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L’ultimo selfie: rischiare la vita per una foto

COPPIA, SELFIE, COLOSSEO

Per fare un selfie bisogna dare le spalle al vero spettacolo

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Paul De Maeyer - pubblicato il 25/10/18
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Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista indiana “Journal of Family Medicine and Primary Care” (almeno) 259 persone sono morte scattando selfie In un passato neppure tanto lontano, quando le fotocamere erano ancora analogiche (invece di digitali), realizzare un cosiddetto “autoscatto” era spesso una vicenda un po’ complicata, la quale richiedeva ad esempio un treppiede o cavalletto fotografico.

Poi è arrivata la fotografia digitale, seguita dai telefonini con fotocamera incorporata ed infine gli smartphone, tutti con doppia fotocamera, una posteriore e una anteriore, ideale quindi per i cosiddetti selfie, come gli autoscatti vengono ormai chiamati.

In tempi rapidissimi i selfie hanno conquistato il pubblico, soprattutto i giovani – ma non solo. Già nel 2013 il quotidiano britannico The Telegraph riportava come i selfie fossero ormai diventati l’immagine più popolare scattata dai giovani, rappresentando il 30% di tutte le foto realizzate dai giovani della fascia 18-24 anni.

Il lato oscuro del selfie

Nella ricerca (o ansia) di realizzare il selfie “perfetto”, quello più cool (cioè il più “fico”, come si direbbe in italiano gergale) o “adrenalinico” che otterrà il maggior numero di like sui social media, molte persone e in particolare i giovani tendono a prendere rischi, a volte anche troppi, risultando in incidenti gravi e – purtroppo – persino mortali. 

Uno studio pubblicato sul numero di luglio-agosto 2018 del Journal of Family Medicine and Primary Care, cioè la rivista ufficiale dell’All India Institute of Medical Sciences, si è soffermato proprio su ciò che ha definito “il problema emergente” dei “decessi per selfie”.

Dai dati raccolti dai ricercatori indiani emerge che dall’ottobre 2011 al novembre 2017, 259 persone hanno trovato la morte mentre stavano scattando selfie. Si tratta però, come fanno osservare gli stessi autori della ricerca, di una cifra solo parziale o “sottostimata”. “E’ solo la punta dell’iceberg”, così ammettono.

Infatti, sui certificati di morte i selfie non vengono mai riportati come causa ufficiale del decesso, il ché implica che la cifra reale di persone che hanno trovato la morte mentre stavano realizzando autoscatti sarà senz’altro (molto) più elevata.

Un secondo motivo per la parzialità del risultato è il metodo usato dall’équipe indiana. Hanno sfogliato infatti la rete immettendo nei motori di ricerca parole chiave come selfie deaths (morti per selfie) o selfie mortality (mortalità per selfie), ottenendo quindi solo risultati o notizie in inglese ed escludendo quindi le altre lingue.


KIRILL ORESHKIN
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Numero di incidenti  

Secondo la ricerca, le 259 vittime sono avvenute in 137 incidenti separati, vale a dire una media di 1,89 vittime – cioè quasi due – per incidente. Infatti non mancano gli esempi di incidenti in cui più persone hanno trovato la morte.

Nel gennaio del 2015 tre studenti universitari indiani sono morti investiti da un treno in transito, quando nei pressi della città di Kosi Kalan, nello Stato dell’Uttar Pradesh, volevano scattare sui binari un cosiddetto daredevil selfie (un autoscatto temerario), così riporta il Times of India.

Sconcertante anche un altro incidente verificatosi in India. Nel distretto di Nagpur, nello Stato del Maharashtra, sette amici – tutti uomini di un’età dai 18 ai 23 anni – hanno perso la vita per annegamento in un bacino idrico naturale, quando la barca in cui erano seduti ha cominciato a fare acqua e si è capovolta mentre stavano facendo selfie.  

Altri dati

Inquietante è anche il fatto che il fenomeno sia in aumento esponenziale. Infatti, il numero di vittime è salito da 3 nel 2011 (anno incompleto) e 2 nel 2013 a 13 nel 2014, 50 nel 2015, 98 nel 2016 e infine 93 (anno incompleto) l’anno scorso, così rivela il rapporto.

Tra le cause di questo aumento, il rapporto menziona la diffusione sempre più alta di smartphone, di applicazioni specializzate per realizzare e ritoccare selfie, di gadget come i selfie sticks (i bastoni allungabili per fare autoscatti) e infine il fenomeno di concorsi tipo “il miglior selfie”.

Altrettanto significativa è l’età media delle vittime: 22,94 anni, cioè quasi 23 anni. Mentre 76 vittime facevano parte della fascia di età 10-19 anni, la proporzione più importante, ovvero 106 vittime, apparteneva alla fascia 20-29 anni. Solo 20 invece le vittime nella fascia di età successiva, cioè 30-39 anni.

Inoltre, così continua la ricerca, quasi tre quarti (il 72,5%) delle vittime erano di sesso maschile e il restante 27,5% donne. Per quanto riguarda proprio i maschi, 115 hanno trovato la morte in situazioni definite “a rischio”, rispetto a 27 donne. Sono invece 38 i maschi morti in situazioni ritenute “non a rischio”, rispetto a 31 donne.  

Per quanto riguarda i Paesi d’origine, la grande maggioranza delle vittime proviene proprio dall’India: 159, ossia più della metà del totale. Al secondo posto si piazza la Russia (con 16 vittime), seguita dagli Stati Uniti (14 vittime) e il Pakistan (11 vittime). Altre cinque vittime sono state segnalate in Turchia, quattro in Spagna e tre in Messico.

Il rapporto tra numero di vittime e numero di incidenti è approssimativamente 1:1, tranne in India, dove è 2:1. Questa particolarità, assieme al numero elevato di vittime nel Paese, ha secondo gli autori dello studio una doppia spiegazione. La prima è che i selfie – soprattutto quelli di gruppo – sono molto popolari in India. Inoltre, continua il rapporto, l’India è anche il Paese con la maggior popolazione di giovani al mondo (cioè di età inferiore ai 30 anni).


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Le cause

La prima causa di morte durante un selfie sono gli annegamenti. Sono 70 le persone che in 32 episodi hanno perso la vita annegando per un autoscatto. Al secondo posto, con 51 vittime (in 28 incidenti), risulta la voce “trasporto”, che include tutte le vittime degli autoscatti realizzati troppo vicini ai binari o anzi davanti ad un treno in transito.

Mentre le voci “incendio” e “caduta” (tra cui alcuni rooftoppers, ossia scalatori di tetti e grattacieli, e anche una coppia di turisti precipitata da una scogliera in Portogallo) hanno provocato entrambe 48 vittime, colpisce la disparità nel numero di episodi: infatti, 41 incidenti sono inseriti nella voce “caduta”, rispetto ad uno solo (sic) nella voce “incendio”.

Poi ci sono i decessi per selfie legati all’uso di armi da fuoco, dove il numero più alto di vittime – un dato che in fin dei conti non sorprende – viene registrato negli USA. Le vittime per elettrocuzione sono 16 (in 13 incidenti), mentre otto sono rimaste uccise in sette incidenti per un selfie con animali.

Raccomandazioni

Per evitare o ridurre il numero di questi decessi (evitabili), già definiti “selfi(e)cidi”, gli autori del rapporto promuovono la creazione di cosiddette No selfie zones, cioè zone dove per motivi di sicurezza è vietato fare selfie. A Bombay, così ricorda lo studio, ne esistono già 16, mentre le autorità indonesiane vogliono crearne una sul Monte Merapi, uno dei vulcani più attivi del Paese.

Il fenomeno – o forse meglio sfida – dei selfie ad ogni costo, persino a costo della propria vita, ha senz’altro qualcosa di sconcertante, come nel caso di due giovani russi rimasti uccisi dallo scoppio di una granata che tenevano in mano per scattare un selfie, come ricorda il sito Priceonomics. Altrettanto sconvolgente il caso di un cittadino cinese caduto in un burrone mentre cercava di fare un selfie nei pressi di una cascata. Pare che l’uomo abbia scattato ancora un ultimo selfie mentre stava precipitando, suggerisce la stessa fonte.

Del resto, anche senza cadere in questi estremi, anche un semplice selfie diventa spesso quasi alienante, come ha osservato papa Francesco il 14 maggio scorso, quando durante l’incontro con la diocesi di Roma nella basilica di San Giovanni in Laterano ha raccontato una sua visita alla sede romana di Scholas Occurrentes.

“Erano contenti di vedermi, ma pochi davano la mano, la maggior parte stava col telefonino su: ‘Foto, foto, selfie, selfie!’. La loro realtà è quella, quello è il mondo reale, non il contatto umano. E questo è grave. Sono giovani virtualizzati. Il mondo delle comunicazioni virtuali è buono ma quando diventa alienante ti fa dimenticare di dare la mano, ti fa salutare col telefonino”, ha osservato il Pontefice.

 

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