6mila frati, 10mila suore, 30mila consacrate apostoliche e 200mila laici: è il numero di quelli che, nei cinque continenti, vivono la spiritualità di san Domenico. Bruno Cadoré è l’86esimo Maestro generale dell’Ordine dei Predicatori. Mentre il suo mandato volge al termine, egli prende parola in un libro di grande densità spirituale, Écouter avec Lui l’envers du monde [Ascoltare con Lui il contrario del mondo, N.d.T.]. Intervista.
È nel 2010 che i Domenicani hanno scelto per Maestro generale questo francese dalle radici che affondano nelle terre di Borgogna e di Martinica. La sua formazione originale, che riunisce la medicina e la teologia, gli ha permesso di addurre uno sguardo profondo nella ricerca e nell’insegnamento della bioetica e nella sua partecipazione al Consiglio nazionale sull’Aids, sempre mentre esercitava la responsabilità del Provincialato. Proprio nel momento in cui smette di essere a capo dell’Ordine frate Bruno ha deciso di prendere la parola insieme per richiamare la missione della famiglia domenicana nel mondo contemporaneo e per invitare tutti i cristiani alla «gioia di sapere che Dio vorrebbe parlare nel mondo».
Marzena Devoud: L’Ordine dei Predicatori è stato fondato 800 anni fa. Come può evangelizzare il mondo del XXI secolo?
Bruno Cadoré: È una domanda importante. È evidente che tante cose sono cambiate… E al contempo niente è cambiato. L’evangelizzazione è sempre anzitutto un incontro. La sfida di oggi è di sapere come i predicatori annunceranno l’Evangelo agli uomini del nostro tempo. Evangelizzare è anzitutto mettersi in silenzio e scomparire dietro alla Parola di Gesù. È importante misurare fino a che punto le parole umane si mostrano fragili per farGli eco con giustizia.
M. D.: Essere un buon predicatore si ottiene mettendosi in ascolto di Dio?
B. C.: Mi sembra che la risposta si trovi presso chi ha il gusto degli incontri veri con la gente. Chi vuole andare incontro all’altro ancor prima di domandarsi che cosa occorrerà dire o fare. La predicazione è questo: niente del predicatore e tutto di Lui. Lungo o breve, poco importa: il silenzio fonda il mistero, così come s’impone dopo la comunione o nell’omelia.
M. D.: Bisogna essere familiari con Dio come lo era san Domenico, per andare davvero incontro all’altro?
B. C.: Dio è così differente e altro rispetto a noi! E al contempo è così vicino! La predicazione è l’annuncio che Dio s’avvicina. È il messaggio del predicatore, come pure quello di Gesù. Dio, tanto grande, alto e differente… si avvicina a noi. È il messaggio più importante dell’Evangelo.
M. D.: Come è stato il suo cammino verso i Domenicani?
B. C.: Io ho incontrato i Predicatori… senza averli veramente cercati! Certamente desideravo incontrare Dio, vivere qualcosa con Lui. Mi ricordo soprattutto di un giorno in cui ho visitato una comunità domenicana. Mi sono sentito semplicemente a casa mia. Un focolare. L’importante è questo sentimento, nel momento di un incontro: che si sia arrivati nel posto giusto. Anche se non avete preparato nei dettagli questo incontro, c’è un momento in cui i pezzi si dispongono. Di solito si preparano nel lungo periodo, anche per quello che uno non è andato a cercarsi.
M. D.: Che cosa significa per lei vivere in fraternità all’interno di una comunità?
B. C.: Condividiamo il medesimo destino. Il fratello condivide il mio destino, la mia vita, le mie preoccupazioni, i miei gusti, le mie inquietudini, le mie gioie. È come se fossimo all’uguaglianza di destino. Ciò non significa che il fratello è come me: restiamo differenti ma condividiamo ciò che capita agli uni e agli altri. Quel che preoccupa un fratello mi preoccupa; quel che gli dà gioia mi dà gioia.
M. D.: E l’obbedienza?
B. C.: Per me, l’obbedienza è l’ascolto della Parola di Dio, l’ascolto della Parola di Colui che dice «Ecco, io vengo, sono vicino». L’obbedienza umana si radica in questo primo ascolto fondamentale, quello della parola di Dio “Io vengo”. L’obbedienza nella fraternità ci permette di metterci ciascuno a disposizione di questa Parola. Tra fratelli l’obbedienza è anche affidare la propria vocazione ai fratelli. Dare fiducia agli altri perché ci aiutino e ci insegnino come ascoltare la Parola che si avvicina, e come risponderle. È affidare il nostro desiderio di ascoltare la Parola alla vigilanza degli altri.
M. D.: Nella sua opera lei evoca il posto particolare delle donne nella spiritualità domenicana, in particolare parlando della veglia e della contemplazione delle donne. Qual è la loro vocazione?
B. C.: Nella nostra famiglia domenicana ci sono uomini e donne, religiosi e laici, chierici e non chierici… Io penso che bisogni dare alle donne il loro giusto posto nella Chiesa, e in tal senso viviamo un periodo formidabile. Non si tratta unicamente di una questione di riequilibrio delle cariche ecclesiastiche e dei poteri. Secondo me, il posto delle donne è nella reciprocità. Questo termine dice molto più di “uguaglianza”. La reciprocità ingloba l’uguaglianza includendo una mutua dipendenza. Essa dice che la libertà dell’uno è deposta sotto la vigilanza della libertà dell’altro. Nella predicazione e nell’annuncio della Parola di Dio, le donne hanno una capacità di contemplare e di vegliare che è loro peculiarità. Sono quelle che sono più disposte ad ascoltare Colui che si avvicina. Ogni essere umano veglia sulla vita, ma il modo in cui lo fanno le donne è propria a loro. L’evangelizzazione non è soltanto deporre la Parola in qualcuno, è vegliare sulla gestazione di quella Parola in lui. Non per nulla l’apostola degli apostoli era una donna: si tratta di vegliare sulla gestazione di qualcuno mediante la Parola.
M. D.: Lei dice che Maria Maddalena, l’apostola degli apostoli, è l’emozionata depositaria della totalità dell’Annuncio…
B. C.: È quella che alla fine di una vita perduta… viene a rendere omaggio al corpo di Colui che hanno ucciso. Non lo trova. È toccata da quello che potrebbe essere accaduto. Tutto ciò che aveva dato senso alla sua vita sembra vacillare. È toccata dal vedere che Cristo non è più lì. Poi sente una voce. Vede un giardiniere e questo incontro la tocca. La voce che si rivolge a lei la tocca nel più profondo del cuore: ella rinsalda il vincolo con questa relazione che dà senso alla vita. È toccata dall’essere chiamata per nome, di sentire di nuovo il legame unico che ha col suo Signore. Gesù le rivela che Egli è proprio Lui, che proprio a lei Egli parla. Bisogna allora ch’ella vada al di là dell’emozione, per andare avanti alla Parola di Dio e farla nascere negli altri. Abbiamo bisogno di quest’emozione, quella di sentire che Dio si fa prossimo di ciascuno. Maria Maddalena ha sperimentato di nuovo questa prossimità con Gesù. Ella comprende allora di essere inviata per permettere ad altri di sperimentare a loro volta quella prossimità.
M. D.: Ascoltare con Lui il contrario del mondo è il titolo del suo libro. Che cos’è “il contrario del mondo”?
B. C.: È quello che non si vede. Ciò che riguarda la tunica, il corpo di Cristo. Ciò che si potrebbe dimenticare. Dimenticare di dire o di considerare: quelli che credono di non avere un posto nel mondo, i popoli troppo fragili o perduti, quelli che non contano niente e che pure sono essenziali per tenere insieme la tunica. C’è un solo vestito, una sola tunica, un unico pezzo… Non c’è dritto senza rovescio. Quando la tunica è danneggiata, è dal rovescio che la si recupera. Non dobbiamo dimenticarlo. Siamo tutti degli uomini a tuttotondo: condividiamo tutti la medesima umanità. Non c’è il diritto all’indifferenza verso questi o quelli che giudichiamo meno importanti.
M. D.: Come ascoltare questo “contrario del mondo” con Dio
B. C.: Forse che non lo sappiamo più o meno intuitivamente? Non penso di saperlo meglio degli altri, ma credo che per essere veramente in presenza di qualcuno, ad esempio di uno dei miei amici, bisogna anzitutto stare alla presenza di sé stessi. Succede insieme, non che sia una condizione antecedente. Di fatto, Dio ci aiuta a metterci alla presenza di noi stessi. Andare incontro a lui significa sperare in una trasformazione di noi stessi grazie a questo incontro.
M. D.: Cioè fare atto di abbandono?
B. C.: Si deve fare quel che si può… Poco importa darsi obiettivi troppo dettagliati. Quel che serve è tenere una linea, quella dell’incontro con Lui. Non con lo scopo di sapere qualcosa in più, ma di lasciar cambiare qualcosa nella nostra vita. Bisogna attendere che qualcosa cambi, senza sapere esattamente cosa – e neppure se ne siete capaci. Sperare e lasciar agire.
M. D.: Come conservare la forza della speranza?
B. C.: Sei tu che lo sai, per esperienza. Non c’è una ricetta o un piano d’azione universale. Quel di cui tutti abbiamo bisogno è qualcuno che ci dice che sta con noi senza condizioni. Noi vogliamo poter contare incondizionatamente agli occhi di un altro, poco importa ciò che farà. Qualcuno che resterà al mio fianco qualunque cosa accada. È questa fedeltà della presenza che fa nascere in me la mia propria capacità di sperare.
M. D.: Che dice a quelli in cui risuona una chiamata a impegnarsi come religiosi o laici ma che dubitano di esserne all’altezza?
B. C.: È l’Evangelo, è Gesù che si avvicina a me. Ho il desiderio di contribuire a questo avvicinamento presso altri? Non sono sicuro di esserne capace, so che non ci riuscirò ogni giorno, che incontrerò molti ostacoli. Poco importa: non dubito di Gesù e della sua parola. Il come è poco importante, non è la mia volontà di essere all’altezza che conta, è la Parola che si mette alla mia altezza. La Parola di Dio non chiede mai più di quanto siamo capaci. Alle volte si perde troppo tempo a chiedersi se si è capaci di questo o di quello. Bisogna piuttosto domandarsi: questa parola di Dio è capace di me… vuole avvicinarsi al mondo… e io ci credo?
Amo raccontare questa storia. Uno dei miei fratelli amati mi diceva che l’uomo domanda spesso a Dio il suo indirizzo e Dio lo invita a… il contrario del mondo. È il suo indirizzo, perché Egli se ne sta in disparte con quelli che ai loro propri occhi non contano. E invece per Dio tutti contano.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]