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I tuoi difetti fanno parte di te. Li rifiuti?

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Carlos Padilla - pubblicato il 25/01/19
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Dio desidera che accetti la mia storia piena di povertà, perché è il mio cammino di salvezzaDevo fare quello che mi dice Gesù, seguire i suoi passi sul cammino della vita perché si verifichino miracoli. Se seguo la sua volontà accadono cose inaspettate.

Spesso mi confondo. Mi turbo. Cosa mi dice Dio in realtà? Cosa vuole che faccia con la mia vita? Vuole che faccia ciò che mi chiede Gesù.

Mi colpisce sempre. Vado al Santuario e Maria mi chiede di fare quello che Gesù vuole da me. Di seguire i suoi passi. Di obbedire.

Cosa vuole che faccia? Il cammino della vita in genere non è diritto. Ci sono salite, discese, svolte. Ci sono ostacoli e problemi. Ci sono alti e bassi, gioie e tristezze.

Non è sempre tutto lineare, in crescita verso il cielo. Non sto sempre meglio di ieri. A volte sto molto peggio. Indietreggio, o non avanzo, e torno a cadere nelle stesse cose di sempre.

Quello che mi chiede Dio, quello che si aspetta da me, non è tanto chiaro. Come posso discernere quali delle voci che ascolto dentro di me vengono da Dio e quali invece cercano solo di confondermi?

La consolazione di Dio è quella che mi danno i desideri che vengono dal suo amore. Quella consolazione non la trovo quando non è così. Il desiderio che viene da Dio. Quello che mi rende una persona migliore e mi amplia l’anima. La rende più piena e più felice. Più pulita.

Voglio fare quello che mi dice Gesù perché so che percorrendo questa via sarò più felice. Lo faccio quasi per egoismo.

Dio mi parla attraverso le mozioni dello Spirito nella mia anima. Attraverso le persone che mi parlano di Dio, le circostanze per le quali mi guida.

Sono le voci che ascolto e mi mostrano il volere di Gesù nella mia vita. Questo mi consola e mi dà pace.

La sua voce parla dentro di me. Voglio imparare ad ascoltare i battiti del suo cuore. È quello che desidero di più.

Non mi risulta tanto semplice perché non resto in silenzio, perché non interpreto i segni di Dio nei miei passi.

Ci provo e non sempre ci riesco. Non cerco la strada dritta e senza problemi. Non pretendo di seguire la linea facile che desidero tanto.

Voglio fare solo ciò che Dio vuole da me. Voglio seguire anche le sue ispirazioni più lievi. Ma non è tutto tanto facile. Non sempre ce la faccio.

Le parole che ascolto mi danno pace: “Dio è all’interno della nostra storia, non dirigendola come un burattinaio dall’esterno, ma assicurandole l’attracco in un porto sicuro attraverso percorsi insondabili del folle cuore umano. Tutto ciò permette che le nostre storie, per quanto storte, siano già storie salvate perché hanno alle spalle un amore preveniente” [1].

Non scelgo sempre le cose giuste. Non sempre la mia decisione è quella più saggia. Ma Gesù sale sulla mia barca, sulla mia pelle, nella mia anima. Non scende. Non mi abbandona alla sorte delle mie decisioni sbagliate.

Non pretende che faccia sempre tutto in modo perfetto. Assume la mia debolezza e costruisce sull’argilla della mia volontà ferita.

Gesù ha bisogno delle mie debolezze, dei miei vuoti. Conta sulla mia argilla, sulla mia inconsistenza. Trasforma ciò che in me è povertà in un’opera d’arte. Mi colpisce il fatto di voler fare tutto bene.

Come leggevo giorni fa, “la salvezza per noi giungerà non quando avremo sconfitto le nostre miserie, ma quando cominceremo a vivere nella verità di noi stessi, ad accettarci cioè con le nostre fragilità. Noi siamo le nostre imperfezioni, le nostre ferite, i nostri peccati”; “perché rifiutarci, perché rifiutare alcuni aspetti di noi? Significherebbe rinnegare noi stessi” [2].

Gesù usa tutto ciò che c’è in me. La poetessa francese Maríe Noël scrive un dialogo personale con Dio: “Signore, Tu allora, come un robivecchi, raccogli gli avanzi, la spazzatura. Cosa vuoi fare, Signore? Il regno dei cieli”.

Mi chiede solo di non negare la mia spazzatura, di non nascondere ciò che è sporco. Non desidera che cerchi solo un’acqua cristallina e pura per dargliela. Vuole ciò che c’è dentro di me. La mia povertà, le mie arrabbiature, i miei peccati, le mie tristezze. Materiale di scarto. È quello che vuole.

Desidera che accetti la mia storia piena di povertà, perché questo è il mio cammino di salvezza. Accettare le mie decisioni sbagliate e i miei passi falsi. Accettare le mie ferite e le mie debolezze.

Accettare tutto come parte dell’argilla con cui Dio costruisce. Come parte di quell’acqua di cui Dio ha bisogno per trasformarla in vino. Se non c’è acqua, non c’è vino.

Se non do in pegno il mio cuore non c’è dedizione. Se tengo la mia acqua per me per paura di mostrare la mia debolezza non ci sarà vino per nessuno, non ci sarà miracolo per poter lodare Dio, non ci sarà vita da condividere.

È un cammino che devo seguire per lasciarmi modellare da Dio rinunciando alla perfezione.

Voglio accettare di non essere chi produce il vino migliore, ma colui che apporta con umiltà l’acqua. La mia acqua.

Ho bisogno di riconoscere che non sono quello che compie miracoli, ma quello che mette l’argilla per curare, guarire, trasformare i suoi in figli di Dio.

È un cammino di conversione che passa per l’accettazione della mia debolezza come parte della mia verità. La povertà della mia acqua, l’inconsistenza delle mie pretese, come parte del mio dono.

Dio può fare tanti miracoli con la mia vita se solo mi lascio modellare. Se la dono senza pretese. Non consiste tanto nel fare. Si tratta piuttosto di accettarmi come sono.

Metto tutto al suo servizio, perché Dio faccia di me ciò che vuole, non tanto quello che voglio io.

[1], [2] Paolo Scquizzato, Elogio della vita imperfetta.

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