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Si può essere fascista e predicare il Vangelo? Il beato Teresio Olivelli lo ha fatto

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 16/02/19
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Alcune lettere inedite rivelano un continuo richiamo a Dio per rispondere ai provvedimenti del regime. Ecco cosa scriveva Teresio

È passato un anno dalla beatificazione di Teresio Olivelli, giovane laico della diocesi di Vigevano, morto a soli 29 anni nel campo di concentramento nazista di Hersbruck; ucciso in odium fidei per aver fatto scudo con il suo corpo al pestaggio di un compagno di prigionia ucraino.

A lui si deve la “Preghiera del ribelle”, pubblicata clandestinamente nel 1944 poche settimane prima del suo arresto e diventata il manifesto di quanti da cattolici partecipavano alla resistenza contro il nazismo in quell’ora difficile. Un testo che Teresio aveva intitolato “Signore, facci liberi” e che si concludeva con l’eloquente invocazione «ascolta la preghiera di noi ribelli per amore».

Ma prima di diventare un eroe antinazista, Olivelli è stato un’attivista del fascismo in Italia. Pur restando un fervente credente, ha provato a “bilanciare” il cristianesimo con la dittatura. Come ha fatto? Di certo non ha avallato gli aspetti indiscutibilmente critici del regime.

TERESIO OLIVELLI

Domaine Public

L’adesione al Fascismo

La Stampa (15 febbraio) descrive questo aspetto inedito del beato pubblicando alcuni stralci del libro “Beato Teresio Olivelli. Epistolario (1932-1944)” (editrice Cittadella).

Il diario scritto dal giovane Teresio è composto da 130 lettere, raccolte da monsignor Paolo Rizzi, il massimo studioso del beato.

Olivelli, che aderisce ai Gruppi Universitari fascisti, che espone il suo pensiero nei littoriali della cultura, che arriva addirittura a lavorare per l’Istituto nazionale di cultura fascista, non è una persona diversa rispetto al «ribelle per amore» del 1944. Pur nelle scelte talvolta discutibili che compie – in un contesto avvelenato dalle grandi ideologie del Novecento – la sua bussola resta costantemente il Vangelo a cui vorrebbe orientare il regime.


DOLORES IBARRURI
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La critica

Olivelli fu nel fascismo, ma non fu del fascismo. La critica alla dittatura si manifesta nella lettera inviata nel 1937 ad Aldo Barozzi, capofila del gruppo fascista-antireligioso del Ghislieri, quando prende le distanze dalla cosiddetta mistica fascista: «Spesso la ragione ha più buon gioco nel corrodere che nel costruire (…) Ma non ci è lecito abbandonare questa roccia: l’unica sulla quale possiamo sicuramente costruire».

Quella «roccia», per Olivelli, poggia sull’ «Assoluto, Dio». «Solo in Dio – evidenzia – la vita acquista un senso. L’uomo trova l’espressione più alta del suo desiderio: la “pace” ch’è visione serena e riposante della realtà e la pienezza data dal flusso divino in noi» (Il Nuovo Mellino, 31 gennaio).



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Le leggi razziali

Anche dentro quel mondo non nasconde mai la sua fede, a costo di attirarsi inimicizie e svantaggi. Ad esempio, scrive La Stampa, fin dal 1938 risulta chiarissima la sua dissociazione dalle leggi razziali e tutto ciò che comportano: «Il concetto di razza, estraneo alla nostra tradizione culturale, svaluta e svuota l’idea di Roma, universale», scrive in una lettera ad un amico. Reagisce alla chiusura del giornale Vita cattolica di Cremona, stigmatizza la rimozione dei docenti ebrei dalle scuole, prova imbarazzo di fronte all’invasione hitleriana della Cecoslovacchia.

L’ingresso dell’Italia in guerra

È apertamente contrario all’ingresso in guerra dell’Italia, anche se si arruolerà volontario come sottufficiale per non lasciare solo chi viene mandato a morire.

Nell’aprile 1941 scrive allo zio sacerdote una lettera che segna probabilmente il momento chiave della sua presa di distanza dal fascismo: «Pensi tu che basti un riconoscimento formale e un appoggio ufficiale al rito perché un governo si dica cristiano? Vi è un cristianesimo sostanziale: un’anima del cristianesimo oltre un corpo tangibile, se pur più difficilmente accertabile». Con questa consapevolezza partirà comunque volontario per il fronte russo.



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Il passaggio con la Resistenza

E dopo la disfatta – rientrato avventurosamente in Italia – scriverà personalmente una lettera colma di umanità alle madri dei soldati del suo battaglione di cui non si hanno più notizie.

Le ultime lettere raccolte nel libro sono quelle successive all’8 settembre 1943 con l’adesione alla resistenza e l’opera clandestina per promuovere una «rivolta dello spirito» contro gli orrori del nazismo e dei repubblichini.

«Mossi impetuosa la vita. Sugli abissi mi librò il Signore: dolcemente – scriverà Teresio nell’agosto 1944 dal campo di concentramento, nell’ultima lettera alla mamma, considerata il suo testamento – Ho consumato il mio corso, ho conservato la fede, ho combattuto la buona battaglia. Se qualche incremento al Regno di Dio è venuto o verrà per opera mia, la mia gioia sarà completa».



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