’abuso condizionò tutta la mia vita, le mie scelte, il rapporto con i primi amori. Che ricordi, avevo paura non avevo mai dato un bacio, non sapevo, eppure quel giorno quando questo ragazzo mi baciò, mi schifai, mi misi a piangere e scappai via…Lui si offese, io tenni per me quel terribile ricordo che affiorava mentre lui mi baciava. Ma non capivo il perché. Fuggire era il mio desiderio, fuggire.
Poi a soli 15 anni mio padre, che aveva abusato di me, ripetutamente, mi obbligò a fidanzarmi ufficialmente. Iniziai una vita non mia e gli atri pilotavano i miei gesti, vivevo in aria come tutto fosse una favola. Ma anche questo ragazzo imposto dal potere di un padre manipolatore, un giorno mi portò in riva al mare e mi violentò. Sì, non era amore: questo lo capii dopo tanto tempo. Sposai poi quell’uomo: una brava persona, dicevano, come mio padre. Quanti incubi. Rimasi incinta e nacque una bimba bellissima…io ricordo le lacrime che versai per lei alla sua nascita, avevo paura. Avrebbe fatto la mia stessa fine. Io fanciulla, lei bambina e una sera le sussurrai: perdonami per averti fatta nascere. Quanta felicità immaginaria, quanti ricordi arroventati: mi indebolivo sempre di più.
Ero come un’ardesia: mi avevano cancellato, annientato la mia fanciullezza, con un gesto rapido e sbrigativo, superficiale come fa un cancellino…poi niente più. Nero era il mio colore, il buio si prendeva gioco di me. Il canto dei grilli, le stelle cadenti in una notte di San Lorenzo. Nel desiderio di ritornare bambina intravedo la voglia di vivere da bambina con atteggiamenti puri, semplici, capace di apprendere sempre più per vedere in quegli occhi stanchi e persi nel vuoto tante stelline colorate. C’è una sfrenata voglia di vivere quello che non ho mai vissuto: amare ed essere amata così come sono, invece da bambina sono stata amata malissimo fino a quando a scuola mi accorsi che gli altri bambini avevano una luce diversa: i loro occhi erano pieni di stelline, erano felici! Andai a casa di corsa per confrontarmi con lo specchio, nessuna stellina splendeva, neppure una lacrima, non capivo! La mia infanzia vissuta in quell’angolo di quella piccola casa, tra l’odore di zagara e tra la morte del mio piccolo cuore in solitudine. Cercavo amore ma mi è stato dato dolore fisico, sensi di colpa senza la possibilità di uscirne fuori, con la voglia di scappare per volare in spazi infiniti dove niente e nessuno poteva entrare.
Il mare leniva le mie sofferenze più impietose, mi sentivo capita e mi tranquillizzavo…troppe sofferenze mi resero dura, forte, donna, ma nella mia pittura ritorno a ritroso come un gambero a percorrere ipoteticamente la strada non fatta. Qualcuno potrà dire illusione pura. No, è un mio stato d’essere che mi porta a rendere necessario quello che è probabile. Non è forse Gesù, che ci invita a ritornare bambini, perché lo fa? Forse vuole dominarci? No!! LUI solo parla d’amore, di semplicità, di ingenuità, di chi non si sofferma molto a pensare, ma ama E’ necessario sapere chi siamo e ciò che da’ senso alla nostra vita.
Spesso ritornavo nel mio angolo rassegnandomi che la vita era quella! Conferma mi è stata data dal mio fidanzato, con cui tentai di parlare della violenza subita, lui rispose: tutti i papà fanno così. E mi rassegnai. Poi il buio, la mia mente aveva rimosso tutto. Un giorno dopo un tentato suicidio di una persona a me tanto cara, inizia l’analisi con una psicologa: da quel giorno mi aiutò a ricordare, a scrivere. Ho tanti scritti: iniziai a vomitare, un vomito come un rospo e sentivo i peli che arrivavano fino alla gola. Ho pianto tanto nel ricordare quegli atti abominevoli! Ero ancora sola. Nessuno mi aiutava. Ero una pazza. Nessuno mi credeva, fino a quando un giorno decisi che lo avrei ucciso, quel marito imposto dalla violenza di mio padre, perché la vita era invivibile, era un’ossessione. Mi tormentava anche dopo il matrimonio, tutto doveva passare da lui. Poi la separazione, e i problemi in famiglia aumentarono.
Un giorno Dio volle che io conoscessi una persona fantastica che mi aiutò a capire cosa vuol dire amore, fusione di due corpi, complicità gratuità. 11 anni vissuti insieme e poi un brutto tumore lo ha portato via da me. Con il suo aiuto sono riuscita ad accettare che nel mondo ci possano essere bastardi come mio padre che si può anche perdonare, solo se richiesto. Quanto ho desiderato che mi avesse chiesto: perdonami!! Che si può assistere anche da vicino con compassione un padre: ha avuto un tumore per 10 anni: io l’ho assistito, ma quando è morto ho festeggiato. Di quel parroco, che fuggii in tempo, mi rimane il suo fetore. Il Signore mi perdoni ma, mio padre, non mi manca per niente anzi…Ancora oggi sento gli odori, sento i rumori, non potrò mai dimenticare…il mio bosco blu che mi proteggeva!».