Abby Johnson, 38 anni, è una donna convertitasi alla causa pro vita e divenuta involontariamente molto nota negli Stati Uniti, dopo che nell’autunno 2009 decise di lasciare il suo lavoro alla Planned Parenthood, la famigerata organizzazione abortista che le aveva perfino affidato la direzione di una clinica. La storia della Johnson, già divulgata in Italia da Tempi, ha ispirato la produzione del film Unplanned (basato sull’omonimo libro, con un evidente gioco di parole, pubblicato nel 2011 dall’attivista pro life) che verrà proiettato in 800 sale americane a partire dal 29 marzo e di cui questo giovedì è stato diffuso il trailer.
Il primo contatto di Abby con la Planned Parenthood, come raccontò in un’intervista al National Catholic Register, era avvenuto nel 2001, nel suo primo anno di college, durante una fiera del volontariato, quando era rimasta attratta dallo stand rosa della multinazionale – di cui ancora non sapeva nulla – e convinta con un po’ di retorica ad agire da volontaria. In seguito, per vincere la sua educazione pro life, le era stato detto che la Planned Parenthood ‘offriva’ servizi abortivi ma che voleva ridurre il numero degli aborti. Una volta laureata Abby ottenne un contratto con l’organizzazione, lavorando come accompagnatrice delle donne che andavano ad abortire (per evitare che venissero dissuase dai pro life fuori dalle cliniche), e infine venendo scelta come responsabile di una clinica nella città di Bryan (Texas), in cui nel 2008 era stata nominata «dipendente dell’anno».
Nel settembre dell’anno successivo un fatto cambiò improvvisamente la sua vita. A causa di una carenza di personale, le venne chiesto per la prima volta di aiutare un medico che doveva praticare un aborto guidato dagli ultrasuoni, su una madre alla tredicesima settimana di gravidanza. Abby, che nel frattempo aveva personalmente abortito due volte e dato alla luce una bambina, rimase sconvolta nel constatare quanto quel bambino di 13 settimane appariva simile all’immagine di sua figlia all’epoca della propria gravidanza. Inoltre alla Planned Parenthood le avevano sempre detto, e lei stessa aveva poi riferito alle altre donne, che il «tessuto fetale» non sente nessun dolore mentre viene abortito.
La realtà le apparve invece in quei minuti del tutto diversa. Mentre veniva inserita la cannula per aspirare il corpicino nel grembo materno, Abby poteva osservare sullo schermo il bimbo contorcersi freneticamente per evitare di essere risucchiato. «Il bambino sembrava come se fosse stato strizzato come uno strofinaccio, roteato e spremuto. E poi si accartocciò e cominciò a sparire dentro la cannula, davanti ai miei occhi», ha scritto nelle sue memorie. «L’ultima cosa che ho visto è stata la spina dorsale perfettamente formata, risucchiata nel tubo, e poi non c’era più».
Per alcuni giorni la Johnson continuò a dirigere la clinica ma alla fine, scioccata da quanto aveva visto e dalle richieste di adoperarsi per accrescere il numero di aborti nella struttura, il 6 ottobre 2009 si licenziò. Da lì, dopo aver detto all’attivista pro vita Shawn Carney di non poter più promuovere la soppressione dei bambini nel grembo, ha iniziato a fare la volontaria per la Coalition for Life, volendo aiutare le donne a capire la verità sui nascituri. La sua notorietà, come si comprende da un’intervista alla CNA, è stata un effetto boomerang della battaglia legale iniziata dalla Planned Parenthood, che ha tentato di negare che quell’aborto fosse mai avvenuto e ha chiesto un ordine del tribunale per impedire ad Abby di parlare del suo lavoro nella clinica abortista, finendo per rendere il caso di pubblico dominio. «Questo non è quello che avevo programmato per la mia vita. Ma Dio ha stabilito questo per me, e sarebbe la cosa sbagliata voltare le spalle a qualcosa che Lui ha programmato per la mia vita».
Abby si è anche convertita con il marito al cattolicesimo (in questi giorni sono in attesa dell’ottavo figlio) e ha compreso l’errore sulla contraccezione, insieme alla bellezza dell’insegnamento della Chiesa sull’amore e la sessualità, studiando la Teologia del Corpo di san Giovanni Paolo II. La sua parte nel film, scritto e diretto dagli autori della sceneggiatura di God’s Not Dead (Chuck Konzelman e Cary Solomon), è interpretata da Ashley Bratcher. La stessa attrice, durante le riprese di Unplanned, ha saputo dalla propria madre (qui la toccante video-testimonianza di Ashley con Life Site News) che quest’ultima, all’età di 19 anni, si era presentata in una clinica perché pensava di abortirla ma alla fine ha troncato la visita e deciso di darla alla luce. Le vie di Dio.