Alle spalle il calvario del figlio Noah, il cui cancro al fegato è ora in remissione; a breve l’uscita del nuovo album “Love”. Lui lo annuncia come un congedo dal mondo narcisistico del successo, ma il suo entourage smentisce. La vita vera e le priorità dello show biz in aperta collisione…
La mia vita è completamente cambiata. Questa è la mia ultima intervista. Mi ritiro dal business. (da Daily Mail)
Questa frase, pronunciata da Michael Bublé appena 4 giorni fa nel corso di una lunga intervista, deve aver fatto sussultare il cuore del suo entourage che oggi ha smentito con un secco “le sue parole sono state travisate rispetto al contesto”. Il 16 novembre uscirà il nuovo cd del crooner canadese, s’intitola Love, e porta con sé una montagna di impegni presi e messi a calendario, che – ci tengono a precisare i suoi manager – saranno mantenuti.
Che la vita di Bublé abbia subito un colpo durissimo a causa della malattia del figlio, è evidente; che ci sia una collisione aperta tra ciò che si è fatto chiaro nel suo cuore ferito e le regole dello show must go on è altrettanto palese. Questa premurosa smentita dei suoi assistenti mi lascia una certa amarezza, come se di fronte all’incombenza di un uragano ci si preoccupasse di informare che il negozio della parrucchiera all’angolo resta aperto. Che siano state più o meno forzate dai giornalisti le parole di Bublé, cosa che non risulterebbe così assurda, resta il fatto che il cantante ha indirizzato gli occhi in una direzione precisa, la priorità della vita reale rispetto al narcisismo della celebrità; eppure chi gli è vicino come manager continua a lucidare il palcoscenico.
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Basta narcisismo
Il tumore di suo figlio Noah è in remissione; ci sono altri due figli accanto a lui, Elias e la piccolissima Vida; c’è la bellissima moglie Louisiana. Il calvario cominciato nel 2016 con la diagnosi infausta per il suo primogenito sembra superato al meglio, ma ha lasciato una deflagrazione atomica nella vita di Michael Bublé. Gli ha fatto ricapitolare per intero il senso della vita e lo dichiara senza mezzi termini, senza celare l’estrema fragilità con cui ha dovuto fare i conti:
Sono cambiato del tutto. Anche la mia percezione della vita. Non so se riuscirò a finire questa intervista senza piangere. E io sono uno che non ha mai perso il dominio delle emozioni in pubblico. (Ibid)
Le sue canzoni sono un profulvio di emozioni, lo dico da fan sfegatata, ma il cantante ha confessato che il suo vero problema è sempre stato l’ego debordante, il mostrarsi perfettamente all’altezza della fama guadagnata, preoccuparsi di mantenere alta l’asticella della sua celebrità. Il contatto brutale con una malattia che vuole comandare sulla vita – e forse sulla morte! – di un figlio di appena tre anni ha sgretolato la maschera di apparenza. Inevitabilmente un copione perfetto costellato di 4 Grammy Awards, 75 milioni di dischi venduti e concerti sold out è stato cancellato e riscritto a partire dalla domanda: “Perché siamo qui?“.
La storia nuova che è nata da questa batosta lo ha visto unito più che mai alla moglie, e insieme abbracciati dalla grazia della Fede. L’affetto del pubblico, che in ogni circostanza pubblica gli chiedeva notizie di Noah e gli confermava un’abbondanza di preghiere sulla sua famiglia, gli ha ridato fiducia nell’umanità. Si è lasciato alle spalle senza rimpianti una zavorra:
La diagnosi del tumore mi ha fatto capire quanto ero stupido a preoccuparmi di cose così poco importanti come il numero di biglietti venduti. Mi sono vergognato del mio ego, che non generava altro che insicurezza” (Ibid)
Il front man sorridente dalla voce incantevole che avrà fatto innamorare migliaia di persone, ha ceduto il posto a un papà pronto a pescare ogni possibile risorsa per aiutare il figlio malato.
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Grazie a Roberto Benigni
Il film La vita è bella è stata l’ispirazione per accompagnare la degenza in ospedale del figlio Noah. Come il Guido protagonista della pellicola, anche Michael Bublé ha cercato di trasformare il luogo della tristezza in un posto dove si poteva stare serenamente: non è mai stato chiamato ospedale – dichiara papà Michael – lo avevo soprannominato la stanza dei divertimenti. Non si tratta di mentire, ma di proporre una sfida positiva per non dare alla malattia il dominio sull’intero orizzonte. Un genitore impegnato in questo compito arduo deve fare un profondo esame di coscienza su se stesso, e riguadagnare un centro solido a cui aggrapparsi.
Il mondo in cui ci catapultano le canzoni di Michael Bublé è spensierato e pieno d’amore, tenero e dolce anche nell’affrontare la tristezza. Molto più cruda è la realtà, perciò l’impegno creativo di raccontare a un bambino che soffre, ed è pervaso da grandi paure, diventa una battaglia in nome del bene: Noah sapeva senz’altro che quello in cui si trovava era un ospedale, ma aveva bisogno di sapere con altrettanta certezza che il suo io non era chiuso a chiave in quel posto. L’immaginazione non mente, ci spalanca le porte per mostrare quanto spazio di coraggio, progetti, fantasia, desideri c’è in noi ed è autentico, non meno reale delle ferite sul corpo.
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Sul palcoscenico un cantante può vestire i panni dell’uomo ideale, del giovane spensierato e rubacuori; è un gioco che allieta i momenti noiosi e tristi delle giornate, e non c’è nulla di disdicevole. Ma possiamo comprendere che quello stesso cantante, una volta che ha vestito i panni da eroe impavido per tenere la mano di suo figlio, si sia guadagnato un paio d’occhi che non vedrà mai più le luci del palcoscenico come prima. I suoi assistenti l’hanno capito?
Casa, fammi tornare a casa
Home è la canzone che non manca mai nella mia playlist. La tengo “pronta all’uso” quando lavoro fuori casa e devo rientrare a notte fonda.
Anche circondato da milioni di persone
mi sento solo
voglio solo andare a casa
mi manchi, lo sai
La nostalgia è uno dei pilastri dell’umanità, ce lo insegna Ulisse. Senza un centro domestico a cui approdare, saremmo persi. Il nostro viaggio sulla terra non ha altro senso se non farci attendere una casa ben più piena d’amore di quella che ci costruiamo coi nostri mattoni; una casa in Cielo ci attende e ogni circostanza dovrebbe destare in noi il desiderio di camminare fin là. Mettere a fuoco il nostro percorso non è sempre facile, viste le molte distrazioni quotidiane o anche i colpi brutti che buttano a terra.
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Non conosco le vere intenzioni di Michael Bublé, non so se abbandonerà davvero il mondo della musica ora, fra quattro mesi o mai. Potrà anche continuare a cantare, e ne sarei felicissima. Quello che forse non è ben chiaro al mondo del business che lo circonda è che – come dice il film – qualcosa è cambiato e sarebbe bello dar credito alla nuova voce di questo padre, piuttosto che precipitarsi a rassicurare i botteghini. Il signor Bublé non ha più un’anima che naviga su acque placide, si è abituato alla tempesta ed è un marinaio all’erta. Ha senz’altro snebbiato la vista sul porto a cui vuole arrivare e non è più quello luccicante ma evanescente della celebrità. Potrà ancora frequentarlo, ma lo guarderà con l’occhio di chi sa che la luce è altrove.
E tutti sappiamo quanto la luce del salotto di casa assomigli al volto dell’eternità, più dello scompiglio di tanti momenti di gloria umana.