Giorgio Jossa e il libro “Voi chi dite che io sia”. Il professore di Storia del Cristianesimo all’Università di Napoli affronta gli eventi successivi alla morte di Gesù e la resurrezione. Un approccio laico ma coerente con i dati storici.Di Giorgio Jossa, professore di Storia del Cristianesimo e Storia della Chiesa Antica presso l’Università degli Studi di Napoli, abbiamo letto ed apprezzato il libro intitolato Il cristianesimo ha tradito Gesù? (Carocci 2008). Impostazione dichiaratamente laica, quella di Jossa, la quale lo porta comunque a smentire categoricamente che gli apostoli e i discepoli, a partire da San Paolo, si siano allontanati dal messaggio originario del Cristo.
In questi giorni è uscito un secondo libro di Jossa, il titolo è Voi chi dite che io sia? (Paiedia-Claudiana 2018). In attesa di offrire una recensione approfondita, critica o positiva che sia, ci accontentiamo per ora di quella apparsa oggi sull’inserto culturale di Repubblica.
Al di là del controverso e discusso dato sui fratelli e le sorelle di Gesù, l’approccio dello storico italiano si conferma davvero interessante. Tratta dei dati storici sull’infanzia di Gesù, delle testimonianze extrabibliche, della non dipendenza dei vangeli sinottici tra loro (Marco, Matteo e Luca) grazie a fonti comuni e specifiche (quindi almeno 3 testimonianze storiche indipendenti su Gesù) e dell’antichissimo racconto della Passione: «E’ una parte molto diversa dal resto del Vangelo, per stile, lingua e contenuto teologico», spiega Jossa. «Vi si riconosce chiaramente una fonte più antica, che potrebbe risalire ad un periodo molto vicino alla morte di Gesù». Argomenti, da noi trattati più volte, che annullano la convinzione di alcuni che i Vangeli sarebbero scritti a troppa distanza dai fatti narrati.
Fin qui tutto nella norma, i dati riportati da Jossa sono condivisi da gran parte degli studiosi moderni della Third Quest, la ricerca contemporanea del Gesù storico ben distante dal romanticismo letterario di Rudolf Bultmann e dalla sua critica delle forme. L’idea forte dello storico italiano è che vi sia stato un mutamento, un’evoluzione di pensiero in Gesù, il quale soltanto verso la fine del suo ministero proclamò l’avvento di un Regno celeste mentre all’inizio annunciava una trasformazione radicale solamente terrena. Ci sarebbe «una resistenza teologica ad ammettere che Gesù abbia potuto cambiare opinione», in realtà non è del tutto vero e bastano gli studi di alcuni biblisti statunitensi cattolici per veder condivisa questa impressione, ovvero che Gesù di Nazareth fosse un mistero anche a lui stesso e solo nella relazione con il Padre abbia visto svelarsi progressivamente il suo compito (emblematici i momenti prima della cattura da parte dei soldati, quando prega Dio di allontanare da lui quel doloroso epilogo, salvo poi comprendere il disegno una volta appeso alla croce). Occorrono approfondimenti sul tema e sul pensiero di Jossa, che rimandiamo dopo la lettura del suo volume.
C’è però un colpo di scena, un’affermazione sorprendente dello storico laico che l’autrice della recensione, Giulia Villalonga, ha tenuto per il finale dell’articolo. Il tema è quello del periodo immediatamente successivo alla morte del Cristo, quando i discepoli scappano delusi ed impauriti, fingono di non aver mai conosciuto quell’Uomo (rinnegamento di Pietro) ed il popolo si era già pronunciato scegliendo Barabba. Eppure, pochissimo tempo dopo, gli stessi uomini sono pronti al martirio pur di testimoniare quel che hanno visto con i loro occhi: Gesù risorto dalla morte. E sono tanto convincenti da diffondere il cristianesimo per tutto l’impero romano. Un dato eccezionale, non spiegabile in termini di coerenza storica. «E’ successo qualcosa dopo la sua morte», appunta infatti il laico Jossa. «Per il credente, Gesù è resuscitato. Lo storico non può affermarlo. Può dire: i discepoli hanno avuto un’esperienza straordinaria; si è verificato un evento che ha ridato senso alla loro missione».
Così, anche attraverso un approccio puramente laico, lo storico onesto non può negare che qualcosa di eccezionale, di straordinario dev’essere accaduto. La storia, come la scienza, non può certificare o sostenere il miracolo della Resurrezione, però solamente dando credito ai discepoli si riesce a dar pienamente ragione dei fatti accaduti. E’ l’ipotesi più attendibile: un’esperienza straordinaria, in termini laici e un miracolo, in termini religiosi.
Come abbiamo già mostrato, Jossa non è l’unico storico non credente ad essere giunto a questa convinzione. Prima di lui, la liberal Paula F. Fredriksen, dell’Università ebraica di Gerusalemme: «Conosco le loro parole, quello che hanno visto era il Gesù innalzato. Questo è quello che dicono e tutte le prove storiche che abbiamo attestano la loro convinzione su quello che hanno visto. Non sto dicendo che davvero hanno visto Gesù risorto. Non ero lì. Non so cosa abbiano visto. Ma so, come storica, che devono aver visto qualcosa» (P.F. Frederickson, Jesus of Nazareth: King of the Jews, Vintage 2000). Così, allo stesso modo, anche l’ateo Gerd Lüdemann: «Può essere considerato storicamente certo che Pietro e i discepoli abbiano avuto esperienze dopo la morte di Gesù, in cui Gesù apparve loro come Cristo risorto» (G. Lüdemann, What Really Happened to Jesus?, Westminster John Knox Press 1995, p. 80).