Allattare non è sempre facile, è vero, ma è un processo fisiologico! Dobbiamo assolutamente riscoprire il piacere di lasciare fare al corpoAscoltando e leggendo i racconti delle donne su parto e allattamento, viene il sospetto che per entrambi i temi le questioni si siano aggrovigliate ben oltre il necessario e il sensato. Ve lo abbiamo detto dal nostro primo post: qui, si cercano risposte logiche. E cercare risposte logiche sul tema dell’allattamento impone di chiedersi: ma se è davvero così difficile per molte donne avere latte per tutto il tempo in cui il bambino ne ha bisogno, com’è che non ci siamo estinti prima?
Allattare non sempre è una cosa facile. Questo è certo. (E ve ne abbiamo già parlato qui, con i nostri 4 modi per facilitarsi la vita in allattamento.) Come non è una cosa facile partorire. E, lasciatevelo dire da due che ci stanno passando, non è facile neanche avere figli che entrano nella tarda infanzia e nella preadolescenza. A sentire le nostre mamme peraltro non è del tutto facile neanche guardare da vicino e da lontano i figli adulti. A pensarci bene forse la categoria del facile potremmo proprio lasciarla perdere, quando si parla di genitorialità… no? E cercare con ostinata saggezza il semplice e il buono (che sembrano cose da merendina, ma se ci fermiamo a pensarci sono i soli pilastri reali di una vita sensata). Ma con le difficoltà di allattamento scatta qualcosa di più profondo e il difficile diventa subdolo.
Quando si parla di allattamento, tra le mamme accade quella cosa strana, e molto grave, che già abbiamo visto sul dibattito sull’ospedale: scatta la tifoseria. L’argomentazione di principio. Pro o contro? Pro biberon? Pro alto-contatto? Siamo spesso spinte a percepire fazioni contrapposte (chi ha detto, ad esempio che il biberon esclude l’alto contatto?) su cui prendere una posizione a priori. E prenderla in fretta. Generalmente a partire dalla domanda, giusta in parte ma mal posta: “cosa voglio fare con il mio corpo?”
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Ed è proprio a partire da quel corpo che iniziano le difficoltà. Perché è quel corpo che deve attraversare la trasformazione incredibile della gravidanza, quella ancora più assoluta del parto e quella inattesa ma non meno travolgente dell’allattamento. Cioè, pensiamoci un attimo: quel corpo, il mio corpo, prima deve fare tutto l’essere umano, poi farlo uscire, e poi nutrirlo. Hai detto poco!
Il paradosso della nostra cultura è stato proprio farci ritenere possibile, e persino auspicabile, fare tutto ciò pensandoci molto e usando poco il corpo; soprattutto, con la lente razionale ben accesa. Pensarci e parlarne prima ancora di farlo: con la distanza sempre necessaria per emettere parole. Il paradosso della nostra cultura è stato proprio l’affrontare le inevitabili difficoltà con l’obiettivo di risolverle ma, nella pratica, radicalizzandole.
I paradossi culturali tesi come funi impossibili sotto i nostri equilibri precari sono stati precisi, affilati e spietati. Frutto di buone intenzioni e pessime informazioni. E possono essere recisi.
1) Il paradosso del parto con la testa e senza il corpo. Riconoscere il neonato come proprio, innamorarsene (Bonding) e nutrirlo due cose su cui Madre Natura, Dio o l’Ammasso Casuale di Atomi non ha scherzato. I dottori, impegnati a “fare i dottori, si sono dimenticati di fare i medici” (citazione portentosa del pediatra Lucio Piermarini), e la sapienza del loro corpo sano le donne hanno dovuto cercarsela nelle pieghe dimenticate di un’assistenza tutta improntata al controllo preventivo generalizzato. Ci siamo prese in eredità un apparato di gestione al parto che non solo ha reso i parti stessi un proverbiale travaglio, ma ha reso paradossalmente duro l’allattamento. Un parto assistito con rispetto è la prima vera preparazione per un allattamento efficace.
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2) Il paradosso dei primi minuti. È appena nato. Si sta adattando lentamente al mondo fuori dalla pancia, all’aria, ai suoni. È spaventato ed agitato. Di cosa mai avrà bisogno un neonato? Di un bagnetto? Di una tutina infilata con gesti bruschi da chi sta finendo il turno? Di essere portato al nido in modo che la mamma si riposi? Questa è stata la norma per la stragrande maggioranza dei casi degli ultimi decenni. Separati e ricongiunti a tempo debito variabile, mamma e bambino hanno trovato comunque la loro relazione. Un modo di stare insieme e conoscerci. Ma con quali fatiche! Il nutrimento di quei primi giorni passa da uno scambio di corpo a corpo e pelle a pelle molto più completo e complesso di quello che una tutina fresca di bucato e una maglietta possono accendere. Ha più a che fare con il fare l’amore che col sedersi a tavola e mangiare. Soprattutto, appena nato il bambino ha un istinto e una capacità fisica fortissima di trovare e raggiungere il seno della mamma: se chi gli sta intorno gli permette di farlo. Con il solito brutto inglesismo si chiama breast-crawl (guardatevi il video!): la capacità, reale, che ogni neonato ha di raggiungere da solo (!!!) il seno della mamma. Quello che è stato è stato: generazioni di bambini e di mamme questo momento non sapevano neanche potesse esistere. Oggi però noi lo sappiamo.
3) Il paradosso della misura del latte. Dopo un parto misurato come se si potesse davvero misurare (di quei 10 centimetri abbiamo parlato qui), dopo un bambino pesato prima ancora di avergli detto “Benvenuto”, non c’è da stupirsi che si sia tentato di ricondurre a una misura anche l’incommensurabile grandezza di un seno pronto a nutrire. Quanto e ogni quanto tempo. Rigorosamente lo stesso per tutti i bambini. Ammesso e non concesso che il latte arrivi. Efficienza, misura, programmazione: i valori post-industriali funzionavano così bene in tutti i campi dell’umano. Era ragionevole pensare potessero essere applicati anche al nutrimento di un nuovo essere umano. Paradossale, vista l’immensità del compito… eppure una tentazione irresistibile. Però errata.
4) Il paradosso della protesi. Che meraviglia essere in grado di offrire protesi là dove servono. Per nessuna parte del corpo ci sogneremmo di pensare che la protesi possa essere meglio della parte stessa, però, no? È nostro diritto scegliere di non allattare, e questo resta inalienabile e al di fuori di ogni giudizio. Quello che invece si può giudicare e anzi, diciamocelo, si deve condannare, è il paradosso culturale che dagli anni ’70 accompagna ogni mamma verso l’allattamento: quello della protesi in aggiunta al corpo vero, quello della protesi nell’armadio “in caso vada via il latte”. La letteratura al riguardo è veramente troppa, troppo seria e troppo facile da reperire per accettare ancora che la protesi faccia così ampiamente parte del rapporto che la nostra cultura costruisce col nostro corpo e il nostro bambino.
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Il denominatore comune per superare questi paradossi insostenibili ma non ancora del tutto scardinati, è uno solo: ripartire dal corpo. Il corpo vissuto, non il corpo misurato. Nel quadro di controlli e assistenza ostetrica, certo: ma vivendolo quel corpo. Sentendolo. E soprattutto, riscoprendo il piacere di lasciarlo fare. Il corpo della mamma. E quello del bambino.