Aveva partorito a 18 anni nel 1949 e le avevano detto che la bambina era morta. Invece era viva e l’ha cercata per tantissimi anni: si sono ritrovate, anziane e felici entrambe.Sempre più spesso manca il lieto fine in ogni storia che ci viene raccontata sugli schermi o nei libri. L’uomo contemporaneo sembra aver perso la speranza che il destino sia un viaggio a fin di bene per l’anima, anche quando lungo il percorso ci si imbatte in molti ostacoli e drammi. Lieto fine non significa per forza un epilogo zuccheroso, ma l’ipotesi che i fili annodati e contorti della nostra vita non siano un puzzle ma un arazzo … una trama unitaria, sensata e preziosa nel suo complesso.
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La storia di Genevieve Purinton e Connie Moultroup ha qualche ombra, come quelle di tutti noi che per fortuna non siamo solo luce impeccabile, ma parla di una Provvidenza visibile che si manifesta al tramonto della vita: Genevieve partorì la sua unica figlia nel 1949 e le dissero che era morta subito; non la vide mai, invece era viva e fu data in adozione. Connie, la figlia, ha cercato la madre naturale per tantissimi anni, si sono ritrovate questo Dicembre; 88 anni una, 69 l’altra.
Com’è «diventare» madre a 88 anni? Sì, Genevieve lo è sempre stata madre, da quando partorì; ma che cosa avrà sentito, abbracciando per la prima volta sua figlia in carne e ossa in un tempo così avanzato della vita, quando forse il pensiero fisso prevalente è quello della morte? Forse è qualcosa di simile a ciò che provò Sara, la moglie di Abramo, dando alla luce un figlio da vecchia. Aveva riso del dono che Dio le avrebbe fatto … e invece.
Nella storia di Genevieve e Connie tutti si sperticano a lodare il DNA che ha permesso di riunire le due donne, ma come non vederci lo zampino di quella Provvidenza che scompagina le stagioni della vita e sa far sbocciare fiori nel deserto o illuminare la vita quando già è al tramonto?
Separate
Questa storia comincia molto tempo fa, quasi un’era geologica fa, visti i mutamenti sociali e culturali avvenuti. Nel 1949 Genevieve Purinton ha 18 anni ed è incinta senza essere sposata, di un uomo che ha già un’altra famiglia. Dà alla luce la sua bambina in un ospedale dell’Indiana e ha già in mente il nome da darle: Margaret Ann, come una delle sue insegnanti preferite, malata di polio ma forte e lieta. Alla nascita non le viene mai mostrata la figlia, il personale medico la informa che è morta. Lei, giovanissima, non chiede e altro non sa. Qualche domanda sorge: la sua famiglia non l’ha seguita in ospedale e non si è fatta portavoce di qualche chiarimento? La ragazza ha partorito di nascosto e forse voleva dare in adozione la bambina comunque? Non sappiamo. Sappiamo che era il 1949 e sappiamo che lei era una ragazza non sposata, un’era geologica fa rispetto alla nostra sensibilità su questi temi oggi.
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Chi si è occupato della storia, punta il dito su chi speculava su queste gravidanze giovanili fuori dal vincolo matrimoniale, sottraendo neonati e dandoli in adozione a scopo di lucro. Pare fosse una prassi non così isolata e fa rabbrividire.
Queste ombre non inficiano la sostanza, una madre e una figlia separate. Genevieve commenta quell’evento con parole chiare:
“Penso alla mia vita come a un prima e dopo quel fatto, una sorta di discrimine come Avanti Cristo e Dopo Cristo” dice la donna riguardo alla perdita della figlia. (da New York Times)
Dall’altra parte di questa ferita slabbrata c’è Connie, la bambina. Cresce con una famiglia adottiva in California che le racconta storie diverse e confuse a proposito della sua adozione. A soli 5 anni perde anche la madre adottiva a causa di un tumore; il padre si risposa e la nuova moglie si rivela una donna violenta verso Connie. Il desiderio di ritrovare la madre naturale esplode in modo divorante e sarà una ricerca lunghissima, costellata di piccoli tasselli che pian piano vanno formare un disegno unitario.
L’incontro
La ricerca delle cartelle cliniche, una firma trovata in un documento, poi le indagini sul DNA. Connie trova dapprima una cugina della madre naturale e da lei scopre che Genevieve è ancora viva.
Madre e figlia si sono incontrate lo scorso 3 dicembre in Florida nella casa di riposo dove l’anziana Genevieve risiede. Due donne ormai molto grandi, una di 88 anni e l’altra di 69; il loro abbraccio è stato un po’ un terremoto nella macchina del tempo. Viste una vicina all’altra sono davvero due gocce d’acqua.
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Dalle chiacchiere che si scambiano fin da subito emerge il legame viscerale, stesse passioni, somiglianze intime e una familiarità spontanea. La gioia dell’anziana Genevieve è moltiplica dal fatto che poco prima di sapere dell’esisitenza di Connie era morto l’ultimo dei suoi fratelli, l’incubo di essere rimasta sola sulla terra è stato scacciato dalla notizia di poter vedere, toccare, parlare con quella figlia che non era affatto morta.
La mamma non è un concetto antropologico
Un breve video girato da un telegiornale americano mostra l’incontro tra madre e figlia. Davvero è poco importante capire le parole, perché c’è un’immagine che resta incollata agli occhi. L’anziana madre guarda la figlia dicendo: “Allora non sei morta?”, la figlia ride forte e risponde “Direi proprio di no”, a quel punto è la più anziana delle due a rifugiarsi tra le braccia dell’altra come un neonato che non sa di sè altro che stare tra le mani di chi lo cura.
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È vero che gli anziani tornano come bambini, bisognosi di un affetto totale e di un accumdimento premuroso. È vero che questa mamma anziana si abbandona alla presa della figlia come una bimba indifesa. Si ha un bel dire, con giri di parole forbite e false, che la madre sarebbe solo un concetto antropologico. Andatelo a dire a queste due donne rugose che sul finire della vita hanno ritrovato il bagliore di quell’alba che spunta nel mondo quando nasce un bambino. Non è un concetto, ma un abbraccio.
Dopo anni di inappartenenza in luoghi stranieri, Ulisse tornò a casa e ritrovò i suoi. In lui abitano tutte le nostre forme di nostalgia, che sono in fondo nient’altro che la mancanza grande della nostra vera Casa, che è il cielo. Accogliere una vita che comincia nella pancia poi tra le braccia, accompagnare la vita che cresce prepando pranzi e cene, poter morire circondati dalle mani e dai volti dei propri familiari sono come la memoria quotidiana ed eterna che il mondo non è un posto in cui l’uomo deve sentirsi estraneo. Dio non pensa all’umanità in termini fabbrica, esseri che ne mettono al mondo altri per aumentare di numero e non estinguersi. Dio pensa alla famiglia in termini di compagnia, la più simile a quella che sarà piena di Lui in Cielo.
Contemplare il mistero dei legami familiari naturali non getta discredito sulla bellezza delle famiglie che fanno esperienza dell’adozione. Le ferite rimarginate appartengono al medesimo corpo.
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Genevieve ha trovato la sua Itaca dopo anni e anni di vita trascorsi a casa eppure non del tutto a casa, sembra proprio un marinaio affaticato che approda al porto. Sembra proprio ciò che ognuno di noi desidera: essere amato da chi hai amato.
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