4 lezioni dell’amata religiosa di clausura e storica dell’arteIl mio primo incontro con suor Wendy Beckett ha avuto luogo quando la mia classe universitaria di materie umanistiche ha visto la sua serie di video Story of Painting (Storia della Pittura). All’epoca non ero cattolico e penso che non avessi mai incontrato una suora. Credevo che le suore fossero gentili, ma ingenue e fuori portata. L’immagine di suor Wendy che è apparsa sul video non ha eliminato questi preconcetti: c’era una qualità che traspariva dal suo volto, insita nel suo sorriso indifeso e negli occhi che brillavano: suor Wendy era il ritratto dell’innocenza infantile.
L’innocenza è disarmante. Stranamente, spesso è associata al fatto di non essere molto intelligenti. Le persone sofisticate sembrano essere ciniche e scaltre. Sono le rappresentanti dell’intelligentsia che occupano posizioni di potere e prestigio, con un certo disdegno nei confronti di chi non cerca di conquistare il mondo, di chi sceglie una strada più semplice. A prima vista, suor Wendy potrebbe apparire l’esempio perfetto di una donna fuggita dalle dure realtà del mondo perché non aveva quello che serviva ad affrontare il mondo reale.
Al contrario, la religiosa aveva una storia interessante.
Wendy Becket era nata nel febbraio 1930 a Johannesburg, in Sudafrica, ed è morta il 26 dicembre scorso a 88 anni. In gioventù era entrata nell’ordine di Nostra Signora di Namur ed è stata mandata a studiare Letteratura a Oxford, dove uno dei suoi docenti è stato J.R.R. Tolkien.
“Sono stata benissimo a Oxford”, affermava in un’intervista al Catholic Herald, anche se in quanto religiosa la sua vita sociale era limitata.
Dopo la laurea ha insegnato per qualche anno, ma poi ha avuto una serie di attacchi epilettici, e a quel punto è diventata eremita contemplativa. Ha trascorso il resto della sua vita in solitudine e preghiera, emergendo occasionalmente dalla quiete per registrare un video profondo sulle grandi opere d’arte. Quando ho saputo della sua morte ho elevato una preghiera di silenziosa gratitudine per le sue intuizioni sagge, sottili e penetranti, perché mi aveva mostrato come guardare un’opera d’arte.
Alla sua morte era innocente come sempre, ma ciò non significa che non fosse anche molto saggia. Suor Wendy era sorprendentemente intelligente, e non malgrado la sua innocenza, ma proprio per questa. Dobbiamo andare oltre le nostre reazioni iniziali di fronte al suo volto sorridente e alla sua timida umiltà e analizzare a fondo le sue parole. Dobbiamo guardarla da vicino, nello stesso modo in cui guardiamo un dipinto.
Ho detto che suor Wendy era saggia per via della sua innocenza perché credo che l’innocenza promuova in molti modi la saggezza in noi. Ecco quattro lezioni che possiamo trarre dalla vita di suor Wendy:
In primo luogo, chi è innocente mantiene il senso della meraviglia.
La meraviglia, come insegna Socrate, è l’inizio della saggezza. Il cinismo, la falsa sofisticazione e l’ironia ci impediscono di vedere davvero le cose, perché le persone ciniche sono sprezzanti. Lo stupore di suor Wendy quando si trovava davanti a un capolavoro artistico le permetteva di vederlo più chiaramente. Non aveva preconcetti, non aveva bisogno di criticare un’opera per adattare il suo punto di vista a un’ideologia o apparire intelligente agli occhi degli altri. Apprezzava semplicemente quello che le veniva presentato.
In secondo luogo, l’innocenza è di mentalità aperta.
L’innocenza non ha pregiudizi e cerca di imparare qualcosa in più. Pensate a un bambino che guarda pazientemente un bruco strisciare su una foglia, o un poeta che guarda un cielo stellato. Suor Wendy parlava di ogni tipo di dipinto, spaziando dalle icone antiche all’arte moderna. Riusciva ad apprezzare tutto, a vederne gli aspetti più interessanti, ed era in grado di parlare con gioia e saggezza di tutto ciò che studiava.
In terzo luogo, l’innocenza è empatica.
Suor Wendy guardava un’icona della Beata Vergine Maria e quasi piangeva provando ciò che aveva provato Maria. Rimaneva di fronte a un dipinto che ritraeva un terribile omicidio in un antico mito greco ed era in grado di trasmettere l’orrore e il potere di quella scena quasi come se fosse stata affrontata dagli dèi stessi. L’innocenza ci permette di essere ricettivi nei confronti dell’esperienza vissuta dagli altri, di sentire cosa significa essere nei loro panni.
L’innocenza è infine attraente.
L’attrattiva spiega la popolarità di suor Wendy. La sua saggezza era modesta, e quando la guardavo non sentivo mai che mi stesse parlando da un piedistallo. Invitava, invece, lo spettatore a unirsi a lei in una caccia al tesoro. Attraverso la sua innocenza, la sua saggezza passava facilmente a coloro a cui si rivolgeva.
La vera sfida dell’innocenza è forse il fatto che ci rende vulnerabili. Di fronte a tutte le tragedie e all’egoismo del mondo, sembra più intelligente difendersi da esso piuttosto che accoglierlo a braccia aperte. L’accoglienza è però proprio quello che ha messo in atto suor Wendy, e questa potrebbe essere la saggezza più grande di tutte, perché quello che percepiamo quando osserviamo i suoi incontri con l’arte è una donna che ama autenticamente ciò che vede. Era disposta anche ad esserne ferita.
Il rischio vale la pena, perché l’occhio di chi ama vede più chiaramente. Nella vita è tutto un dipinto, ci ha insegnato suor Wendy, ma per vederlo davvero dobbiamo essere abbastanza saggi da rimanere innocenti.