Intervista con un diacono che ha convissuto con cobra e leoniIl sito dell’Opus Dei ha pubblicato questa settimana un’intervista al diacono Paul Kioko, un uomo cresciuto tra elefanti, rinoceronti, leoni e cobra in Kenya che dopo aver lavorato vari anni come medico verrà ordinato sacerdote a maggio del prossimo anno. Riportiamo la sua sorprendente testimonianza.
Dov’è nato?
Sono nato a Nairobi, la capitale del Kenya, ma ho trascorso tutta la mia infanzia nei vari parchi nazionali del Paese, con i miei genitori e i miei fratelli. Mio padre ha lavorato nel Servizio di Vita Selvaggia del Kenya come responsabile delle guardie forestali.
Qual era il compito di suo padre?
Proteggere e curare la vita selvaggia in quei parchi. La mia infanzia è stata itinerante: vivevamo in ogni parco una media di cinque anni, e poi andavamo in un altro, fino ad aver girato quasi tutto il Paese. Il Parco Nazionale Nakuru, le Montagne Aberdare, il Parco Amboseli, ai piedi del Monte Kilimanjaro, o il Parco Nazionale Tsavo sono state le mie dimore.
Com’è stata la sua infanzia nella savana?
Siamo cresciuti giocando tra gli alberi. Anche se c’era sempre il pericolo di incontrare un leone o un altro animale, quelli che mia madre temeva di più erano gli scorpioni e i cobra, visto che ce ne sono molti. Grazie ai nostri angeli custodi non è accaduto niente di grave.
Ma immagino che abbiate vissuto molte avventure…
Sì, certamente. Ricordo, ad esempio, che una volta un cobra ha sputato il suo veleno negli occhi di uno dei miei fratelli. Siamo corsi con lui all’ospedale e non ha perso la vista. In un’altra occasione, un altro mio fratello si è quasi scontrato con la moto con due leoni nascosti dietro una curva. Fortunatamente in quel momento stavano mangiando un cinghiale che avevano cacciato, e quindi mio fratello si è potuto allontanare sano e salvo.
Com’era la vita familiare in quell’ambiente?
Se durante la settimana ci comportavamo bene mio padre la domenica ci portava in jeep per il parco. La sfida riguardava chi avvistava per primo uno dei Big Five (elefante, rinoceronte, leone, bufalo o leopardo). Quasi sempre vinceva mio padre perché aveva più pazienza per guardare nello stesso punto il tempo necessaro per identificare gli animali che vi erano nascosti.
Sua madre amava quella vita?
Molto, anche se sembrava sempre più interessata agli uccellini – una cosa che noi ragazzi non riuscivamo a capire. Mi spiego: mia madre è cresciuta negli Stati Uniti ed è arrivata in Africa alla fine degli anni Sessanta per insegnare matematica e vedere il mondo. Forse è per questo che amava gli uccelli – come loro, aveva dovuto volare in un altro continente per costruirsi una casa.
Quando abitava in Tanzania ha conosciuto mio padre, che stava terminando la specializzazione nel settore ambientale, e il resto è storia, o Provvidenza divina come direbbe mia nonna.
Cos’ha imparato in tutti quegli anni in mezzo alla natura?
Molte cose. Sicuramente l’amore per l’aria aperta e la bellezza della natura. Quello che mi ha segnato in modo profondo è stato però il fatto di ricordarmi della pazienza di mio padre per vedere le cose grandi e le semplici gioie della vita di mia madre nel vedere un uccellino.
Ha imparato a rapportarsi agli animali selvaggi?
Crescere nella foresta era un paradiso per i bambini. Anche se non abbiamo mai avuto una televisione o una Playstation in casa, non ne avevamo bisogno. Le guardie forestali portavano a casa nostra gli animali orfani, e spesso avevamo dei piccoli impala, gazzelle, antilopi, leoncini, elefanti e rinoceronti. Gli animali più grandi, soprattutto gli elefanti, venivano tenuti di notte in alcune casette dietro casa nostra, e nutriti con mango e arance. Il gioco consisteva nel cercare di tirare la frutta direttamente nella loro bocca per guadagnare tre punti.
Una volta cresciuto che direzione ha preso la sua vita?
Ci siamo trasferiti a Nairobi e ho iniziato le scuole medie. È stato proprio alla Lenana School che ho conosciuto alcuni giovani universitari che venivano a fare lezione sulla dottrina cristiana. In seguito ho saputo che alcuni di loro appartenevano all’Opus Dei. Attraverso di loro ho conosciuto di più questa parte della Chiesa cattolica, e al mio ultimo anno a Lenana ho chiesto l’ammissione all’Opus Dei.
Dopo aver terminato gli studi di Medicina all’Università di Nairobi ho lavorato all’Ospedale delle Forze Armate per un anno prima di trasferirmi all’Ospedale Mater, dove ho lavorato per quasi 15 anni, primo al Pronto Soccorso e poi nell’unità di Terapia Intensiva, dove ho aiutato nel programma di chirurgia a cuore aperto e ho conseguito la specializzazione in Anestesia.
Quando ha iniziato ha prendere in considerazione il sacerdozio?
Come dice il Libro della Sapienza, c’è un tempo per tutto sotto il cielo. Ho capito che come Dio mi aveva dato una vocazione di servizio nei confronti dei malati come medico, ora mi stava dando una vocazione di servizio a tutta la Chiesa come sacerdote. In qualche modo essere medico ha preparato il cammino al sacerdozio.
E ora diventerà presbitero?
No, ancora no. Se Dio vuole nel maggio del prossimo anno saremo ordinati sacerdoti.
Come si è preparato?
Sono a Roma da alcuni anni, studio presso la Pontificia Università della Santa Croce e ricevo una formazione ulteriore al Collegio Romano della Santa Croce, insieme a molti altri membri dell’Opus Dei di tutto il mondo. In questi anni ho capito che la preparazione più grande al sacerdozio è opera dello Spirito Santo, ma che Dio usa chi ci circonda per guidarci e formarci.
Cosa le piace di più all’università?
Ho conseguito la laurea e il dottorato in Teologia Morale, e vista la mia formazione medica trovo che non ci sia da stupirsi se mi sono piaciute tutte le questioni affrontate dalla bioetica e le basi filosofiche della pratica medica.
Qual è il tema della sua tesi?
Si dice che il cammino più rapido per addormentarsi è chiedere a uno studente di dottorato di spiegare il tema della sua tesi! Correndo il rischio di farvi addormentare, dico che la mia tesi riguarda fondamentalmente la virtù della prudenza come asse indispensabile tra il “tecnicamente corretto” e il “moralmente buono” per prendere decisioni mediche. Come medico che lavorava in un’unità di terapia intensiva, ho dovuto affrontare questo dilemma molte volte: dove tracciare la linea e quando dire al medico “Basta”.
I ricordi dell’infanzia sono sempre con noi, e non dimenticherò mai l’avventura di crescere con gli animali selvaggi, ma una vita di servizio a Dio e al prossimo è un’avventura ancora più grande. Ci si sveglia al mattino e non si sa mai con certezza dove si arriverà alla fine della giornata. Prima ammiravo semplicemente la bellezza della creazione di Dio, ora contemplo la mano amorevole della Provvidenza di Dio dove Egli vuole condurmi. Spero che attraverso il ministero del mio sacerdozio molte altre persone possano scoprire l’avventura di una vocazione divina. Pregate per noi.