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Come viene rappresentato l’Inferno nell’arte?

DEPICTION OF HELL
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Daniel R. Esparza - pubblicato il 21/11/18
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Pensate che l’Inferno non sia estremo come viene presentato? Le opere di questi artisti vi faranno forse cambiare ideaL’Inferno viene descritto nel Catechismo della Chiesa Cattolica come uno “stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati”. La dottrina cattolica afferma chiaramente che Dio non predestina nessuno all’Inferno. Scegliere l’Inferno implica un allontanamento volontario e persistente da Dio, un rifiuto del Suo amore misericordioso.

Di fatto, sia le affermazioni della Scrittura che gli insegnamenti della Chiesa sul tema dell’Inferno sono – sempre secondo il Catechismo – “un appello alla responsabilità con la quale l’uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno”, e allo stesso tempo una chiamata alla conversione. Ma se l’Inferno viene descritto come uno “stato”, perché viene spesso rappresentato come un “luogo”?

Scoprite alcune delle rappresentazioni più popolari dell’Inferno nella galleria fotografica di questo articolo.

Secondo alcuni apologeti, non è chiaro se la nozione dell’Inferno che troviamo nel Nuovo Testamento sia presente nell’Antico. Il Nuovo Testamento offre un’escatologia più elaborata – ed esplicita – di quella che si ritrova nella Bibbia ebraica. Quest’ultima, però, non è priva di descrizioni dell’Inferno. Il salmista fa spesso riferimento al “giorno della sua ira”, quella di Dio (Salmo 110, 5), e Daniele descrive la durata di questo giorno in termini di “vergogna e infamia eterna” (Daniele 12, 2), sottolineando l’aspetto dell’eternità. Anche Isaia (14, 9) usa la parola “Seol”, in genere tradotta come “inferi”, per riferirsi alla morte stessa o al “luogo dei morti”, come si legge in alcune traduzioni. Quando questo passo di Isaia viene letto insieme a quello di Giovanni in cui vediamo Gesù che dice “Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida” (1 Giovanni 3, 14-15), si può trarre una conclusione ovvia: nell’Inferno non c’è amore. Ciò non risolve, però, la dicotomia luogo/stato di cui abbiamo parlato in precedenza.

Gesù si riferisce spesso alla Geenna, seguendo Geremia. Il termine Geenna si riferisce alla valle dell’Hinnom – il “Ge Hinnom”, in ebraico tiberiense –, una piccola valle a Gerusalemme in cui alcuni degli antichissimi re di Giuda sacrificavano i bambini nel fuoco. È comprensibile che questo luogo si associasse allora non solo al destino dei malvagi, ma anche al “fuoco inestinguibile” (Marco 9, 43). Sappiamo però che ci sono altri tormenti, oltre al fuoco, che sono stati associati a questo luogo privo d’amore.

“Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”, recita l’iscrizione che Dante ha posto alle porte del suo Inferno. Guidato dal poeta romano Virgilio, Dante attraversa letteralmente l’Inferno. In qualche modo, il suo viaggio rappresenta quello di un’anima verso Dio, e l’Inferno rappresenta presumibilmente il riconoscimento, il pentimento e il rifiuto del peccato. Nella visione dantesca dell’Inferno, è difficile liberarsi di qualcosa. I colpevoli del peccato di gola vengono bombardati da pioggia, grandine e neve nera. Se credete che l’adulazione non sia tanto grave, forse cambierete idea leggendo di quanti sono immersi negli escrementi umani nell’Ottavo Cerchio dell’Inferno…

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