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Guida alpina, soccorritore e…prete. Don Erminio: ho recuperato 52 corpi

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 31/01/19
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Il sacerdote trentino 86enne scala ancora le Dolomiti (ha accompagnato di recente un vescovo) e racconta gli episodi più belli e più brutti della sua vita da soccorritore

Questa è la storia di don Erminio Vanzetta, prete trentino di quasi 86 anni, alpinista, scalatore e per una vita in prima linea nel Soccorso alpino.

Sacerdote da sessantuno anni, oggi dice messa a Vigo di Fassa, nel cuore delle Dolomiti. «Ma dovrei essere già al camposanto», ride, pur ammettendo che il cimitero per uno come lui è ancora un luogo dello spirito: alla sua età scia di fondo lungo la pista della Marcialonga, scala le «sue» montagne e anche se non presta più servizio nel Soccorso alpino («E ci mancherebbe, mica sono pazzo!») don Erminio in alcuni casi fa ancora da guida sulle vette. «Quando trovo qualcuno che si fida e che me lo chiede».

Col vescovo sulla Marmolada

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La Marmolada

Uno degli ultimi che glielo hanno chiesto è stato monsignor Luigi Bressan, arcivescovo emerito di Trento, circa un anno fa. «Siamo arrivati a Punta Penìa, in cima alla Marmolada — dice don Erminio, riferendosi all’altezza di 3.340 metri — e il monsignore voleva arrivare alla croce di ferro che spunta sull’altura. Ma io sentivo i capelli elettrici, non mi fidavo» (Corriere del Veneto, 28 gennaio).



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Il Soccorso Alpino

Il suo amore per la montagna, sbocciato sin da ragazzino, è fiorito definitivamente nel 1963: don Erminio, che era cappellano a Vigo di Fassa, si iscrive nel corpo del Soccorso Alpino, prendendo la tessera numero 931. L’occasione gli venne offerta dall’allora capo del Soccorso della valle dolomitica, che si presentò un giorno dal suo parroco ed esordì: «Reverendo, come tutti sanno non sono proprio un basabanchi, ma un prete nel nostro Soccorso alpino ci  starebbe bene».

Avuto il consenso del parroco, promise a don Vanzetta: «Se ti fai la patente di guida alpina, ti regalo la prima corda».  E lui s’iscrisse.    

52 corpi recuperati

Quanti nomi e volti, aneddoti e drammi, in tanti anni di servizio come guida. Quante vite salvate magari quando la speranza, quella sì, era già morta; e quante morti constatate, magari dopo aver ascoltato impotenti l’ultimo respiro di un moribondo. I corpi recuperati senza vita ti restano più impressi. Li ha contati tutti, don Erminio: sono 52.



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Il salvataggio di Johann

Le vite salvate, quelle, per fortuna, sono molte di più, tante dall’averne perso il conto.  Piange nel raccontare di Johann, ventiduenne tedesco precipitato dalla Torre Finestra del Catinaccio a metà degli anni ‘70.  «Quando lo raggiunsi era spacciato. Riuscii a impartirgli l’estrema unzione e mi morì tra le braccia.  L’anno dopo mi si presentarono davanti i suoi genitori. “Grazie don Erminio. L’unica consolazione è sapere che il nostro figlio è morto con un prete accanto”, mi dissero. E mi bastò».

La salma e i parenti

Non sempre questo mestiere provoca gratitudine. «Come quella volta, nel 1975, quando andammo a cercare un corpo su un canalone. Lo rintracciammo, a rischio della nostra vita,  seguendo i pezzi di cervello sparsi sulla neve. Era in una posizione pericolosissima. Forse fu la situazione peggiore in cui mi sia mai cacciato. Recuperata la salma, decisi di non farla vedere ai parenti. Il giorno dopo una zia della vittima mi volle vedere e m’accusò di aver riempito la bara di sassi e d’aver lasciato suo nipote lassù», narra il sacerdote.  «Ammetto che non m’adirai mai così tanto.  Estrassi dalla tasca la foto dell’alpinista e gliela mostrai, prima di cacciarla via in malo modo».



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La faccia spappolata

Poi ci sono le storie a lieto fine. «Come un salvataggio effettuato nei primi anni ’80,  sulle  Pale di San Martino. Un escursionista veneziano in ferrata aveva voluto staccarsi dal cavo e proseguire  arrampicando. Cadde ma, per sua fortuna, l’impatto fu attutito da una lastra di roccia assai inclinata che lo fece scivolare. Lo recuperammo  col volto sfigurato e lo portammo al rifugio. Dopo tanti anni mi viene a trovare in sacristia un bel giovanotto, per me sconosciuto: ‘sono quello che s’era spappolato la faccia’ mi disse. Volevo ringraziarla assieme ai miei genitori’».   

La suora “dura” a morire!

Don Vanzetta si ritiene un mezzo miracolato, perché un giorno scese da un elicottero che pochi istanti dopo si sarebbe schiantato lì vicino. «Miracolata fu anche suor Giovannina, una religiosa cinquantenne di Lamon, scivolata da un sentiero mal tracciato sulle Pale di San Martino.  Soccorsa con molta cautela e trasportata giù con una semplice coperta, era ridotta assai male. Andai a visitarla all’ospedale qualche giorno dopo. E il primario incontrandomi mi chiese come avessi fatto a trasportare una donna con la spina dorsale lesionata, senza che rimanesse paralizzata», ricorda la guida trentina». «Vuole la spiegazione? “Le suore hanno la morte dura come i gatti”, risposi ridendo» (Famiglia Cristiana, 2015).



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