Comune a madre e bambino, la placenta ha una durata di nove mesi. È molto importante perché aiuta il feto a respirare, a metabolizzare il cibo e a espellere i prodotti di scarto. Le ricerche ci svelano le sue più segrete funzioni…
Un organo sorprendete e poco studiato: la placenta
Quasi tutti i nostri organi – cervello, cuore, polmoni, reni, fegato… – ci accompagnano per tutta la vita. Pochi altri perdono, in parte o del tutto, la loro funzionalità, in qualche caso per via di cicli naturali (ad esempio, gli organi legati alla sessualità), in altri casi per semplice invecchiamento o per qualche patologia.
Ma c’è un organo usa-e-getta che madre e bambino usano solo per nove mesi: la placenta. Non ci pensiamo mai, eppure senza quest’organo – perché si tratta di un organo, e anche estremamente complesso – non saremmo qui.
Alla nascita, giustamente, tutte le attenzioni sono per il bambino. Della placenta nessuno si occupa, se non, talvolta, qualche industria interessata a ricavarne sostanze da usare in farmaci e cosmetici, peraltro di assai dubbia efficacia e legalità. Dopo il parto, la placenta, come il liquido amniotico, diventa un “rifiuto” ospedaliero. Forse per questo, benché sia a tutti gli effetti un organo essenziale per la trasmissione della vita, della placenta si sa poco, e l’ignoranza riguarda persino gli scienziati.
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Nuovi sviluppi nell’epigenetica, scienza che studia interazione ambiente-geni
Ora però, complici gli sviluppi dell’epigenetica e la diffusione del virus Zika in Brasile nel 2015, biologi e medici stanno riscoprendo le sue fondamentali funzioni. Nel caso di Zika, il fatto che ha suscitato attenzione e allarme è che questo virus riesce a varcare la barriera della placenta, passando dalla madre al feto e, in certi casi, l’infezione uccide il bambino, in altri causa microcefalia (testa più piccola del normale) con gravissimi danni cerebrali.
L’epigenetica è la giovane scienza che studia come l’ambiente possa influire sul nostro patrimonio genetico, sia accendendo o spegnendo una parte del nostri 24 mila geni sia, più profondamente, modificandone alcuni fino al punto da rendere possibile una debole trasmissione alle generazioni successive delle mutazioni intervenute.
Era chiaro a tutti, da secoli, che l’ambiente intrauterino nel quale trascorriamo i primi nove mesi e dieci giorni della nostra vita è di eccezionale importanza, ma solo da pochi decenni gli scienziati hanno incominciato a dargli il peso che merita.
Tra i ricercatori che si occupano della placenta e dell’epigenetica da questo nuovo punto di vista, ci sono Adrian Erlebacher,
professore al dipartimento di Medicina analitica alla School of medicine dell’Università della California a San Francisco, e Susan
J. Fisher, professoressa presso la stessa università al dipartimento di ostetricia e ginecologia. Insieme hanno pubblicato su Scientific american un articolo che fa il punto sullo stato attuale delle conoscenze in questo campo poco frequentato della fisiologia umana.
Erlebacher fa ricerca su un modello animale (topi) per chiarire i meccanismi immunologici che mette in atto l’utero perché non avvenga il rigetto della placenta: questo organo temporaneo, infatti, è un prodotto dell’embrione, non della madre e quindi il sistema immunitario della gestante non lo riconosce come proprio e tende a eliminarlo come un invasore.
Le nausee? Probabilmente residui effetti da reazione immunitaria: la placenta è un organo altrui!
Affinché non avvenga il rigetto, deve entrare in azione una specifica disattivazione immunitaria. Nausee e altri malesseri delle donne incinte, del resto, sono proprio gli effetti di una residua reazione immunitaria della gestante nei confronti dell’embrione e poi del feto.
Susan J. Fisher conduce ricerche complementari rispetto a quelle di Erlebacher: nel suo laboratorio, studia la genesi della placenta nella gravidanza umana e come eventuali incidenti nella sua formazione ne comportino complicazioni della gestazione.
La conclusione (provvisoria) dei lavori di Erlebacher e Fisher è sorprendente: il sistema immunitario della madre non solo tiene a bada il rigetto della placenta ma, addirittura, contribuisce al suo adeguato sviluppo e funzionamento.
Si è così compreso che, spesso, la causa di complicazioni o danni al feto non è da cercare nella gestante, ma in difetti della placenta o della sua interazione con l’utero. Questi malfunzionamenti per via epigenetica possono compromettere la salute della nuova creatura anche molti anni dopo la nascita, in età matura. Rimane per adesso ancora oscuro, invece, come il virus Zika riesca a contagiare il feto. La spiegazione migliore è che il virus approfitti del conflitto in cui si trova il sistema immunitario della gestante, che da un lato deve abbassare le difese per non rigettare la placenta e, dall’altro, dovrebbe alzarle per fermare Zika.
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Il processo di sviluppo placentare è complesso e delicato
Quando è pronta ad accogliere l’ovulo fecondato, la mucosa dell’endometrio si trasforma in una placenta materna (o placenta decidua basale), costituita da uno strato superficiale compatto e da una parte più profonda, lo strato spugnoso, a contatto con la muscolatura dell’utero. L’ovulo si annida nella placenta decidua e procede nelle moltiplicazioni cellulari. In capo a due o tre settimane prende forma la placenta vera e propria, con il cordone ombelicale che consente lo scambio di sangue tra il feto e il sistema circolatorio materno. La transizione dalla placenta decidua, che deriva da cellule materne, a quella responsabile di tutta la gravidanza, che invece deriva dalle cellule del feto stesso, è difficile da cogliere. Per questo, si è capito con un certo ritardo che la placenta “vera” è un organo espresso dal feto e non dalla madre, la quale però nel frattempo ha “zittito” il suo sistema immunitario per accogliere favorevolmente sia il feto, sia il suo organo placentare che fungerà da interfaccia con l’ambiente uterino.
Non uno solo ma un multi-organo: agisce come il fegato, i polmoni, i reni
Ma più che un organo singolo, la placenta è un insieme di organi che lavorano al servizio del feto prima che questo possa sviluppare i suoi: metabolizza il cibo come il fegato, scambia l’ossigeno come i polmoni, come i reni filtra ed espelle i prodotti di scarto (urea, anidride carbonica…). La sua crescita è rapidissima grazie a una enorme proliferazione cellulare che avviene nelle prime settimane di gestazione. Quando è matura, la placenta acquisisce un peso di poco più di mezzo chilogrammo (la sua massa è proporzionale alle misure del bambino ed è un po’ maggiore per le femmine).
L’aspetto è quello di una focaccia carnosa (la parola “placenta” viene dal greco e significa appunto “focaccia”) del diametro di 1518 centimetri e spessa da 1 a 4, di colore rosso scuro perché è fortemente vascolarizzata: un lato aderisce all’utero materno e l’altro lato sta di fronte al bambino.
Questo lato è ricco di vasi sanguigni che passano per il cordone ombelicale; quest’ultimo si innesta vicino al centro della placenta ed è lungo circa mezzo metro. Come per la placenta passano le sostanze nutrienti destinate ad alimentare il feto, così possono passare anche inquinanti particolarmente subdoli. Uno di questi è il particolato fine (PM10) che sempre più spesso fluttua nell’aria delle grandi città.
Alcuni studi suggeriscono che le particelle derivate dalla combustione degli idrocarburi con dimensioni inferiori a 10 millesimi di millimetro contribuiscano all’insorgere della sindrome autistica. Questo sarebbe solo uno tra i tanti influssi duraturi nell’ambiente intrauterino sui neonati.
Uno studio condotto su topi pubblicato nel 2016 dagli immunologi Dan R. Littman dell’Università di New York e Jun R. Huh della Medical school dell’Università del Massachusetts indica che agenti infiammatori strutturalmente simili a certi virus sono in grado di danneggiare lo sviluppo cerebrale del neonato con conseguenze a lungo termine. Ancora in gran parte da esplorare sono gli scambi di ormoni tra madre e bambino mediati dalla placenta, complicati dal fatto che tale organo invia ormoni propri sia alla madre, sia al nascituro.
Gli ormoni placentari governano la gravidanza dal terzo mese fino al momento di promuovere il parto e la produzione del latte. Quello più in evidenza è la gonadotropina corionica. La sua secrezione inizia al terzo mese di gestazione e dà il via a una produzione di estrogeni la cui concentrazione nel sangue continua ad aumentare nei mesi successivi per poi crollare con il parto e l’espulsione della placenta, il cui distacco è causato dalla rapida riduzione della superficie dell’utero conseguente all’espulsione del feto. Vitamine e anticorpi sono anch’essi mediati dalla placenta, oltre, ovviamente, all’ossigeno necessario alla respirazione dei tessuti. La maggior parte degli anticorpi è fissata alle gammaglobuline, il cui passaggio attraverso la placenta è stato ampiamente dimostrato.
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Buon funzionamento placentare e un ambiente interno ed esterno sano: premesse per la riuscita della gravidanza
La riuscita di una gravidanza, in definitiva, dipende principalmente dal buon funzionamento della placenta e dall’influsso epigenetico dell’ambiente interno ed esterno al sacco amniotico. La formazione del cervello del neonato è di una importanza cruciale: alla nascita, il cervello pesa solo 350 grammi ed è del tutto immaturo, il 75 per cento della sua rete neuronale deve ancora essere costruito. Eppure, il neonato riesce già a riconoscere voci e musiche ascoltate durante la gravidanza, e ha già un gusto orientato dalle abitudini alimentari della madre. Sindromi di iperattività e deficit di attenzione, spesso, risalgono a stress della gestazione e allo stile di vita della madre.
Il neuroscienziato olandese Dick Swaab riferisce uno studio recente nel suo libro Il cervello creativo. Come l’uomo e il mondo
si plasmano a vicenda, appena pubblicato da Castelvecchi (401 pagine, 35 euro). «Alcuni bambini di sette anni», scrive Swaab, «sono stati sottoposti a risonanza magnetica con tensore di diffusione (Mri-Dti), una tecnica che rende visibili le connessioni tra aree cerebrali. Gli eventi stressanti risalenti alla gravidanza mostrano una correlazione con le modifiche strutturali delle connessioni tra l’amigdala e la corteccia prefrontale. In seguito a quelle esperienze, quei bambini reagiranno in modo diverso all’ansia e alle situazioni paurose», di cui l’amigdala è sede. Insomma: la placenta, organo a durata limitata, lascia tracce che si allungano su tutta la vita.