Venezuela: vari Paesi europei riconoscono Guaidó
Dopo la scadenza dell’ultimatum di otto giorni al presidente venezuelano Nicolás Maduro per indire elezioni presidenziali «libere, trasparenti e credibili», vari Paesi europei, tra cui Austria, Danimarca, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna e Svezia, hanno riconosciuto Juan Guaidó come presidente «ad interim» del Venezuela. «Il riconoscimento di Guaidó ha un orizzonte chiaro: indire elezioni libere e trasparenti nel più breve tempo possibile», così ha dichiarato lunedì 4 febbraio il premier spagnolo Pedro Sánchez. «I venezuelani hanno il diritto di esprimersi liberamente e democraticamente», ha scritto il presidente francese Emmanuel Macron in un tweet. «Il popolo venezuelano ha sofferto abbastanza», ha spiegato a sua volta il ministro degli Esteri del Regno Unito, Jeremy Hunt. «E’ ora per un nuovo inizio, con elezioni libere ed eque in conformità con gli standard democratici internazionali», ha aggiunto Hunt. Dura invece la reazione di Mosca, che sostiene Maduro. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha accusato i Paesi occidentali di «interferenza diretta e indiretta negli affari interni del Venezuela».
Mentre sabato 2 febbraio sia i sostenitori di Guaidó che di Maduro sono scesi in piazza, il regime di Maduro ha incassato due defezioni di «peso». La prima è quella di un generale dell’aeronautica militare, Francisco Estéban Yánez Rodríguez. «Il 90% delle forze armate non sta con il dittatore, ma con il popolo venezuelano», così ha annunciato sabato. Anche l’ambasciatore del Venezuela in Iraq, Jonathan Velasco, nominato ancora dal fu presidente Hugo Chávez, ha scaricato Maduro. «Signor Guaidó, Lei sta dal lato giusto della storia, del popolo e della Costituzione. Perciò, ci mettiamo al servizio dello Stato che Lei rappresenta costituzionalmente e guida», ha detto Velasco in una videoregistrazione diffusa domenica 3 febbraio. Da parte sua, il presidente americano Donald Trump ha dichiarato che l’uso della forza «è un’opzione» per la sua amministrazione.
INF: anche la Russia esce dal Trattato
Dopo la decisione da parte dell’amministrazione Trump di sospendere il trattato nucleare INF (la sigla inglese sta per «Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty»), annunciata venerdì 1° febbraio dal Segretario di Stato americano Mike Pompeo, anche Mosca sospenderà il trattato firmato a Washington nel dicembre 1987 tra gli USA e la Russia. Il presidente Vladimir Putin ha detto sabato 2 febbraio che la risposta della Russia alla sfida lanciata dagli USA sarà «tit-for-tat», cioè «pan per focaccia». «I partner americani hanno annunciato che stanno sospendendo la loro partecipazione al trattato, quindi stiamo sospendendo anche noi la nostra», ha dichiarato Putin, citato dalla CNN.
Mentre Mosca cerca di dare agli USA la colpa per la fine del divieto di schierare missili nucleari a media gittata, per il commentatore principale del quotidiano tedesco Die Welt, Jacques Schuster, il primo responsabile per la sospensione del Trattato INF non è Trump, ma lo stesso Putin, che «già da anni sta mettendo in discussione l’ordine postbellico della Guerra Fredda e sta contando sulla debolezza dell’Occidente». L’uscita americana dall’INF è secondo Schuster «un passo spiacevole quanto necessario». Per la Neue Zürcher Zeitung, il rammarico di Mosca per la sospensione dell’INF sono solo «lacrime di coccodrillo». Come osserva Markus Ackeret, per i russi il Trattato è già da tempo un «relitto storico».
Uno dei problemi è infatti che il Trattato coinvolge solo la Russia e gli USA, mentre il numero di Paesi, come Cina e Corea del Nord, che hanno sviluppato e continuano a sviluppare nuovi missili, anche balistici, cresce. Lo dimostra del resto il nuovo razzo «Hoveizeh», che l’Iran ha presentato questo fine settimana in occasione del 40° anniversario del ritorno dall’esilio in Francia dell’ayatollah Khomeini. Il missile da crociera, che ha una gittata di 1.350 chilometri ed è capace di raggiungere Israele e Arabia Saudita, violerebbe in teoria l’INF.
El Salvador: lo «tsunami Bukele» investe El Salvador
Come uno «tsunami», così osserva El País, l’ex sindaco della capitale San Salvador, il trentasettenne Nayib Bukele ha vinto le elezioni presidenziali di domenica 3 febbraio in El Salvador. Con il 90% circa dei voti contati, l’«outsider» del partito GANA (Grande Alleanza per l’Unità Nazionale) ha ottenuto infatti oltre il 53% delle preferenze ed è quindi ormai irraggiungibile sia per il candidato del partito ARENA (Alleanza Repubblicana Nazionalista), Carlos Calleja – il quale ha avuto meno del 32% dei voti – sia per il candidato della formazione al governo, l’ex ministro degli Esteri Hugo Martínez del FMLN (Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale), che ha convinto meno del 14% degli elettori.
Il «triunfo» o la vittoria del candidato anti-sistema e anti-corruzione Bukele già al primo turno pone termine al bipartitismo, che sin dalla fine della guerra civile nel 1992 ha caratterizzato la vita politica del Paese più piccolo ma anche più densamente popolato (meno di 6,4 milioni di abitanti) di tutta l’America Centrale. «Abbiamo fatto la storia e abbiamo voltato la pagina sul dopoguerra», ha dichiarato l’imprenditore, espulso nell’ottobre 2017 dal FMLN. Le sfide che aspettano Bukele, che inizierà il suo mandato di cinque anni il 1° giugno prossimo, sono numerose, tra cui un’economia che ha «cronicamente sottoperformato», come spiega La Vanguardia, e sta alimentando l’emigrazione verso gli USA. Come osserva El País, con la «clamorosa sconfitta» del FMLN il presidente venezuelano Nicolás Maduro perde uno dei suoi pochi sostenitori latinoamericani.
Facebook celebra il suo 15° anniversario
Era il 4 febbraio 2004, quando un gruppo di studenti della prestigiosa Università di Harvard attorno ad un giovanissimo Mark Zuckerberg – essendo nato il 14 maggio 1984, non aveva ancora compiuto 20 anni – lanciò la rete sociale Facebook. A ricordare l’anniversario è la Deutschlandfunk. Secondo l’emittente tedesca, «accuse, rivelazioni imbarazzanti e titoli negativi» danneggiano a malapena il «social network», anzi, «il numero di membri attivi aumenta apparentemente inesorabilmente». Tutto questo dimostra la grande «capacità di adattamento» di FB, che ha acquisito Instagram e WhatsApp «prima che potessero diventare pericolosi».
Secondo la Deutschlandfunk, «il più grande regalo di compleanno» a Facebook l’hanno fatto proprio gli utenti. Solo pochi giorni prima del suo 15° anniversario, il 31 gennaio, FB ha infatti annunciato che almeno 2,32 miliardi di persone nel mondo sono attive almeno una volta al mese sulla rete sociale, e questo nonostante i vari problemi, in particolare lo scandalo Cambridge Analytica, che hanno trasformato il 2018 nell’anno «probabilmente più difficile finora» della sua storia. Anche in Europa la rete sociale con sede a Palo Alto, California, ha saputo guadagnare terreno: nel corso dell’ultimo trimestre del 2018, il numero di utenti attivi almeno una volta al mese (i cosiddetti MAUs, di «monthly active users») è salito infatti da 375 a 381 milioni, così emerge dal rapporto annuale di FB.
Giappone: perché alcuni anziani preferiscono vivere in carcere
Meglio in carcere che patire la fame. Con questa motivazione, l’allora 62enne Toshio Takata, di Hiroshima, ha commesso sette anni fa il suo primo piccolo reato: prese una bicicletta, per poi autodenunciarsi alla polizia, nella speranza di essere condannato ad una pena in carcere. E siccome nel Paese del Sol Levante i giudici sono severi, l’uomo è finito dietro le sbarre per un anno, risolvendo in questo modo almeno per un po’ i suoi problemi economici. A raccontare la triste vicenda è il sito della BBC in un articolo pubblicato il 31 gennaio.
Storie come quella di Toshio sono purtroppo sempre più frequenti in Giappone, così spiega l’emittente britannica. Infatti, mentre nel 1997 la fascia d’età degli ultrasessantacinquenni era responsabile di solo circa un reato su 20, vent’anni dopo, nel 2017, la proporzione era balzata a più di uno ogni cinque, così continua la BBC, che si basa sui dati governativi. A rendere la storia ancora più triste è poi il fatto che molti di questi rei «dalle tempie grigie» siano recidivi, come nel caso dello stesso Toshio.
Una volta uscito dal carcere, il problema si ripresenta, anche per il fatto che la «misera» pensione statale permette a malapena di campare. Ma dietro il problema economico se ne cela uno ancora più fondamentale, così osserva Kanichi Yamada, 85 anni, direttore del Centro di riabilitazione «With Hiroshima», che segue il caso di Toshio: quello della crescente solitudine degli anziani, conseguenza del profondo cambiamento che hanno subito la società e in modo particolare la famiglia giapponese.