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Il cielo stellato è sopra di noi, nonostante i mille buchi neri dentro di noi

RAGAZZA, VENTO, CIELO
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Il peso specifico delle parole - pubblicato il 27/12/18
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Proviamo a custodire uno spazio di ammirazione, per guardare il Cielo e imparare ad arrendersi. L’ arrendevolezza di chi non ha la presunzione di controllare tutto.Se si sia studiata filosofia o meno, il titolo riporterà la nostra memoria a una frase simile riconducibile a Kant, “il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”. Non una citazione qualunque, bensì proprio il suo epitaffio. “Due cose riempono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescentequanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me”, così spiegava il filosofo tedesco. Ripescare gli argomenti di filosofia non è molto semplice, ma una volta che l’hai incontrata non te ne liberi facilmente. Dopo che si è sedimentata in fondo al tuo pensiero è rimasta lì, senza muoversi, ma non è sparita.


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Il capitolo Kant al liceo era diventato un tunnel senza fine, visto che ci eravamo sforzati di capirlo per un quadrimestre intero. E oggi questa frase oltre che farmi sorridere perché mi ricorda le lezioni di filosofia che adoravo, risveglia in me quell’angolo di pensiero dove è rimasta ferma la filosofia, senza muoversi, così che io oggi possa ritrovarla lì ad aspettarmi.
Di fronte a un bicchiere di vino parlavamo delle paure, dei dubbi, delle bellezze e degli effetti speciali che solo la vita sa mostrarci. Sembrava non scorrere il tempo e i nostri occhi non guardavano un punto fisso, ma si rivolgevano un po’ a destra, un po’ a sinistra e poi leggermente all’insù. Parlavamo così rapidamente e senza sosta che tutto il tavolo si era rivolto verso di noi. “Forse è il caso di fermarci, ne riparleremo”. Ma oramai una frase aveva toccato un punto dentro di me molto vicino allo spazio dove si era sedimentata lei, la filosofia. “Quando sono in volo di notte ho paura e non riesco a dormire, allora osservo dal finestrino quel cielo nel quale sono immersa e solo lì e mi sembra di poter controllare quel cielo stellato che a volte sento essere tutto dentro di me”.

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Jay Huang | CC BY 2.0

Ed eccoci qui, io ho pensato al Kant del liceo e alla sua lapide. Lui aveva parlato di “cielo stellato sopra di me” e non dentro di me. La sua grande mente aveva intuito che siamo “un semplice punto nell’Universo” e che non c’è bisogno di cercare chissà dove per vederlo quel cielo stellato, perché è in connessione con la mia esistenza, grazie alla legge morale, alla coscienza che mi appartiene, è dentro di me.

“Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire al pianeta (un semplice punto nell’Universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale”.


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Meraviglioso è leggerlo e rileggerlo per provare la sensazione di sentirsi un puntino, ma con una misteriosa e sconvolgente forza vitale che, “non si sa come” ci appartiene.
Quel cielo stellato immenso appartenente a una quantità innumerevole di mondi sembra essere distante, sembra appartenerci, ma allo stesso tempo sfuggirci, sembra uno spettacolo che ci interroga e ci lascia a volte senza risposte.

Altre volte però quel cielo stellato immenso piomba su di te, si intromette nella tua esistenza e te lo senti dentro in tutta la sua vastità. Non è governabile, non è controllabile e se ti ci immergi con tutto il tuo essere puoi intimorirti e arrenderti. Sarebbe bello potersi arrendere senza intimorirci. Ma non riusciamo a vivere come un punto nell’Universo che sa arrendersi, poiché ci sentiamo simili a un buco nero che risucchia tutto il cielo senza però farlo scomparire, lasciandolo lì dentro a occupare tutto lo spazio esistente.

Ci spaventa la nostra stessa esistenza perché si sente invasa da tutto quel cielo stellato. Da tutte quelle domande a cui non sappiamo dare risposta, da tutte le insicurezze che ci portiamo dentro, da tutta la rabbia che a volte irrompe nei nostri occhi, da quell’Amore che desideriamo ma fa paura e da quella sofferenza che spiegazione non ha, non può avere. Che cosa è giusto. Che cosa è sbagliato. Che cosa devo fare. Che cosa non devo fare. E le mille sfumature della vita non ci aiutano a destreggiarci in mezzo a questo cielo stellato che è dentro di noi.


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Kant l’aveva posto al di sopra di noi e te sei tranquilla quando lo vedi dall’alto, quando te sei al di sopra di lui. Stare al di sopra però non significa essere superiore a lui, poterlo guardare analizzandolo nella sua interezza. Comunque vada ti limiti a osservarlo. Ti sfugge. Ma ti rende serena, perché non senti il peso dentro di te. Non c’è un segreto per vivere, non esiste un libretto d’istruzioni per rispondere alle domande del Cielo che è dentro di noi. Se ci intimoriamo però, se ci spaventiamo, non possiamo arrenderci con lo stessa ammirazione sempre nuova e crescente di Kant.

Forse siamo chiamati come punti dell’Universo a “planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”, come ci suggerisce Calvino. Meravigliosa questa comunione tra le grandi menti, questo filo rosso che collega i loro pensieri.
Viviamo pieni di macigni, pensando che tutto dipenda dalle nostre forze e che anche quel Cielo, che è stato messo là proprio per ricordarci che possiamo guardarlo, viene avvertito come una minaccia e non come un dono. Come un altro peso dentro di noi.


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Ci vuole molta umiltà per planare sulle cose dall’alto, perché non significa guardarle con altezzosità, con sguardo superbo, ma osservarle e lasciar nascere dentro di sé un senso di ammirazione sempre nuovo e crescente. Custodiamo uno spazio dentro di noi per l’ammirazione per lasciarci accompagnare da quel Cielo, con coraggiosa arrendevolezza. L’arrendevolezza di chi non ha la presunzione di controllare tutto. L’arrendevolezza di un punto nell’Universo.

Perché tutto è un dono, anche le domande senza riposta che ci spingono a godere della nostra misteriosa forza vitale che tutto non può cogliere, ma tutto può ammirare.

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