Brexit: sette deputati di Labour lasciano il partito
La questione Brexit, cioè l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, ha provocato una spaccatura all’interno del maggior partito dell’opposizione, Labour. Lunedì 18 febbraio sette deputati del Partito Laburista hanno annunciato infatti di abbandonare la formazione, perché in profondo disaccordo con l’operato di Jeremy Corbyn, che guida Labour dal 12 settembre 2015, e di voler costituire un «Gruppo Indipendente» nella Camera dei Comuni.
I sette dissidenti, fra cui Chuka Umunna, noto come «l’Obama britannico» (è nato da padre nigeriano e da madre anglo-irlandese), e Luciana Berger, ebrea, accusano Corbyn di essere ambiguo sulla Brexit e inoltre di non combattere l’antisemitismo strisciante in seno al partito. I deputati del «Gruppo Indipendente», che respingono anche la politica di «hard left» o sinistra radicale di Corbyn, promuovono l’organizzazione di un secondo referendum sul recesso del Regno Unito dall’UE.
Mentre il vice-segretario di Labour, Tom Watson, ha esortato Corbyn a cambiare rotta, perché a volte «non riconosce più» il proprio partito, la casa automobilistica giapponese Honda ha annunciato martedì 19 febbraio che fermerà a fine 2021 la produzione nell’unica fabbrica del Regno Unito, quella di Swindon. Nell’impianto, dove lavorano 3.500 persone, sono stati prodotti l’anno scorso circa 160.000 veicoli. Si allunga quindi l’elenco delle aziende, fra cui Nissan e Panasonic, che hanno annunciato di spostare una parte della loro attività in altri Paesi o limiteranno i loro investimenti nella Gran Bretagna.
USA-Europa: le due sponde dell’Oceano sempre più divise, anche sulle auto
In un articolo di opinione pubblicato lunedì 18 febbraio su USA Today, l’ex ambasciatore statunitense presso la NATO, Nicholas Burns, si è soffermato sulle relazioni tra gli USA e l’Europa, e in particolare sulla «più preoccupante divisione da tempo immemorabile» tra le due sponde dell’Oceano, emersa «drammaticamente» durante l’annuale Conferenza sulla Sicurezza di Monaco (15-17 febbraio). A Monaco di Baviera, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il vice-presidente americano Mike Pence hanno mostrato infatti «punti di vista notevolmente contrastanti» sul futuro della NATO e sulle relazioni transatlantiche.
La «normalmente tranquilla e educata» Merkel, che «sembra arrivata ad un punto di rottura» con l’amministrazione Trump, ha criticato ad esempio la politica dei dazi del presidente, che potrebbero colpire anche le esportazioni di macchine europee (soprattutto quelle tedesche) verso gli Stati Uniti. L’idea che macchine tedesche possano costituire una minaccia per la sicurezza nazionale degli USA è stata definita «scioccante» dalla Merkel, che ha ricordato che il più grande stabilimento di produzione del colosso BMW non si trova in Baviera ma nella Carolina del Sud, quindi su suolo statunitense.
Mentre il dossier relativo ai dazi sulle auto preparato dal Dipartimento del Commercio è arrivato sulla scrivania del presidente, come ricorda il Washington Times, l’Unione Europea ha già annunciato attraverso un suo portavoce, il greco Margaritis Schinas, che reagirà «in modo rapido e adeguato». «L’Unione Europea manterrà la sua parola fino a che gli Usa faranno la stessa cosa», ha detto Schinas.
USA: 16 Stati fanno causa a Trump per la barriera anti-migranti
Negli USA, una coalizione di 16 Stati ha depositato lunedì 18 febbraio presso una corte federale della California un’azione legale nei confronti dell’amministrazione Trump per la barriera anti-migranti lungo il confine col Messico. I 16 Stati, tra cui la California, il Colorado, le isole Hawaii, l’Illinois e lo Stato di New York, accusano il presidente di aver abusato del suo potere esecutivo, quando venerdì scorso ha dichiarato l’emergenza nazionale al confine con il Messico. La mossa offre a Trump la possibilità di «bypassare» il Congresso e di spendere più di 8 miliardi di dollari per realizzare la sua promessa elettorale, invece del budget di 1,375 miliardi previsto nel compromesso «bipartisan» sulla sicurezza frontaliera.
«Cercheremo di trattenere il presidente dal violare la Costituzione, la separazione dei poteri, dal rubare soldi agli americani e agli Stati che sono stati finanziati dal Congresso», così ha dichiarato il procuratore generale della California, Xavier Becerra. Come osserva la CNN, la nuova azione legale è solo l’ultima sfida lanciata contro l’amministrazione Trump. Questo fine settimana, il Center for Biological Diversity, il Border Network for Human Rights e l’American Civil Liberties Union (ACLU) hanno annunciato cause contro il presidente, che però non si fa impressionare. In alcuni tweet, Trump ha criticato (e preso in giro) la California per il progetto del treno ad alta velocità, che è stato fortemente ridotto, e per il quale lo Stato ha ricevuto fondi federali, che non vuole restituire, come ricorda il Daily Mail.
Pakistan: visita del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman
In visita in Pakistan, la prima tappa del suo giro in Asia, che lo porterà anche in India e in Cina, il principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman (noto anche con la sigla MBS), ha promesso aiuti e investimenti per un valore pari a 20 miliardi di dollari, una boccata d’ossigeno che arriva per il Paese asiatico in un momento delicato. Come scrive La Vanguardia, due vicini del Pakistan, cioè Iran e India, puntano infatti il dito contro Islamabad per gli attentati suicidi che la settimana scorsa hanno causato la morte di decine di Guardie della Rivoluzione nella provincia iraniana di Sistan e Belucistan, e di almeno 49 paramilitari indiani nel Kashmir.
La visita offre anche al principe ereditario «ossigeno», continua il quotidiano. Per MBS, il viaggio è un’opportunità per ripulire la sua immagine all’estero, fortemente compromessa dal caso Jamal Khashoggi, il giornalista saudita ucciso il 2 ottobre 2018 nel consolato a Istanbul, Turchia. Secondo l’ONU, il giornalista, molto critico nei confronti della dinastia regnante degli al-Saud e in particolare del principe ereditario, «è stato vittima di un brutale e premeditato omicidio, pianificato e perpetrato da funzionari dello Stato dell’Arabia Saudita». In occasione della sua visita in Pakistan, il principe ha ordinato il rilascio «immediato» di 2.107 cittadini pakistani incarcerati in Arabia Saudita, così ha annunciato il ministro dell’Informazione del Pakistan, Fawad Chaudhry.
Francia: profanato cimitero ebraico
Più di 80 tombe del cimitero ebraico di Quatzenheim, nel dipartimento del Basso Reno, nella Francia nordorientale, sono state profanate. Lo ha annunciato la prefettura del dipartimento nella mattinata di martedì 19 febbraio, così riporta il quotidiano Le Monde. Secondo le autorità francesi, le tombe sono state imbrattate con la svastica o croce gammata, e una lapide porta anche le parole «Elsassisches Schwarzen Wolfe», cioè «Lupi neri alsaziani», un possibile riferimento ad un gruppo separatista che era attivo negli anni ‘70 nella regione dell’Alsazia. «Chi ha fatto questo non è degno della Repubblica ed essa li punirà», così ha dichiarato il presidente Emmanuel Macron, che ha visitato a sorpresa il cimitero, e ha promesso di legiferare. L’ultima profanazione di un cimitero ebraico nell’Alsazia era avvenuta lo stesso giorno dell’attentato contro il mercatino natalizio di Strasburgo, l’11 dicembre scorso, a Herrlisheim.
La nuova profanazione arriva solo pochi giorni dopo il clamore per le offese antisemite lanciate contro il noto filosofo ebreo Alain Finkielkraut in occasione della 14.ma giornata di mobilitazione dei «giubbotti gialli». L’intellettuale, che è membro dell’Académie Française, è stato aggredito verbalmente per strada, durante la giornata di sabato 16 febbraio, da alcuni manifestanti al grido di «sporco secessionista ebreo», «fascista» ecc. Mentre il saggista ha preferito non sporgere denuncia, la procura di Parigi ha aperto domenica 17 febbraio un’inchiesta, rivela Libération. Finkielkraut, che in autunno aveva espresso «simpatia» per i «gilets jaunes», ha denunciato venerdì 15 febbraio in un’intervista con il quotidiano Le Figaro le derive del movimento.