C’è una fonte che pacifica la mia pauraA volte non chiedo a Dio nel modo corretto. Non so cosa mi conviene. Chiedo il successo in tutto ciò che faccio. Chiedo tante cose che mi attirano e che desidero. Non so se mi convengono. Chiedo il potere.
E l’unica cosa che vuole sapere Gesù è se sono capace o meno di bere il suo calice, di passare per il suo Battesimo. Ogni giorno bevo dal suo calice, il suo Sangue nell’Eucaristia.
Ma non ne considero l’importanza, e spesso dimentico la profondità del gesto. Dimentico il dolore della croce e le esigenze della sofferenza. L’amarezza di quel Sangue che mi chiede di essere generoso.
Guardo la croce, guardo il calice, e mi sento molto debole di fronte a quella sfida così grande. Se mi soffermo e ci penso mi rispondo “Non voglio bere il calice”. Voglio i primi posti.
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Mi fanno paura il dolore, la croce, l’umiliazione. Mi spaventa soffrire. Che senso ha? Il cuore è fatto per amare ed essere amato. Per godere la vita ed essere felici. E io non voglio soffrire.
In questi giorni di dolore per la Chiesa per la questione degli abusi penso al calice che devo bere. All’amarezza dell’umiliazione.
Penso al dolore di tante vittime innocenti che hanno sofferto tanto. La croce di quella sofferenza su cui non contavano, e che non volevano, mi commuove.
Quel dolore custodito nel petto come una ferita profonda è quello che mi lacera oggi. Mi fa male il dolore di tanti innocenti.
Guardando oggi il calice del disprezzo, del rifiuto, dell’umiliazione, penso a loro, prego per loro. È difficile accettare la sofferenza – propria e altrui.
La croce imposta si può solo baciare, quando già l’abbiamo su di noi. Credo, però, che sia più complicato baciare la croce prima che succeda tutto. È molto difficile accettare il dolore prima che venga provocato.
Baciare la croce che non è ancora arrivata è un miracolo. Dire di sì al dolore sconosciuto, all’affronto occulto del futuro, alla ferita che nessuno ha ancora inflitto.
Quel “Sì” anticipato mi sembra una grazia di santità. È quel “Sì” che permetterà poi di rimanere in piedi sotto la croce? Penso di sì. Aver baciato quella stessa croce prima di arrivasse. Essere disposti a soffrire per amore di Gesù.
Padre Josef Kentenich parlava molto della necessità di dire di sì alla croce per poter vivere la santa indifferenza.
Si tratta di imparare a vivere inseriti nel cuore di Cristo. Il mio cuore ferito nel suo cuore spezzato. Solo così sarà possibile che acquisti per opera di Dio i suoi stessi sentimenti. Solo allora sarò in grado di baciare quella croce che temo tanto.
Le paure mi paralizzano. Ho ben chiaro che la paura non può paralizzarmi. Ma mi costa tanto. Guardo il futuro e temo.
Mi fa paura perdere ciò che mi rende felice. Che mi tolgano che quello sostiene la mia vita. Il terreno che calpesto. E smettere di possedere ciò che alimenta la mia speranza. Smettere di essere felice come sono ora.
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Temo il fallimento che schivo e il rifiuto che evito. Fuggo da quell’umiliazione non desiderata. Quelle paure mi pesano e mi angosciano.
Sarò in grado di portare una croce tanto pesante? Solo pensarlo mi riempie di paura.
Per questo è un dono di Dio poter vivere in pace di fronte al futuro che mi angoscia. È un miracolo saper riposare nel suo cuore di fronte a possibili croci che mi aspettano.
Da dove tirerò fuori la pace che mi manca quando arriverà il momento di dimostrare il mio amore? So che la pace sboccia solo dal cuore di Gesù spezzato per me, dal suo cuore ferito per me. Dalla sua ferita sgorga una fonte di speranza che placa la mia sete e pacifica le mie paure.