Una riflessione su un’importante fase storica e sulla sua feconda eredità«Il Sessantotto è uno dei rari esempi in cui la storia, in quanto progresso dell’umanesimo, si è avvicinata all’utopia cristiana. Circolavano in quel periodo studi e scoperte di autori che descrivevano la condizione insostenibile dei dannati della terra e il grido per la loro liberazione. La radice dell’amore per l’umano liberato da ogni genere di oppressione è il filo rosso interessante di un legame comune che si può intravedere tra il Sessantotto e il Testamento di Gesù». È quanto scrive Carlo Di Cicco, giornalista, già vicedirettore del nostro giornale, nell’ultimo suo libro, un agile volumetto nel quale si cimenta in un singolare lavoro di ricerca di affinità tra l’idealità che animò il movimento studentesco alla fine degli anni sessanta e il messaggio evangelico dell’amore, quel comandamento nuovo lasciato da Gesù in eredità ai suoi discepoli. Il 68 e il testamento di Gesù (Trapani, Il Pozzo di Giacobbe, 2018, pagine 70, euro 10) si presenta, dunque, come una riflessione personale lungo questo filo rosso, identificabile nella «radice dell’amore per l’umano liberato da ogni genere di oppressione». Potrebbe apparire un azzardato esercizio speculativo, ma invece il ragionamento si rivela pieno di interessanti suggestioni. Di Cicco è un sessantottino, l’anagrafe lo conferma, ma non è un nostalgico disilluso per una rivoluzione incompiuta o compiuta solo in parte. E non è nemmeno indulgente nel giudicare la deriva violenta della contestazione giovanile ad opera di alcune frange del movimento. Al contrario è un testimone, che di quella stagione di grandi fermenti si porta dietro, cinquant’anni dopo, la spinta propositiva al cambiamento e, soprattutto, la consapevolezza «che alla radice di tutto ci fu un’esperienza d’amore che divenne contagiosa», nonché «la convinzione del legame sottile ma profondo tra la rivolta giovanile e il lievito di novità del Vangelo».
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I passaggi più interessanti del libro sono proprio quelli in cui la riflessione dell’autore cerca di ricostruire i punti di contatto tra i fermenti della società civile e il rinnovamento in atto nella Chiesa in quegli anni. E nel farlo sposta l’attenzione sugli studenti cattolici, i quali «pensarono con molta responsabilità all’opportunità del Sessantotto come un banco di verifica della fecondità degli ideali cristiani aggiornati e rifondati dal concilio Vaticano II appena concluso». Di Cicco sottolinea come con il concilio la Chiesa avesse «abbandonato la spada e ripreso il Vangelo», incamminandosi «sul sentiero del samaritano», avviando «un’opera gigantesca per superare e aggiornare una mentalità cristiana cresciuta in simbiosi con i poteri temporali». In tale contesto, aggiunge, «il Sessantotto aiutò a maturare un nuovo modo di pensare la Chiesa come popolo di Dio che condivide le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto, registrando i primi frutti di abitare in modo nuovo la città dell’uomo da parte dei cristiani».
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L’autore cita Giovanni XXIII, la novità inattesa di un pontificato innovatore, iniziatore di un concilio grazie al quale «la Chiesa usciva dalle nebbie delle incrostazioni passate, scendeva dal piedistallo dell’autoreferenzialità e cominciava come istituzione l’avventura del servizio, della lavanda dei piedi». Poi Paolo VI, che raccolse il testimone, dando alle stampe un’enciclica sullo sviluppo dei popoli e che aprì il 1968 con la prima giornata mondiale della pace. Sulla scia di queste novità nascevano in Italia esperienze strutturate destinate a divenire segno profetico nella società, come Pax Christi, la Caritas, e altre che si aprivano al mondo, come l’Operazione Mato Grosso, capofila di una serie di iniziative di volontariato internazionale. Anzi, sottolinea Di Cicco, «il volontariato diventò un modo di riparare ingiustizie e squilibri sociali presenti nei paesi del benessere».
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Al pari dei partiti politici conservatori, anche le Chiese, contravvenendo al messaggio conciliare, non incoraggiarono i giovani e non li affiancarono nella realizzazione delle loro migliori aspirazioni. Ciononostante il contributo cristiano e cattolico al Sessantotto è stato sostanzioso, più di quanto si riconosca. E i frutti di quell’impegno sono ancora visibili, molto più di altri. «A differenza del Movimento studentesco — scrive infatti l’autore — parecchie delle realtà cattoliche spuntate allora si sono sviluppate e operano ancora in favore dei poveri e degli esclusi». E dopo cinquant’anni, aggiunge, «oggi i giovani hanno un grande alleato in Papa Francesco che, nel solco di quel concilio e con una capacità personale di dialogare con tutti, invita a superare con la rivoluzione della tenerezza un “sistema che uccide”». Ai giovani il Pontefice affida il compito di «tenere viva la speranza, farsi carico delle disparità, responsabilizzarsi in competenze e solidarietà per dare una svolta umanistica che gli adulti non sono stati capaci in tante generazioni di imprimere alla storia». Che poi non è altro che la realizzazione di quanto chiesto da Gesù nel suo testamento, il suo lascito alla Chiesa: una Chiesa sempre più guidata dall’amore e dalla misericordia.
«Il Sessantotto non tornerà più, né potrà ripetersi tale e quale a quello che fu. Può tornare lo spirito del Sessantotto perché società e istituzioni hanno sempre bisogno di rinnovarsi». È questo l’auspicio di Di Cicco, per andare oltre una sterile commemorazione e non disperdere una feconda eredità.