Trascurata, abbandonata, forse incapace di chiedere. Nella disperazione un’evidenza: lei e il bambino erano inseparabili, impossibile risolvere le cose scegliendo l’aborto.
Se qualcuno, pochi in realtà, si soffermerà a dedicare un minuto di tempo a leggere su qualche quotidiano della morte di Fatima, è probabile che scuota le spalle e passi oltre con un pensiero che passa per la testa: “Vabbé, era marocchina…“.
Nell’indifferenza generale, si è presentata davanti alla stazione con l’aria spaesata, ha raggiunto il sottopasso e poi come in uno stato di trance ha iniziato a correre. I testimoni non hanno fatto in tempo a rendersi conto delle sue intenzioni, così lei ha tirato dritto verso un convoglio che stava sopraggiungendo in quel momento. L’impatto è stato violentissimo. (da Repubblica)
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Si sa poco di chi era Fatima, la ragazza di appena 18 anni che domenica scorsa si è tolta la vita buttandosi sotto un treno a Pontedera. Ha tolto la vita anche al figlio che portava in grembo; in questo tempo in cui è facile liberarsi solo del bambino, quando una gravidanza è – per così dire – sgradita, lei non si è separata da lui. Morti entrambi, ed è una tragedia. Ma è anche un messaggio chiaro: se quella maternità era anche arrivata fuori dai suoi piani, non le era sgradita. Legata a suo figlio, ha chiesto aiuto forse non abbastanza, forse non nel modo giusto, in ogni caso non è stata ascoltata. Allora ha commesso l’atto estremo di negazione, che in questo caso è anche affermazione di un’evidenza: lei e il bambino erano già insieme e inseparabili, impossibile risolvere le cose uccidendo solo la vita di tre mesi nel suo grembo.
Sola
Simbolicamente buttarsi sotto un treno è un modo per togliersi la vita, mettendosi al centro della vita altrui per qualche ora. A Milano mi capitò di dover riscrivere la mia giornata e gli impegni perché una linea metropolitana era stata chiusa a causa di un suicidio; quel fatto mi portò in dote ore di ritardo, telefonate, rinunce … piccole cose, fastidiose. Sbuffai, ma mi chiesi: “Chi sei tu, che uccidendoti volevi anche la mia attenzione di sconosciuta?”.
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Buttarsi sotto i binari è distruggersi chiedendo a forza di essere guardati per l’ultima volta. Non è come ingoiare qualche pasticca chiusi nel bagno di casa.
Fatima aveva chiesto aiuto a molti, ma era rimasta sola. Era madre, non era più una sola persona, ed è stata allontanata da tutti o solo dimenticata, trascurata. La famiglia l’aveva messa alla porta a causa del fidanzato non benvisto; il fidanzato poi l’ha allontanata a causa della gravidanza; poi ha trascorso qualche mese in due diverse case famiglia tra Firenze e Pontedera.
A 18 anni è difficile snebbiare la selva che si porta dentro, magari Fatima ha anche mostrato diffidenza o solo timidezza nel farsi aiutare. Non so. La sua presenza nel mondo sembra ridursi a quella di un fantasma proprio nel momento che la vede fiorire di vita nel grembo. E come un fantasma è comparsa in stazione, spaesata la descrive chi l’ha vita; era già oltre il limite oltre cui gli occhi non percepiscono più la realtà, ma sono solo fissi sul buio fitto e inestricabile che c’è dentro.
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L’accecamento totale l’ha portata a rispondere con la morte all’amore evidente che portava per il figlio; come a dire: “Qualunque cosa sia, l’affronteremo insieme”. Nessun altro posto sulla terra li aveva accolti, o non c’è stato il coraggio di chiedere abbastanza, la capacità emotiva e intellettuale di trovare altre soluzioni.
Dopo l’impatto e la morte, a lungo il suo cadavere è rimasto senza nome. Finché qualcuno ha detto: “È lei, è Fatima”. Per quanto asettico, suona come un estremo gesto di pietà: essere, almeno, riconosciuta.
Sguardi di bene
La stazione è un luogo molto simbolico, tanta gente che passa e nessuno che s’incontra. Forse interpreto male il dolore della tua persona, cara Fatima, ma non riesco a non pensare che tu abbia voluto anche puntare il dito contro la noncuranza generale che domina tra noi.
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Il problema altrui è sempre un peso, visto che i problemi personali sono già tanti. Ci sfioriamo e poi speriamo di poter proseguire per la nostra strada senza intoppi, ognuno sul suo binario, ognuno parallelo e indifferente al compagno di viaggio.
Paola Bonzi è da tempo una voce potente che ha scardinato la logica del “parallelismo umano”, lei si è intersecata, incrociata con la vite di donne sconosciute, eppure non estranee in fondo, che hanno affrontato gravidanze difficili da accettare e sono state tentate dalla soluzione mortifera dell’aborto. Con chiarezza ha sempre detto:
“Se una donna è costretta ad abortire per motivi economici, siamo tutti responsabili dei soldi che buttiamo via per motivi superflui. Tutti”.
I tanti Centri di Aiuto alla Vita che ora sorgono in Italia sono l’abbraccio che è mancato, in assenza di molti altri, a Fatima.
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Quante altre simili a lei ci camminano a fianco e meritano di sapere che ciò che credono un incubo non lo è affatto; il nostro sguardo e una parola azzardata, oltre il muro dell’indifferenza, possono essere un pertugio verso la salvezza che qualcuno attende.