La sperimentazione in Brasile: “chiavi in mano” agli stessi detenuti. Una rieducazione di successo per ridare dignità a chi ha sbagliato
È morto il 14 gennaio a in Brasile a São José dos Campos (Stato di San Paolo), all’età di 87 anni, l’avvocato Mario Ottoboni, il “visionario” fondatore, nel 1972 dell’APAC, Associazione di protezione e assistenza ai condannati, acronimo di “Amando o Próximo Amarás a Cristo” (Amando il Prossimo Amerai Cristo).
Le APAC
In pratica, grazie all’associazione sono nati degli istituti penitenziati alternativi, chiamati “carceri senza carcerieri”, prima nella diocesi di São José dos Campos e poi anche in altre città del Brasile, all’insegna del motto “Qui entra l’uomo, il reato resta fuori”. Entra nelle APAC chi ha già trascorso un primo periodo nel carcere “tradizionale”, su disposizione del giudice di sorveglianza. E sono molte le testimonianze sull’eccellenza di tale metodo.
“Chiavi in mano”
In questi luoghi di detenzione le chiavi delle celle sono in mano agli stessi detenuti. Le persone che vivono negli APAC (in tutto 150-200 in strutture nel Paese sudamericano, prive di guardie carcerarie), sono impegnati in un cammino di rielaborazione dei reati commessi, in vista del reinserimento in società (Agensir, 15 gennaio).
Le origini negli anni ’70
Le Apac sono nate negli anni ’70, quando un gruppo di cristiani coinvolti nelle attività della pastorale carceraria di San Paolo iniziò a trascorrere del tempo con alcuni detenuti del carcere di São José dos Campos. All’inizio la loro preoccupazione era solo quella di accompagnare i condannati nella situazione drammatica in cui si trovavano, dovuta alle condizioni terribili di sovraffollamento e a un trattamento disumano e violento. Da quell’impegno iniziale nacque un gruppo di volontari cristiani guidati dall’avvocato Ottoboni; il gruppo decise di chiamarsi Amando o Próximo Amarás a Cristo.
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Il primo padiglione
È nata così la prima APAC. Quell’esperienza avrebbe cambiato per sempre le loro vite insieme a quelle di migliaia di carcerati del Brasile. Nel 1974 quel gruppo di volontari decise di compiere un ulteriore passo fondando l’Associazione di Protezione e Assistenza ai Condannati – APAC, un’associazione della società civile che collabora strettamente con l’amministrazione penitenziaria.
Per la storia dell’APAC fu decisiva la richiesta che un giudice fece all’associazione: quella di gestire un padiglione di detenuti prima nel carcere di Humaita (São José dos Campos), poi in quello di Itaúna, a Minas Gerais. Richieste che innescarono una continua crescita dell’esperienza APAC (Aleteia, 24 agosto 2016).
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I vescovi del Brasile
La Regionale Sud 1 della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, in una nota, «si unisce al cordoglio della diocesi di São José dos Campos», pregando perché «Dio accolga e ricompensi questo grande uomo, che ha fatto la storia nella difesa della dignità dei fratelli e delle sorelle detenute».
Metodo riconosciuto dall’ONU
«A Mario Ottoboni va il nostro grazie – commenta Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII – per il suo impegno nelle carceri brasiliane e per l’ideazione di un metodo, quello delle carceri APAC, che è riconosciuto dall’Onu come migliore strumento rieducativo dei detenuti a livello mondiale. Siamo certi che dal cielo continuerà a lavorare a favore del popolo dei quasi 10 milioni di detenuti di tutto il mondo, perché possano vivere in luoghi di recupero sociale ed umano, piuttosto che di punizione o di vendetta».
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Recidiva al 10%
«Negli Apac – prosegue Ramonda – la recidiva (il numero di persone che tornano a commettere reati dopo il carcere) scende dall’80% delle carceri tradizionali al 10%. Nell’equivalente delle CEC (Comunità educanti con i carcerati), 7 in Italia e 2 in Camerun, affiliate alle APAC dal 2016, la nostra sperimentazione ha portato la recidiva al 15%. Vuol dire che all’uscita delle carceri tradizionali 8 persone su 10 tornano a delinquere, con pericolose conseguenze di sicurezza, ma che questo problema può essere risolto», spiega Ramonda.
23 Paesi al mondo
«Ottoboni – conclude il presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII – è stato un maestro di redenzione; dopo un importante cammino di conversione ha chiesto ed ottenuto di andare a vivere nelle carceri brasiliane, condividendo la cella con gli altri detenuti. La sua forza è stata quella di aver saputo raccogliere attorno a sé un gruppo di volontari, giuristi e magistrati, che ha portato alla creazione delle APAC, modello che oggi è sperimentato in 23 paesi del mondo».
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