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Come Paolo Miki e compagni ci insegnano a vivere e a gioire

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Paola Belletti - pubblicato il 06/02/19
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Oggi è la memoria liturgica di Paolo Miki e compagni. Sono 26 martiri giapponesi crocifissi per ordine dello Shogun nel Sedicesimo secolo. Tra loro ho trovato il Santo protettore di nostro figlio Ludovico, omonimo di uno dei fanciulli crocifissi. Come loro ci insegna la vera “utilità” della vita, soprattutto di queste vite…Sono riuscita ad arrivare a messa pressoché in orario e senza fiatone, entro il secondo paragrafo della prima lettura per lo meno. È presa dal Genesi, si ferma al quarto giorno di creazione. Per questo mi è rimasta l’acquolina in bocca. Perché è tutto buono, ma non ancora molto buono fino al sesto giorno, fino all’uomo. Il sacerdote nell’omelia ha ricordato il martirio di Paolo Miki e compagni. Lo ha fatto leggendo la cronaca dettagliata di un contemporaneo di cui non si sa il nome, credo.

La loro marcia verso la morte mi ha entusiasmato e addolorato e di nuovo entusiasmato, nel dolore.

Sono martiri, sono in 26. Sei francescani spagnoli, gli altri giapponesi. Sono laici, sacerdoti, catechisti, terziari, uomini e bambini. Sì bambini.


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Vanno a piedi per più di quattrocento miglia -non chilometri- d’inverno sotto diverse intemperie e sopra svariati terreni. Larga parte di popolo li accompagna con rispettoso, devoto silenzio. Il cristianesimo seminato da San Francesco Saverio e i suoi era cresciuto rigoglioso, fino ad allora. Fino a che non è diventato una minaccia straniera.

Mentre scorre per l’invisibile navata dell’Estremo Oriente questa misteriosa teoria di santi, alcuni li dileggiano e li umiliano. Ma quello che colpisce allora e ancora è la gioia che li inzuppa tutti più che l’acqua, la nebbia e gli umori notturni. Sono cose vere, documentate. Non sono caratteri agiografici predefiniti saturati di particolari inverosimili. Questi uomini  e pure i bambini, o i bambini!, sono preparati.

Si ricordano a memoria salmi e canti, inni e preghiere. E li dicono, li cantano, e predicano. Paolo Miki fa la sua ultima esortazione dalla croce. Ne giungerà notizia fino ad un gardesano prima che fosse illustre e gli infiammerà il cuore per la missione; sarà  S. Daniele Comboni! Da Limone sul Garda all’Africa più nera e profonda parole di un religioso giapponese ucciso sul mar del Giappone nel  Sedicesimo secolo.

Questo gesuita, Paolo, è il primo religioso cattolico giapponese. Incamminato verso il luogo della crocifissione  ringrazia il Signore per averlo ritenuto degno del martirio, ma non si estranea. Ora più che mai ha l’urgenza improcrastinabile – perché cras, domani sarà in Cielo- di spendere bene il tempo che gli viene dato. E allora dice chi è e che cosa abbia fatto fino ad allora: sono giapponese e sono cristiano. E non c’è altra via di salvezza che quella indicata e percorsa dai cristiani, la via di Cristo, dice la verità.

Non cincischia, non tergiversa, non si preoccupa di non urtare sensibilità irriducibili alla sua perché sa che dietro i funzionari dello Shogun c’è il grande alleato della sua evangelizzazione. C’è l’anima assetata di Cristo. Allora ci va giù pesante e perdona. Perdona e ringrazia. Prega per i suoi carnefici, ché sono suoi fratelli.

Fa cose utili. È un uomo utile, fino alla fine. Serve a produrre valore.

Perché, a cosa credete che  serva un uomo? A cosa serve la vita di un uomo? (E di un bambino?). Oh, come ha ragione il nostro tempo vigliacco. Restino in vita solo gli uomini utili e solo finché  producano ricchezza.

LUDOVICO GIUSEPPE MARIA

© Paola Belletti



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Però questo mondo nostro contemporaneo post tutto, compie un grandissimo errore che scompagina e deforma tutto;  si dimentica l’unico post che conta. Ha paura di ricordarci che dobbiamo morire. E gli uomini, tanti, non sanno più di avere uno spirito da consegnare cantando in Quelle mani.

Non è che non lo sappia il cospiratore nascosto, però. Lo sa e per questo tace e fa tacere chi lo ricorda. Spesso questa fretta lo ha portato a sorteggiare martiri tra i popoli salati dal cristianesimo. E facendo la cosa peggiore che gli venisse in mente ha fatto il più grande servizio a Dio, agli uccisi, agli uccisori, ai posteri, alle nazioni.. alla natura persino. E il peggiore a se stesso. Gli va sempre male. Nel massimo della sua perfidia gli tocca fare il vaglio per conto del padrone della messe.

Un altro dei candidati alla croce sui lidi nipponici  battezza un convertito di quel momento con la mano più libera seppure fissata al legno. Una ragazza muta dalla nascita al solo contatto con uno di loro inizia a parlare.

E poi ci sono Antonio, Tommaso e Ludovico, sono bambini. Soprattutto c’è Ludovico, ha dodici anni.

Sui volti di tutti appariva una certa letizia, ma in Ludovico era particolare. (Cap. 14, 109-110; Acta Sanctorum Febr. 1, 769).

Quanto doveva notarsi questa caratteristica se spiccava così tanto fra quella letizia già così stupefacente sui volti di tutti?

A lui gridava un altro cristiano che presto sarebbe stato in paradiso, ed egli, con gesti pieni di gioia, delle dita e di tutto il corpo, attirò su di sé gli sguardi di tutti gli spettatori. (Ibidem)

Era un fanciullo prossimo alla morte e felicissimo di tale indubbia prossimità.

Ne abbiamo di bambini così? Chissà.

Io intanto ho scelto definitivamente il Santo protettore del mio Ludovico. È lui, è Ludovico Ibarki. Tutto smanioso di andare da Gesù e per quella via.


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Anche il mio di Ludo è issato in alto. Anche lui è esposto sulla croce sulla riva del mondo e il mare è in tempesta. Al mio Ludo basta fare il verso del gatto che ride. Ma non come quando ride nel sonno. Li si sganascia come non ho mai visto fare a nessuno. Risate grasse e contagiose, se la spassa. Poi si sveglia e ci sente vicini; allora sorride. Se la felpa da infilargli è troppo poco elastica si indispettisce e fa i suoi urletti con quella vocetta dolce, squillante, per noi tutti suoi intimi adoratori, irresistibile. Ieri è stato dai nonni perché noi eravamo quasi tutti ammalati. Oh, quanto ci mancava.. è una presenza potente.

Ah, che mondo sciocco questo. Non lo avrebbe voluto, il nostro bambino e non manca quasi mai di ricordarcelo.

Non sa che così vicini alla riva non si ha più tempo di mentire e tergiversare? A cosa volete che serva un uomo, un bambino, se non ad esistere per la pura gioia di Dio che lo ama? E per la propria gioia? A cosa volete che serva un bambino ammalato, incurabile e dipendente in tutto da noi? Ma è ovvio. Ad essere felici. Lui e noi. Ora e dopo.

Che mondo sciocco questo sciocco mondo.

Ancora non lo sa riconoscere, l’oro del Giappone.

(un ringraziamento particolare deve andare da parte mia al carissimo Don Antonello Iapicca, sacerdote missionario a Takamatsu,  perché è lui il laccio forte che per primo ci ha stretti al Giappone. Che ha fissato il mio Ludo a quel Ludo. Che mi ha insegnato ad entrare senza paura in questo mistero doloroso, gioioso, luminoso e glorioso).

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