Il sacerdote messicano Rogelio Alcántara analizza la questione in un incontro di esorcisti di tutto il mondoIn alcuni settori della Chiesa cattolica, soprattutto nei gruppi di tipo carismatico, si è diffusa molto la pratica della preghiera, del Rosario o delle Messe di “guarigione dell’albero genealogico” o “guarigione intergenerazionale”, che suscita grandi adesioni da un lato e dure critiche dall’altro.
L’Associazione Internazionale degli Esorcisti ha affrontato questo tema nel suo congresso celebrato a Roma a settembre, ad opera del sacerdote messicano Rogelio Alcántara, a cui è stato chiesto uno studio esaustivo sulla questione. Alcántara è dottore in Teologia e direttore della Commissione per la Dottrina della Fede dell’arcidiocesi di Città del Messico. Riassumiamo il suo intervento.
Mali ereditati?
L’autore riassume così l’idea alla base della guarigione intergenerazionale: “i mali che soffrono attualmente le persone (mali psichici, morali, sociali, spirituali e corporali) hanno una causa negli antenati. La persona attuale sarebbe l’ultimo anello di una catena, attraverso la quale passano i mali che arrivano a lei”.
Da dove dovrebbero venire questi mali? L’origine è triplice: le inclinazioni negative degli antenati, i loro peccati e le maledizioni lanciate sui loro discendenti, il che porterebbe la persona ad avere “inclinazioni e tendenze a determinati mali” o “legami ancestrali” molto forti.
La soluzione proposta al credente da alcuni sacerdoti e gruppi dedicati al ministero di guarigione e liberazione sarebbe “guarire il suo albero genealogico con pratiche religiose e preghiere specifiche che possano spezzare questa ‘eredità’ nefasta che ha ricevuto dagli antenati”, ottenendo la propria liberazione e il perdono degli antenati stessi.
Per questo, si svolgono alcuni riti che implicano il fatto di assumere “nuovi concetti come trasferimento, influenza, maledizione intergenerazionale, eredità ancestrale, vischiosità, guarigione dell’albero genealogico, ecc.”.
Da dove deriva questa teoria?
Dopo aver offerto citazioni significative di vari autori che sostengono questa idea, padre Alcántara afferma che non possiamo trovare alcun autore cattolico che abbia insegnato la dottrina del “peccato ancestrale” prima della seconda metà del XX secolo, per cui “è una ‘dottrina innovativa’, inventata, che rappresenta un grave pericolo per chi vuole accettare la rivelazione divina come ce la presenta la Chiesa cattolica”.
Secondo il sacerdote messicano, questa teoria “è apparsa per la prima volta tra i protestanti per ispirazione pagana. È stato un missionario protestante, Kenneth McAll, a dare impulso alla pratica di ‘guarire’ l’albero genealogico fino a trasformarla in un movimento”.
Queste idee non neanche alcuna base filosofica o scientifica. Padre Alcántara sottolinea che “la presunta base filosofica del cosiddetto danno ancestrale è molto simile a quello che è popolarmente noto come ‘karma’, idea derivante dalla religione induista”.
Ovviamente la dottrina del peccato ancestrale non ha nemmeno alcun fondamento teologico, anche se i suoi difensori “cercano di giustificare la loro applicazione del ‘karma’ alla teologia cristiana basandosi sulle scienze psicologiche, soprattutto su Carl Jung”, arrivando anche a citare la dottrina cattolica del peccato originale, senza fondamento.
Ma… non appare nella Bibbia?
L’idea dei peccati degli antenati che influiscono sulla vita delle persone appare in vari passi dell’Antico Testamento, che Rogelio Alcántara analizza per dimostrare come la corretta interpretazione di questi testi implichi il fatto di leggerli nel loro contesto, intendendoli “in un progresso pedagogico della rivelazione, che giunge alla sua pienezza in Cristo, Colui che ci insegna, ad esempio, il concetto autentico di castigo e misericordia divina”.
È proprio la misericordia di Dio il tema che si sottolinea nei testi biblici, la risposta divina al peccato dell’essere umano. Dall’altro alto, ci sono testi nell’Antico Testamento in cui si esprime chiaramente “che ciascuno si prenderà la propria colpa e le conseguenze del suo peccato”, ovvero “si sottolinea la dimensione personale del peccato”.
Nell’Antico Testamento, quindi, “c’è già un nitido chiarimento del rapporto tra conseguenze del peccato e colpevolezza personale”, cosa confermata dalle parole di Gesù nei Vangeli, come quando risponde a chi gli chiedeva se un cieco lo era per i propri peccati o per quelli dei suoi genitori.
Per questo, il sacerdote afferma che “a partire dall’analisi dei testi della Sacra Scrittura possiamo concludere che la ‘dottrina’ del cosiddetto ‘peccato ancestrale’ e la cosiddetta ‘preghiera di guarigione dell’albero genealogico’ non hanno fondamento nella Rivelazione soprannaturale”.
Distinzione tra influenze, peccati e maledizioni
Il passo seguente nella riflessione è chiarire i termini usati e distinguerli. In primo luogo si definisce l’influenza intergenerazionale come “ogni elemento che altera o determina il modo di pensare o di agire di qualcuno di una generazione futura”. L’influenza di una generazione sull’altra esiste, è una cosa naturale, e si verifica per questioni ambientali o di convivenza (come l’educazione umana o religiosa, il buono o cattivo esempio…)
In secondo luogo si chiarisce in modo categorico nella rivelazione che i cosiddetti peccati intergenerazionali o ancestrali – intesi come peccati che si trasmettono da una generazione all’altra – non esistono, perché il peccato è un atto libero, le cui conseguenze per il fatto di aver trasgredito la legge divina – colpa e pena – sono personali e quindi non trasferibili.
Padre Alcántara ribadisce che “se per peccati ancestrali si intendono i peccati degli antenati che si trasferiscono alla generazione attuale questi non esistono, perché l’unico peccato che si può trasmettere per via della generazione è il peccato originale”.
“Se per peccati ancestrali si intendono semplicemente i peccati commessi dai nostri antenati e che non si trasmettono alle generazioni attuali si potrebbe accettare l’espressione, ma prestandosi a confusione e per via del rischio di interpretarli nel primo senso è meglio evitare questa definizione”.
I peccati di un antenato non possono predisporre al peccato il discendente; potrebbero solo “influire naturalmente (ambientalmente) a mo’ di esempio sulle persone vicine al peccatore, ma non possono predisporre nessuno al peccato”. I peccati si ripetono nelle famiglie soprattutto per il cattivo esempio.
Le maledizioni hanno effetto?
Su questo punto, il teologo messicano è tornato alla questione delle “maledizioni che si fanno come richieste al demonio” perché una persona sia privata di qualche bene. Dopo averne analizzati i vari tipi, affronta la loro efficacia: “chi maledice può semplicemente desiderare il male dell’altro, ma il puro desiderio umano non ha il potere di provocare alcun danno. La maledizione potrebbe aver effetto quando chi la realizza chiede il male per l’altro” – che lo chieda a Dio o al demonio.
Visto che Dio non risponde a una richiesta che cerca il male di un’altra persona, gli unici a poter realizzare le maledizioni sono i demoni. Com’è possibile? Padre Alcántara risponde: “Per un mistero – spesso per noi incomprensibile –, Dio permette al suo nemico di agire provocando alle creature umane danni di tipo fisico, psicologico o spirituale, per la loro conversione e la loro salvezza”.
Ma qual è la portata di una maledizione o della stregoneria nel tempo? Secondo l’autore, un uomo può maledire i suoi discendenti, ma solo i vivi, perché non ha potere su chi non è ancora stato concepito.
Che pericoli ci sono?
Per concludere, il sacerdote messicano afferma che “le cosiddette Messe (o preghiere) per guarire l’albero genealogico non fanno parte della dottrina e della liturgia cattolica… Né nella Rivelazione né nei Santi Padri, né nella storia della teologia cattolica c’è un solo esempio del fatto che sia o sia stato insegnamento cattolico”.
Basandosi su un documento dei vescovi francesi, spiega che “la cosiddetta preghiera di guarigione dell’albero genealogico porta la persona a cercare le ragioni della sua sofferenza al di fuori di sé, il che impedisce che ci sia un vero processo di aiuto psicologico che potrebbe guarire l’individuo. Le ‘Messe’ che si celebrano con questa intenzione, quindi, rappresentano per i fedeli più un pericolo psicologico che un aiuto”.
“Queste Messe”, sottolinea infine, “deviano la carità che dovremmo nutrire nei confronti dei nostri cari defunti. Anziché offrire Messe per loro, chiediamo Messe per noi, perché vogliamo che i loro peccati smettano di influire su di noi in questa vita”.