Scampoli di vita familiare “domenicale”: l’esaltante avventura di accompagnare i figli nel cammino della fede.“Mamma, ma perché stanno dicendo Sàneto Sàneto Sàneto?”
“Cosa, Isabella?” le rispondo senza cogliere subito quello che ormai, negli anni, è diventato lo stile ricorrente con il quale si sente intonare il canto che conclude il Præfatio e ci invita con una certa sanremese enfasi ad unirci ai cori angelici per lodare il Signore. Siamo a ridosso della preghiera eucaristica, a breve ci inginocchieremo, non senza urtare rumorosamente contro il banco o abbassare a velocità troppa elevata il cuscino dell’inginocchiatoio.
Eccoci: siamo noi, la domenica, a Messa.
Isabella ora ha 9 anni, ha fatto la prima confessione e partecipa con malcelata insofferenza alla celebrazione anche se si impegna con grande profitto nell’imparare a memoria il Credo e il Gloria. E tante altre preghiere della nostra tradizione. Le recita spesso e cerca di penetrarne il significato. E prega al posto a spesso due volte per supplire al fratellino impossibilitato. “L’Angelo di Dio che è il suo custode” da noi ricorre sovente come invocazione, la sera o la mattina in auto.
È contenta, sempre Isabella, e non è la sola delle nostre figlie, se arriviamo tardi e si intrattiene in sempre più brevi conversazioni, sebbene a bassa voce, con le sorelle, vergognosamente più grandi.
La nostra famiglia e la Messa domenicale sono come una storia d’amore intenso e non sempre corrisposto. Il Signore sì continua ad amarci e ad offrirsi nella liturgia e sono certa che piano piano indefessamente stia continuando a cambiarci, Lui l’unico in grado di occuparsi senza fare pasticci di ri-editing genetico.
Come forse ho già raccontato ho quattro figli e la nostra carriera di famiglia numerosa in chiesa ha conosciuto alti e bassi. Possiamo vantare allattamenti furtivi, cadute di naso sulle panche, tonfi improvvisi per via del libro dei canti lasciato cadere in un momento di raccoglimento (altrui). Entusiasmo partecipato per i canti, soprattutto quelli con almeno due voci e quel non so che di country o pop che, ahinoi, caratterizza certa recente eppure tenace tradizione.
Abbiamo ricevuto rimproveri da qualche vicino infastidito o inviti dal pulpito a lasciare partecipare il neonato di turno secondo le modalità sue proprie: urla acute e prolungate. Abbiamo cercato continuamente di aggiustare il tiro, alternandoci tra dentro e fuori la chiesa, mio marito ed io.
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Siamo usciti prima della benedizione e con qualche parola poco gentile rifilata al figlio più irrequieto. E grazie sempre ai figli siamo entrati di più nel mistero di un Dio nascosto e potente che, i bambini sono capaci di chiederselo e di chiedercelo, si acquatta nell’ostia e nel calice. “Ma perché lo fa? Ed è contento di entrare in tutti? Perché, mamma, vuole che lo mangiamo?”
Oppure abbiamo notato e fatto notare a tutta l’assemblea che effettivamente “Don Luca sta benissimo in rosa!” Così, almeno, ha urlato la piccola in piedi e tutta protesa in avanti. Comunque è stata un ottimo pretesto per chiedere, a celebrazione conclusa, il motivo di quel colore. E non era il fatto che il rosa gli donasse tanto.
Ora siamo definitivamente fuori dall’epoca “stanzetta dedicata” che in alcune chiese si trasformava in una ludoteca con lancio di grossi blocchi di costruzioni e gragnuola di pennarelli e disegni di ogni tipo e liti tra coetanei.
La cosa che possiamo appuntarci come un vanto è che ci siamo sempre andati, in quasi tutte le condizioni e che, per l’occasione, ognuno doveva vestirsi elegante. Doveva vedersi dall’outfit scelto che era domenica, un giorno diverso, un giorno bello.
E ora che “vestirsi da eleganti” non viene più specificato con questa buffa espressione, ora che l’adolescenza garantisce un minimo di scontento e sarcasmo per ogni evenienza, resta comunque assodato: la domenica è la Domenica. E a Messa si va.
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Un attimo: la più grande sa e capisce, ed è giusto!, che può scegliere. Sa che non imponiamo più in forza della nostra autorià di madre e padre a partecipazione alla Messa. Che la fede, ora, è sempre più sua responsabilità e conquista della sua libertà. E sebbene con noi assuma spesso un atteggiamento critico, se la ascolto, non vista, discutere con le sorelle o altri della “questione Dio e tutto il resto” la sento affermare con un rigore che mi commuove le ragioni di una fede che sta cercando di fare sua. E chiama all’appello non più solo le nostre di argomentazioni, ma proprio quelle che ha fatto sue, che ha colto altrove. Che vede sostenere dalle cugine, dal sacerdote simpatico, da ragazzi più grandi, dallo zio simpatico. Da adulti vicini a noi ma che non siamo noi. Perché per crescere occorre scostarsi dai genitori, opporsi, contestarli. E poi, infine, magari scegliere proprio ciò che loro (noi) abbiamo proposto loro. Ma liberamente!
Signore mio e loro, ti prego, continua a “braccare” amorosamente i nostri figli…
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