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Curare la demenza con una bambola aiuta, ma cosa potrebbe fare il vero amore?

NONNA, BAMBOLA, ABBRACCIO
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Chiara Bertoglio - pubblicato il 05/10/18
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Se una bambola può ridurre l’aggressività, far nascere comportamenti teneri e dolci, e ridare a un anziano la dignità del prendersi cura, un gesto di tenerezza da parte di veri esseri umani cosa potrebbe fare?

Stamattina, a colazione, guardavo il telegiornale locale, che trasmetteva un servizio su un interessante esperimento “medico” che si sta realizzando nella mia città. Si tratta di un progetto dedicato ai pazienti con demenza, i cui sintomi comportamentali rispondono male ai consueti trattamenti farmacologici. Secondo la dottoressa intervistata, si ottengono risultati molto migliori dando ai pazienti delle bambole che possono abbracciare, coccolare ed a cui possono parlare.

Ci tengo a sottolineare che sono del tutto favorevole ad una terapia che sostituisce gli psicofarmaci con le bambole, la chimica con le coccole – soprattutto se la salute dei pazienti migliora più con le bambole che con le medicine. Ciononostante, ho trovato struggente il servizio del telegiornale e la descrizione del “protocollo medico”.
Il servizio mostrava, di spalle, un’anziana donna che accarezzava con grande dolcezza una bambola dai lineamenti particolarmente teneri, dicendole: “Sei bellissima, sei!”. Secondo la dottoressa, giocando con le bambole i pazienti con demenza sono riportati a ricordi dimenticati da lungo tempo; inoltre, essi percepiscono di non essere più solamente degli “oggetti” di cura, ma che viceversa a loro volta possono prendersi cura di qualcuno – o meglio, di qualcosa. Inoltre, spesso i pazienti prendono le bambole per bambini veri, e le trattano con grande tenerezza ed affetto. “Così”, continuava la dottoressa, “il peso (sic!) della cura di questi pazienti è considerevolmente alleggerito per le nostre infermiere”. Una di queste, infatti, era filmata nel servizio mentre, in camice bianco, osservava con occhio attento e professionale l’anziana che coccolava la sua bambola.

COPPIA, ANZIANI, FELICI
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Come dicevo, questa “terapia” funziona, non è invasiva ed è priva di effetti collaterali, per cui sono totalmente a favore di un esperimento come questo; inoltre, capisco perfettamente che sarebbe pericoloso lasciare dei bambini veri con dei pazienti con demenza, visto che il comportamento di questi ultimi può talora essere violento ed imprevedibile.
Tutto ciò non diminuisce, però, il sentimento di profonda tristezza che ho provato vedendo questo servizio, ed anche la sensazione di qualcosa di sbagliato. Certo, la tristezza è un sentimento comprensibilissimo quando si parla della condizione di demenza: credo che questa malattia, come l’Alzheimer e condizioni simili, sia fra le più difficili da affrontare e sopportare sia per il paziente sia per i suoi familiari ed amici. Quando una persona è privata della capacità di pensare, ricordare, agire razionalmente, la situazione può essere davvero angosciosa per tutti coloro che ne sono coinvolti direttamente o indirettamente.

RAGAZZA, ANZIANA, BACIO

Shutterstock

Tuttavia, mi sembra anche molto triste che i comportamenti positivi provocati nei pazienti con demenza dalla “interazione” (?) con una bambola non possano essere stimolati da vere interazioni con esseri viventi. Se una bambola può far riemergere antichi ricordi, può ridurre l’aggressività, può far nascere comportamenti teneri e dolci, e – aspetto particolarmente notevole – ridare ad un essere umano la dignità del prendersi cura al posto del solo esserne oggetto, cosa potrebbe fare il vero amore di veri esseri umani per questi pazienti?


ANZIANI, SCALA MOBILE
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Cosa accadrebbe se, invece di un’infermiera che osserva professionalmente il gioco struggente di una donna demente ed anziana con una bambola, avessimo una rete affettuosa di familiari e vicini? Cosa accadrebbe se, facendo attenzione a ridurre i rischi al minimo, una famiglia giovane potesse circondare un tale paziente, lasciandogli per qualche momento un bambino vero fra le braccia, pur accertandosi che la situazione sia sempre sotto controllo? Cosa accadrebbe se iniziassimo ad apprezzare l’umanità di questi pazienti: un’umanità che è talora ed oggettivamente difficile da riconoscere, ma che è lì, tuttavia, e non può essere cancellata dalla loro condizione; un’umanità che grida chiedendo di ricevere e dare tenerezza; un’umanità che sembra scomparire quando le persone, trattate da oggetti, divengono come oggetti, ma anche un’umanità che immediatamente riappare quando viene loro restituita la suprema dignità di amare?

Forse, anziché medicalizzare tutti gli aspetti della nostra fragilità, specialmente quando gravi malattie minano la nostra coscienza e quando ci avviciniamo alla fine della nostra vita, dovremmo sempre ricordare che essere umano è amare ed essere amato, e che non c’è condizione di sofferenza fisica o psichica che non possa migliorare ed essere alleggerita circondando chi soffre con un amore vero e genuino.
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