Il più delle volte non sappiamo di avere dentro di noi cose sconosciute, spaventose e splendide: amare è scoprire grazie a te il mistero di bene che Dio ha messo in me.
“Amare è dare ciò che non si ha”. Abbiamo ascoltato insieme Benigni e ho provato ad ascoltare con semplicità, come spesso sai fare meglio di me. Proprio come da bambini, quando ancora non tutto ci appare confuso. Ti do ciò che non ho, ciò che non riesco. Dunque amare significa snaturarsi? Si dice di essere se stessi in amore, perlomeno in amore, aggiungerei. Essere se stessi. Una mente molto schematica quale è la mia, ragiona così, ho in testa una lunga scaletta da rispettare, un ordine, una sequenza: prima si sta bene con sé, prima ci si ritrova, poi ci si dona, ci si concede, si ama. Ma il passare dei giorni, degli eventi, del tempo, mi induce a pensare che forse è bene mischiare un po’ tutto.
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Siamo composti da minuscoli pezzetti che spesso lasciamo andare con lo scorrere delle giornate, con le persone incontrate, con i compromessi a cui scendiamo, con i sentimenti che non proviamo, con i sogni che tralasciamo, con le emozioni che non dichiariamo. Lasciamo andare dei pezzetti di noi. E se da un lato a volte questo ci fa scoprire l’essenza, ciò che rimane dopo aver potato i fronzoli, dall’altro spesso conferisce alla nostra esistenza un senso di spaesamento per il quale non riusciamo più a ritrovarci. E che cosa ci rimane? Il lavoro che facciamo, la strada che percorriamo tutti i giorni, le faccende da sbrigare, i nostri grandi progetti giornalieri da portare avanti. “Che lavoro fai?”, “quanti anni hai?”, “sei impegnato?”, “che genere di film preferisci?”, “che cosa leggi?”. Domande. Sappiamo a volte solo queste di risposte e, sicuri di noi, tentiamo di aderire alla forma, al contenuto che più ci piace.
Allora rispondiamo senza approfondire, chiediamo senza voler sapere. Ci stiamo senza starci. Perchè abbiamo paura di perdere altri dei nostri pezzetti per strada e di non riuscire mai a riunire tutti quei punti disparati per formare finalmente “noi stessi”. Per essere. Ma essere non è vivere. E vivere non è stare. E stare non è “starci”. Stare alla vita, alle scommesse che essa porta con sé, alla bellezza da scoprire e alle cadute da affrontare. Solo standoci si è se stessi. E come si fa a trovare prima la nostra identità se in realtà non ci stiamo? Non ci doniamo? Non ci concediamo… e non amiamo? Tutto insieme. Tutto un insieme di vorticosi giri che la vita ci fa fare per insegnarci. “Historia magistra vitae”, (Ah, le reminescenze liceali! Curioso come funzioni la memoria, come ci ponga di fronte conoscenze forse una volta interiorizzate solo per superare la sufficienza e ora tramutate in ammonimenti), sì, diventa maestra la nostra storia quando si insinua tutti i giorni nelle nostre azioni e nei nostri pensieri. Quando ti sussurra di buttarti, quando ti dice di provare ad amare perchè anche se ci rimani fregato ti sei guadagnato un pezzetto da aggiungere a “te stesso”. Probabilmente ci siamo ritrovati tutti ad un bivio ad un certo punto della nostra relazione con l’altro: te sei così, io invece sono così.
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E concentrati sul cambiare l’altro non pensiamo mai che forse il lavoro più grande e più importante da fare è su noi stessi. Vedi Federica? Devi imparare a pensare anche a te, mi risuona così la tua voce. Ritorna sempre quel “noi stessi”. D’altronde con noi passiamo molto tempo e il rischio è di non accorgersene nemmeno. Il rischio è passare una vita a cercare l’altro, a cambiare l’altro, a riempirci con l’altro, senza accorgerci che il nostro compagno principale di vita siamo proprio noi. Quali domande faresti a te stesso? Forse sono molto diverse dalle domande elecante prima. Forse avresti il coraggio di chiederti come stai, come ti senti, che cosa provi, se vuoi starci, che cosa pensi, che cosa sogni. E facendoci queste domande costruiamo ogni istante un pezzetto nuovo, oppure ritroviamo quel pezzetto perso per strada chissà dove e chissà perchè. Importante è scoprire dove e perchè e da lì ricominciare, da lì ritrovarsi.
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Per questo amare è dare ciò che non si ha, perchè il più delle volte non sappiamo di avere dentro di noi cose sconosciute, misteriose, splendide, spaventose e brillanti. Ti do quello che scopro dentro di me con te. Scopro dentro di me che cosa si cela dandomi a te. Diventi il mio alleato preferito, colui al quale svelo il mistero che Dio ha nascosto in me, la bellezza che custodisco. Allora quando vorrei leccarmi tutto il giorno solo le mie ferite, scopro anche le tue e ti do la mia comprensione.
Se non capisco la vita, guardando la tua forse capisco meglio che cosa desidero nel profondo. Se non ho la fede, camminando con te la cerco.
L’amore non è mai scartato. L’amore che diamo rimane. L’amore è donativo e mai riempitivo.
“Sono un uomo ferito.
E me ne vorrei andare
E finalmente giungere,
Pietà, dove si ascolta
L’uomo che è solo con sé.
Non ho che superbia e bontà.
E mi sento esiliato in mezzo agli uomini.
Ma per essi sto in pena.
Non sarei degno di tornare in me?
Ho popolato di nomi il silenzio.
[…]
Dio guarda la nostra debolezza.
Vorremmo una certezza.
[…]
Non ne posso più di stare murato
Nel desiderio senza amore.”
Giuseppe Ungaretti, La Pietà