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Al Sinodo si discute su gay, lesbiche e transessuali

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 08/10/18
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Un vescovo invita a non distinguere i cattolici in base all’orientamento sessuale. Ma il Prefetto della Segreteria per la Comunicazione smorza i toni. Intanto nei documenti sinodali i giovani chiedono chiarezza e apertura: ecco le loro parole

Gender e LGBT, acronimo che identifica lesbiche, gay e transessuali, non siano argomenti tabù al Sinodo dei Giovani. Già il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo, aveva anticipato che l’assise avrebbe affrontato qualsiasi argomento, senza censura. E così è stato.

L’arcivescovo di Philadelphia, Charles Chaput, annoverato tra i vescovi americani uno dei più rigorosi in fatto di morale, ha criticato l’uso dell’acronimo LGBT all’interno di documenti pontifici, come era stato fatto in uno studio pre sinodale.

L’Instrumentum laboris

Nell’ “Instrumentum laboris”, il documento scritto dai giovani sui quale far maturare la riflessione dell’assemblea dei vescovi, al punto 197, recita così:

L’umiltà della fede aiuta la comunità dei credenti a lasciarsi istruire anche da persone di posizioni o culture diverse, nella logica di un beneficio reciproco in cui si dona e si riceve (…) Alcuni giovani LGBT, attraverso vari contributi giunti alla Segreteria del Sinodo, desiderano «beneficiare di una maggiore vicinanza» e sperimentare una maggiore cura da parte della Chiesa, mentre alcune CE si interrogano su che cosa proporre «ai giovani che invece di formare coppie eterosessuali decidono di costituire coppie omosessuali e, soprattutto, desiderano essere vicini alla Chiesa».



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Il documento pre-sinodale

E non solo. Anche nel recente documento pre sinodale era arrivata dai giovani una nuova sollecitazione sugli argomenti LGBT e gender:

Noi, la Chiesa giovane, chiediamo alle nostre guide di affrontare in maniera concreta argomenti controversi come l’omosessualità e le tematiche del gender, su cui i giovani già discutono con libertà e senza tabù.



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Solidale con Viganò

«La sigla LGBT o linguaggi simili non dovrebbero essere utilizzati nella Chiesa» ha tagliato corto monsignor Chaput, polemizzando a distanza con Baldisseri, il quale, a sua volta, alcuni giorni fa aveva bacchettato l’arcivescovo di Philadelphia per le lamentele ai lavori sinodali (Il Messaggero, 5 ottobre).

Chaput – che di certo non rientra tra i simpatizzanti di Papa Francesco – aveva addirittura invocato lo “stop” al Sinodo dopo gli scandali degli abusi sessuali negli Stati Uniti, offrendo la sua solidarietà all’ex nunzio monsignor Carlo Mario Viganò che, a sua volta, aveva attaccato Bergoglio sul tema degli abusi.



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Le parole di Chaput

Alla fine lo stesso vescovo, pur tra le polemiche, ha deciso di partecipare all’assemblea sinodale, parlando in modo netto. «Non esiste un cattolico LGBT o un cattolico transgender o un cattolico eterosessuale».

Il Catholic Herald (4 ottobre) ha riportato integralmente il suo intervento. Eccone uno stralcio significativo:

«Come se le nostre tendenze sessuali definissero chi siamo, come se queste designazioni descrivessero comunità distinte di diversa ma uguale integrità  all’interno della vera comunità ecclesiale, il corpo di Gesù Cristo. Questo non è mai stato vero nella vita della Chiesa, e non è vero ora. Ne consegue che LGBT e linguaggi simili non dovrebbero essere usati nei documenti della Chiesa, perchè il suo uso suggerisce che questi sono gruppi reali e autonomi, e la Chiesa semplicemente non classifica le persone in questo modo»

La posizione dell’arcivescovo è stata smorzata nel briefing con la stampa, con il Prefetto della Segreteria per la Comunicazione Paolo Ruffini che ha parlato di dibattito per ora marginale sugli argomenti LGBT e gender. «L’espressione è stata inserita – ha spiegato rapidamente Ruffini – perché oggetto di alcune osservazioni da parte di alcune conferenze episcopali».



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Verso un finale “positivo”?

Gender e LGBT sono argomenti che si annunciano ricorrenti anche nelle prossime giornate, ed è probabile che si giunga ad una definizione del loro utilizzo, più orientato in un verso “positivo” (cioè “riconoscerli” e “nominarli”, rinnovando loro vicinanza e accoglienza), anziché “negativo” (“non distinguerli”, come chiesto da Chaput).

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