Il silenzio sull’elemosina deve essere rimosso. Pochi orientamenti vengono offerti e, invece, ognuno ne ha bisogno.
L’elemosina è bella ed appartiene al messaggio di Gesù che annuncia che anche un bicchiere d’acqua fresca dato a qualcuno appartiene al Regno.
Non è sufficiente l’impegno per la giustizia sociale: il mondo non sarà mai pienamente giusto fino al Giudizio finale (che è necessario esattamente per questo).
L’elemosina è un segno di amore personale che ha valore anche se è impossibile risolvere alla radici i problemi di colui che riceve la carità.
Chi è parroco sa bene che il numero di persone che si rivolge ad una comunità cristiana per un aiuto in denaro o informe diverse è in aumento.
Sa, al contempo, che la metà di coloro che chiedono un aiuto appartiene in realtà ad un racket che vive sfruttando mendicanti e inviando persone a girare di luogo in luogo con false richieste, che cambiano di giorno in giorno, secondo parole d’ordine che vengono dettate altrove.
Io consiglio a chi vuole aiutare chi chiede l’elemosina di legarsi innanzitutto ad un Centro d’ascolto di una delle Caritas parrocchiali.
Spessissimo chi appartiene al racket o vive di accattonaggio, pur potendo in realtà lavorare, si presenta con richieste che sembrano urgentissime: “Entro 12 ore debbo raggiungere mio figlio malato che è in Svizzera ed ho bisogno di soldi per un biglietto”, “Mi si è appena fermata la macchina ed ho bisogno di 50 euro per il pieno, perché sto correndo ad aiutare una persona”, “Entro domani debbo pagare una rata di una tassa, altrimenti mi sarà staccato il gas ed ho due bambini”. L’esperienza insegna che il 99,9% queste richieste sono false e che la persona si ripresenterà 5 minuti dopo ad una nuova persona con un’identica richiesta e così via, giorno dopo giorno, modificandola non appena è divenuta troppo nota.
Il Centro d’ascolto della Caritas ha la missione di accogliere la persona e le chiede di poterla visitare a casa, la aiuta a considerare la situazione globale, le offre un aiuto più radicale, intervenendo con un avvocato, un esperto di pensioni, un medico, ecc.
Generalmente, non appena si offre a quel 50% di persone che appartiene al racket o alla mendicanza istituzionalizzata un aiuto di questo tipo, esso lo rifiuta, perché non intende realmente essere aiutata.
Invece, con il restante 50% delle persone si apre un dialogo vero e l’aiuto diviene non solo quantitativamente molto maggiore, ma soprattutto più incisivo e legato ad un rapporto personale che si sviluppa.
Si può allora dire ad ogni mendicante del proprio quartiere, fermandosi a dialogare con lui, di rivolgersi in primo luogo al Centro d’ascolto di una parrocchia – la propria o quella che si è scelto di aiutare – insistendo sul fatto che la comunità cristiana lo aiuterà in maniera consistente (e ciò deve esser vero), perché le persone entrino in una relazione più profonda.
La scommessa è quella di far crescere in ogni comunità un vero ascolto dei poveri, dove fiorisca uno spazio sereno e riservato per poter aiutare veramente chi è nel bisogno.
Un’alternativa a questo è di decidere di seguire una ben determinata persona conosciuta per strada, accompagnando l’elemosina con una progressiva frequentazione. Faccio un esempio concreto: in parrocchia un giovane creò nel tempo una relazione con un lavavetri del Bangladesh e, mattina dopo mattina, creò un rapporto con lui al punto da invitarlo al campo estivo del giovani della parrocchia, lui che non era nemmeno cristiano. L’esperienza fu ricca e un rapporto casuale divenne una vera relazione di conoscenza e sostegno. Dare solo l’elemosina ora qui ora là lascia un po’ il tempo che trova.
Non si deve avere paura, una volta scelto di aiutare giorno dopo giorno il Centro d’ascolto di una parrocchia o una determinata persona, di dire: “Io aiuto in questo modo, io aiuto il povero che dorme per strada nel luogo x, io aiuto i lavavetri del semaforo x”, dinanzi ad una richiesta di aiuto da parte di un altro: non possiamo aiutare tutti – questo deve essere chiaro -, ma non è inutile dire che noi già aiutiamo qualcuno. Potrà non essere capito, ma è la verità e non è poco.
Sbagliato è, invece, dare elemosina a chi porta figli in braccio. Chiedere l’elemosina con un bambino in braccio ha come motivazione quella di ingenerare pietà nella persona a cui si chiede denaro, ma è dannosissimo per il bambino, che si trova a respirare smog già piccolissimo, a vivere in condizione disagiate, a stare lontano dalla scuola, che invece rappresenterebbe per lui la possibilità futura di crescere culturalmente e trovare un giorno lavoro.
Il Dispositivo dell’art. 600 octies Codice penale[1] punisce espressamente di utilizzare minori da parte di adulti per chiedere l’elemosina e – indirettamente – ciò sembra a maggior ragione valere per donne che portino infanti in braccio che, pur non chiedendo personalmente l’elemosina, di fatto vengono utilizzati per questo.
Si può spiegare con garbo, ma anche con fermezza, che è inaccettabile che si chieda l’elemosina con un bambino in braccio, perché se quella donna con un figlio piccolo fosse realmente bisognosa i servizi sociali la aiuterebbero certamente e che, quindi, quella modalità di guadagnare pochi spiccioli con il contrappasso delle future malattie del bambino, è assolutamente da evitare.
Qui si rivela utilissimo il rinvio al Centro d’ascolto Caritas parrocchiale. Se ci fosse bisogno reale di un aiuto per una madre e il suo neonato, essi potrebbero subito essere inseriti dalla Caritas in una casa famiglia o l’intera comunità parrocchiale potrebbe tranquillamente farsene carico. Se non fosse questo il caso, invece, non si deve assolutamente favorire la richiesta di elemosina con neonati.
Molto importante è fare “elemosina” tramite i Centro d’ascolto delle proprie capacità professionali. Un dentista, un avvocato, un elettricista, un idraulico, tutti costoro – solo a titolo esemplificativo – possono offrire al Centro d’ascolto della propria parrocchia una riparazione dentaria, la difesa in una causa in Tribunale, l’aiuto in casa per una riparazione elettrica o idraulica, di modo che chi è più povero possa contare gratuitamente su di un aiuto da parte di chi ha competenze professionali, una volta che quella persona sarà conosciuta e visitata.
Mons. Di Liegro ripeteva, con grande saggezza, che non aveva bisogno che tutti gli avvocati diventassero catechisti, bensì che donassero un’ora del loro tempo per seguire la causa di un migrante o l’iter di una pensione di un povero.
Non bisogna sentirsi in colpa a chiedere precise regole di comportamento dinanzi alle parrocchie la domenica. Io stesso ho vissuto l’esperienza del racket che scalzava il mendicante abituale – e realmente bisognoso – per le feste di Natale e Pasqua, obbligandolo ad allontanarsi e ponendo al suo posto persone del giro malavitoso, perché in occasione delle feste la gente dona più monete. Questo è inaccettabile. Se ci si accorge che viene allontanata una persona veramente bisognosa a motivo del racket è giusto e anzi doveroso invitare la gente a non dare l’elemosina, altrimenti si incentiva la malavita.
Una volta instaurato un vero dialogo di aiuto con i mendicanti abituali dinanzi alle chiese, è assolutamente legittimo chiedere loro, mentre li si aiuta, di rispettare il luogo e le persone che vengono a pregare, non chiedendo l’elemosina all’interno della chiesa, non occupando lo spazio di ingresso, non sporcando, comportandosi correttamente: tutto questo appartiene al vero aiuto cristiano, mentre viziare le persone e abituandole a comportarsi male significherà mantenerli in una situazione di malessere e di emarginazione. Solo chiedendo loro di modificare atteggiamenti che auto-emarginano, li si amerà veramente e li si farà maturare in una relazione vera.
Tragicamente la legge impedisce di fare oggi ciò che un tempo era normale, ad esempio coinvolgerli in lavoretti occasionali, come pulire l’oratorio dalle foglie, tagliare le siepi, ecc. ecc. Dare denaro e cibo in cambio di un servizio non sarebbe uno sfruttamento, ma anzi servirebbe a valorizzare la dignità personale: aiuterebbe la persona povera a capire che essa non è solo sopportata, ma che invece può contribuire alla vita della comunità che l’aiuta. Purtroppo la legge, per un malinteso garantismo, impedisce alle parrocchie di chiedere un servizio, anche semplice, quasi fosse lavoro nero, rendendo più difficile un vero aiuto e la creazione di un rapporto più umano e fecondo.
I mendicanti abituali, per primi, debbono essere conosciuto dal Centro d’ascolto parrocchiale, in maniera da offrire un aiuto reale e vero a chi è bisognoso. Gli adulti si recheranno presso la dimora dei mendicanti abituali che si fermano alle porte della parrocchia per conoscere la loro situazione ed offrire un aiuto consistente, chiedendo l’appoggio anche economico dell’intera comunità. Questa conoscenza eviterà il favorire, senza esserne consapevoli, il racket e l’accattonaggio
Dove si crea un vero rapporto con i mendicanti abituali e realmente bisognosi l’intera comunità si coinvolgerà in un aiuto ben più sostanzioso ed efficace.
Note al testo
[1] Così recita l’articolo: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque si avvale per mendicare di una persona minore degli anni quattordici o, comunque, non imputabile, ovvero permette che tale persona, ove sottoposta alla sua autorità o affidata alla sua custodia o vigilanza, mendichi, o che altri se ne avvalga per mendicare, è punito con la reclusione fino a tre anni».