Cos’è la vera libertà? Vivere in pienezza di stupore e slancio la trama di eventi e relazioni che Dio ci ha dato. Argomento spinoso la libertà. Le parole archetipiche, che fanno da scrigno a un concetto, a un’idea, sono le più difficili da afferrare, da assaporare. Difficile è anche scovarne il significato più profondo. Libertà, per esempio, come significato immediato rimanda ad “assenza di costrizioni”. Fosse la libertà un concetto semplice come aprire il dizionario e leggere questa definizione, il gioco sarebbe fatto.
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Tuttavia, nonostante si senta spesso sulla bocca di tutti e insensati slogan ne abusino quotidianamente, non è un’idea facile da incarnare nella propria vita. Una parola intricata che coinvolge relazioni interiori ed esteriori, e non c’è groviglio più complesso di quello delle relazioni. Nell’immaginario comune essere liberi è direttamente legato al concetto di “stare da soli”, “fare quello che si vuole”. L’autosufficienza, il pensare di farcela sempre e comunque da soli, ci ha reso creature superbe e maniache del controllo e dell’autocontrollo.
Pensiamo di poter contare solo su noi stessi. Essere liberi significa non obbedire a niente e a nessuno. Niente vincoli o legami, abbiamo tagliato la testa al toro, non siamo andati a fondo, abbiamo solo eliminato quelle relazioni rispetto alle quali ci sentiamo schiavi, non liberi. Questo pensiero ci ha portati a essere governati dal caso, a vivere in balia del caso. Non pensiamo di avere un meta, una destinazione. Ebbene sì, perché si può desiderare una meta per la propria vita solo se ci si sente davvero liberi. E ci si sente davvero liberi solo se ci sentiamo le spalle coperte da qualcuno, solo se ci giriamo e sappiamo che non siamo soli.
L’essere soli ci porta solo a brancolare nel buio. Quei legami, quelle costrizioni, che naturalmente sentiamo dentro di noi, non possono essere ignorate.
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Allora forse sarà facile tagliare i rapporti, sentirsi liberi di fare quello che si vuole, ma non saremo liberi di scegliere un legame, di prendere una direzione, di goderci la libertà di vivere anche ciò che della nostra vita ci è più scomodo. Ci ritroviamo così sciolti da legami e costrizioni, ma spenti e privi di entusiasmo per la vita. Crediamo in una qualche felicità, decantata solo nelle poesie e nelle canzoni e in questo vortice noi non siamo mai i protagonisti.
Le uniche occasioni in cui ci sfiora l’idea che forse tutti abbiamo un destino, è quando buttiamo l’occhio sull’oroscopo o quando ci affidiamo al fatalismo, dando la colpa chissà a quale fato o dio. Il primo atto di fede verso la vita e il primo passo verso la nostra libertà è accettare il brivido che per la nostra vita esista una meta, un motivo.
La libertà che ci dona Dio non è una libertà governabile dove tutto andrà sempre bene, e per questo ci dovrebbero far accapponare la pelle espressioni del tipo “Dio avrà voluto così”, di fronte a cataclismi e tragedie.
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Questo non è un atto di fiducia, bensì è un atto di deresponsabilizzazione. La libertà è il dono massimo, è la capacità che abbiamo di decidere chi vogliamo essere. Non significa governare la realtà o scegliere ciò che vogliamo tenere o meno della nostra vita, come se ordinassimo il nostro armadio durante le pulizie di primavera. Non è importante che cosa ci sia successo, ma chi abbiamo scelto di essere di fronte a quello che ci è successo.
Il concetto di libertà è pertanto strettamente legato al prendere una posizione di fronte fatti della nostra esistenza, personale e comunitaria. La pusillanimità che ci costringe a essere schiavi del nostro bisogno di sentirci sciolti da tutto, ci ha in realtà reso incapaci di prendere scelte, di fare delle rinunce e di essere liberi nel profondo. Ci sono tanti eventi, tante persone, tanti fatti che non scegliamo, questo è chiaro. Ma abbiamo un dono immenso, rispondere in prima persona a questa domanda: che cosa vogliamo scegliere rispetto a quello che non abbiamo scelto?
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La famiglia, le scelte prese da altri, le situazioni in cui ci siamo ritrovati, i compromessi con i quali abbiamo stretto dei patti sicuramente ci hanno cambiato. Hanno influenzato la nostra libertà interiore, che ne risulterà lesa, ricca di numerose storture, non di certo immacolata e pronta all’uso. Esiste però un momento in cui dobbiamo porci delle domande, non dobbiamo lasciarci governare dal caso e dalla vita senza una direzione. Dobbiamo chiederci che cosa ne vogliamo fare di quel dolore, di quella persona, di quel compromesso, di quella famiglia, di quel matrimonio, di quell’insuccesso. Possiamo farlo, possiamo dare una direzione alla nostra vita. Possiamo scegliere laddove la vita, il rancore, le scelte sbagliate di altri hanno deciso per noi. Libertà è decisione, è porsi delle domande, è prendere posizione.
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Solitamente abbracciare questo tipo di libertà genera miracoli. Le storture della nostra esistenza possono diventare occasioni, possiamo scegliere di tirare fuori il meglio da noi anche dalle sofferenze. Se lasciamo decidere al corso degli eventi probabilmente ci trasformeremo solo in persone arrabbiate e tristi, senza speranza, senza amore, senza direzione, aggiungendoci alla corrente di pensiero che quotidianamente attira seguaci capaci solo di affermare “non ci si può far niente”.
L’etimologia della parola “libertà” suggerisce un coinvolgimento con un’altra parola, “famiglia”. In latino infatti “liberi” significa “figli”. La libertà che ci dona Dio è un libertà che ci eleva allo stato civile di “figli”. Da schiavi dei sentimenti, degli altri, del perfezionismo, delle più svariate ideologie, diventiamo figli di Dio, dotati di una libertà che rimane invariata di fronte a tutto quello che la vita ci offre, senza eccezioni, il bello e il brutto. La libertà di Dio non si realizza nell’autosufficienza, bensì nella relazione.
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Don Luigi Maria Epicoco, fonte d’ispirazione sempre crescente, scrive “la nostra Fede ci insegna che si è liberi quando si costruiscono delle relazioni libere”. Non possiamo pensare di tagliare semplicemente la testa al toro, eliminando dalla nostra vita costrizioni e legami, perché quelle relazioni di fronte alle quali non sappiamo essere liberi saranno sempre lì a condizionarci ancora di più. Ricordiamoci poi che fin dai tempi di Aristotele si va affermando che “l’uomo è un animale sociale”.
Siamo fatti così strutturalmente. Invece di combattere questa natura dovremmo forse provare ad assumerla. Aggiungo io, l’uomo è una creatura sociale che riceve ciò di cui ha bisogno per vivere, dalla relazione con gli altri e con Dio. La felicità dell’uomo non dipende dalla vita in sé, o da quello che è costretto a subire, “perché il bene o il male non stanno tanto in quello che Lui ci ha dato. Ma il bene o il male stanno in quello che noi facciamo, all’interno di quello che ci ha dato”.