La Banca interamericana di sviluppo (IDB) ha pubblicato un rapporto sull’inefficienza della spesa pubblica nella regioneCirca 220 miliardi di dollari, una somma pari al 4,4% del PIL (Prodotto interno lordo) della regione. Questo è secondo un nuovo rapporto della Banca interamericana di sviluppo (IDB o Inter-American Development Bank) il costo totale della diffusa inefficienza della spesa pubblica nei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi.
Secondo il rapporto, lungo oltre 400 pagine ed intitolato Better Spending for Better Lives. How Latin America and the Caribbean Can Do More with Less, spendendo bene tutto questo fiume di denaro i governi potrebbero sradicare uno dei più gravi problemi di tutta la regione, che conta quasi 640 milioni di abitanti: la povertà estrema.
Come ricorda nella prefazione al rapporto, pubblicato nella collana Development in the Americas, il presidente dell’organismo internazionale con sede a Washington (USA), Luis Alberto Moreno, “i latinoamericani potrebbero avere accesso a più e migliori servizi di istruzione, servizi sanitari, sicurezza e infrastrutture se i loro governi usassero le risorse esistenti come fanno i migliori Paesi del mondo”.
“Mentre le politiche fiscali e in materia di spesa riducono in America Latina e nei Caraibi la disuguaglianza di circa il 5%, nelle economie avanzate è del 38%”, continua Moreno, il quale aggiunge che “molto resta da fare”.
Spesa pubblica di oltre 1,9 trilioni di dollari
“La spesa pubblica nell’America Latina e nei Caraibi è cresciuta in media di 7 punti percentuali nel corso degli ultimi 20 anni, un aumento che, sfortunatamente, non si riflette in un simile aumento di capitale fisico e umano di qualità, o in risultati sociali duraturi”, così si legge nel rapporto, il quale sottolinea che la maggior parte dei Paesi della regione “spende in modo inefficiente”.
Mentre la quantità di beni e servizi prodotti nella regione ha superato nel corso del 2016 i 5,3 trilioni di dollari (vale a dire 5.300 miliardi di dollari), la spesa pubblica ha oltrepassato l’1,9 trilioni di dollari (1.900 miliardi di dollari). Per avere un confronto: si tratta di un volume simile al PIL del Brasile, così ricorda il rapporto.
La spesa pubblica consolidata nei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi è in media pari al 29,7% del PIL, ossia un aumento del 6% circa rispetto ai primi anni 2000. La quota varia però da Paese a Paese, così continua il rapporto redatto da Alejandro Izquierdo, Carola Pessino e Guillermo Vuletin: da oltre il 35% del PIL in Argentina, Brasile o Ecuador, a meno del 20% del PIL in Guatemala e nella Repubblica Dominicana.
La spesa dei due Paesi più “spendaccioni” della regione è superiore o pari alla media dei Paesi membri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE o OECD in sigla inglese), ma – così tiene a sottolineare il rapporto – il loro PIL pro capite è inferiore alla metà di quello del Paese medio dell’OCSE.
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Fonti dell’inefficienza
Tra le fonti dell’inefficienza, il rapporto menziona il public procurement, ossia quella parte della spesa pubblica dedicata all’acquisto diretto di beni e servizi, ad esempio computer per le scuole o la fornitura di servizi di base come acqua, elettricità o gas, ma anche gli appalti pubblici. Nel 2016 il volume di questa spesa si aggirava nei Paesi latinoamericani e caraibici attorno ai 450 miliardi di dollari.
Si tratta di una voce, così sottolinea il rapporto, che come una “calamita” attira le inefficienze e in particolare la corruzione. Anche se per la sua “natura nascosta” è difficile quantificare il costo esatto della corruzione, il rapporto dell’IBD calcola che dal 10% al 30% dell’investimento in progetti di costruzione finanziati con fondi pubblici è a rischio di cattiva gestione o corruzione.
Come ricorda il rapporto, l’inchiesta “Operazione Autolavaggio” (Operação Lava Jato) sulla vasta rete di corruzione creata dal colosso brasiliano delle costruzioni Odebrecht, si è allargata in ben 14 Paesi del mondo, sia latinoamericani (tra i quali Colombia e Messico) che africani.
Spesa salariale
Un altro elemento di inefficienza è la massa salariale, che costituisce una voce importante nella spesa pubblica dei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi. Ad assorbire quasi un terzo della spesa dell’amministrazione pubblica sono infatti gli stipendi dei dipendenti pubblici: in media il 29%, o l’8,4 del PIL. Il tasso è inferiore nei Paesi membri dell’OCSE, dove costituisce meno di un quarto: il 24,2%, pari al 10,6% del PIL.
In alcuni Paesi della regione questa percentuale è più alta. In Argentina i salari costituiscono il 30% della spesa pubblica e il 12% del PIL nazionale. Sempre in Argentina il 76% (cioè più di tre quarti) della massa salariale riguarda dipendenti municipali e provinciali: assorbono più della metà della spesa delle amministrazioni provinciali, rivela il rapporto. In Brasile la massa salariale rappresenta quasi il 54% della spesa pubblica e in Messico e in Perù il 42%.
Secondo uno scenario “moderato”, l’inefficienza complessiva costituisce l’1,2% del PIL o il 14% della spesa salariale (circa 52 miliardi di dollari), sostiene il rapporto. Il livello di inefficienza è più accentuato nei Paesi con premi salariali più alti e con una proporzione più bassa di lavoratori non qualificati.
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Trasferimento di denaro
La terza ed ultima fonte di inefficienza individuata dagli autori del rapporto sono i trasferimenti di denaro, che costituiscono il 29,4% circa della spesa pubblica nella regione. Si tratta di pagamenti effettuati nel quadro di programmi sociali (ad esempio trasferimenti condizionati di contanti e pensioni non contributive), sussidi (soprattutto quelli energetici) e poi le pensioni contributive.
Ad alimentare l’inefficienza sono proprio le sovvenzioni per l’erogazione di energia elettrica. Esse rappresentavano infatti nel 2015 quasi due terzi, ossia il 61% circa, di tutti i sussidi erogati nella regione. Qui la portata dell’inefficienza, e quindi “il margine di miglioramento”, “è enorme”, così si legge.
Il problema dei trasferimenti di denaro è doppio. Infatti spesso non sono destinati alle persone che ne hanno più bisogno. “In pratica, molti beneficiari di questi sussidi non sono poveri”, così sottolinea il rapporto dell’IDB; e soprattutto questi trasferimenti non risolverebbero comunque il problema alla radice. Anche se tendono a ridurre la povertà nel breve periodo, “di solito non sradicano la povertà e la disuguaglianza nel lungo periodo”, ha ricordato la caporedattrice del rapporto, Carola Pessino.
Circolo vizioso
Il problema forse più grande è che proprio per la grande mancanza di fiducia verso le autorità o chi governa – a tutti livelli, sia nazionale che locale – la maggioranza degli abitanti della regione preferisce le soluzioni immediate, cioè a breve termine, come ad esempio trasferimenti di denaro, invece di investire per il futuro. Alcuni Paesi si sono “mangiati” i frutti del boom delle materie prime degli anni 2000, spendendo quelle entrate in sussidi, trasferimenti di denaro e salari, spiega il rapporto.
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“Quando c’è un alto livello di sfiducia, a causa dell’inefficienza del governo o della flagrante corruzione, i cittadini preferiscono i trasferimenti agli investimenti a lungo termine”, così ribadisce il rapporto, il quale segnala che nel corso dei decenni gli investimenti pubblici nelle infrastrutture sono diminuiti in modo sistematico nella regione. Negli anni ‘80 erano infatti quasi il 10% più alti rispetto ad oggi.
La situazione infrastrutturale della regione non è buona. Anzi, secondo l’Economist (10 marzo) è “inadeguata” (anche se ci sono delle eccezioni notevoli, come il Cile, che del resto esce bene dal rapporto dell’IDB). Infatti, più del 60% delle strade nella regione sono ancora sterrate, rispetto al 46% delle economie emergenti in Asia e al 17% in Europa. E due terzi delle acque reflue o di scarico non vengono trattati.
Gli autori del rapporto quindi non hanno dubbi. “Correggere queste inefficienze sarebbe più che sufficiente per eliminare il divario di povertà estrema e persino diminuire la povertà moderata in molti Paesi. Oppure i risparmi potrebbero essere utilizzati per costruire 1.225 ospedali con 200 posti letto (circa 47 ospedali in più in ciascuno dei 26 paesi)”, così osservano. Cioè: per vivere meglio non occorre per forza spendere di più, ma soprattutto meglio, come suggerisce il titolo del documento.