Una recente ricerca ha dimostrato che i bambini più brillanti sono quelli abituati a stare poco davanti agli schermi Il rapporto fra uso delle nuove tecnologie e lo sviluppo cognitivo ed emotivo di bambini ed adolescenti è uno degli argomenti più controversi e dibattuti in questi ultimi anni nell’ambito della comunità scientifica, e non solo. Un recente studio apparso sulle prestigiosa rivista scientifica The Lancet è stato condotto su bambini fra gli 8 e gli 11 anni (Avvenire.it), incrociando i dati dell’osservazione del loro comportamento e quelli raccolti durante i colloqui ed i test cognitivi a cui sono stati sottoposti. Le funzioni mentali che sono state valutate hanno compreso, oltre la memoria, la capacità di attenzione, la rapidità di elaborazione dei concetti, la bravura nell’eseguire vari compiti prestazionali.
I bambini più curiosi e brillanti? quelli lontani dagli schermi!
I risultati hanno evidenziato come i bambini più brillanti sono quelli abituati a stare poco davanti agli schermi e a trascorrere invece il tempo libero facendo dello sport ed impegnandosi in attività ricreative fisicamente attive. Anche fruire di un sonno regolare per ritmi e quantità si associa a migliori risultati. Da questi dati consegue la raccomandazione degli autori della ricerca ai genitori di non concedere ai propri figli un tempo maggiore delle due ore per vedere film o cartoni animati, così come per rimanere assorbiti in applicazioni interattive e videogiochi. Il dato più sconfortante che emerge da questo studio è che poco più della metà dei bambini hanno soddisfatto le raccomandazioni degli esperti sul sonno, il 37% il limite massimo delle due ore davanti lo schermo, il 18% le indicazioni relative all’attività fisica. La maggior parte di questi minori trascorreva quasi quattro ore davanti i vari schermi a loro disposizione, il doppio del tempo raccomandato, e solo uno su venti rispettava tutte e tre le suddette condizioni favorenti la più ottimale crescita intellettiva.
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Videogiochi e dislessia
D’altra parte, per spezzare una lancia a favore delle nuove tecnologie e non demonizzarle, una recente ricerca italiana svolta in collaborazione fra le Università di Bergamo e Padova, ha evidenziato come i videogiochi cosiddetti “d’azione”, molto amati da bambini e ragazzi, possono risultare utili nella cura della dislessia, aumentando la velocità di riconoscimento visivo delle parole e della loro decodifica fonologica, come riporta un articolo di Paola A. Sacchetti nel numero di gennaio-febbraio 2018 di Psicologia contemporanea.
Meglio il faccia a faccia
Sotto il profilo dello sviluppo socio-emotivo è necessario interrogarsi su quali conseguenze in età evolutiva possono derivare dall’uso massiccio e prevalente della comunicazione virtuale che le nuove tecnologie inducono, specialmente nelle generazioni dei cosiddetti “nativi digitali”. Le disposizioni biologiche alla socialità, che consentono agli esseri umani di instaurare con i propri simili relazioni positive e contenere l’aggressività, per svilupparsi adeguatamente ed assurgere a stabili modalità comportamentali necessitano di essere esercitate attraverso l’incontro faccia a faccia con gli altri. Fra queste disposizioni biologiche alla socialità riveste una particolare importanza l’empatia, grazie alla quale proviamo compassione per chi soffre, favorendo la spinta all’altruismo, alla cura ed alla cooperazione, riducendo contestualmente la propensione a fare del male come afferma in un interessante articolo pubblicato su Psicologia contemporanea (settembre-ottobre 2017) a cura di Silvia Bonino, professore onorario di Psicologia dello sviluppo presso l’Università di Torino. Nonostante questa base biologica che ci orienta ad identificarci negli altri, la condivisione non si realizza in assenza di una adeguata educazione e relativo esercizio in età infantile.
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Troppa virtualità diminuisce la capacità di immedesimarsi negli altri
Cosa succede quindi ad un bambino o ad un adolescente che crescono nutrendosi soprattutto di esperienze virtuali e non reali? Non è azzardato ipotizzare una diminuzione delle capacità empatiche con una crescente difficoltà ad immedesimarsi negli altri ed a viverli come esseri umani del tutto simili a noi. L’effetto più immediato di questa atrofizzazione dell’empatia è l’aumento del comportamento aggressivo che si riscontra da parte degli adolescenti sui social media, dove si registra una preoccupante escalation di violenza verbale, favorita dallo strumento virtuale che, in assenza del faccia a faccia con l’altro in carne ed ossa, conduce di fatto alle espressioni più crude ed offensive. Poiché la ripetuta messa in atto in fase di sviluppo di determinati comportamenti tende a stabilizzare a livello neurofisiologico i circuiti cerebrali coinvolti, si corre concretamente il rischio che all’aumento dell’aggressività virtuale, di per sé perniciosa, corrisponda analogo incremento, ma con ben più gravi conseguenze, nella vita reale.
Vivere fisicamente a contatto con gli altri è pertanto per un bambino ed un adolescente un valore assoluto, sia in termini emotivi che cognitivi, per cui le esperienze sociali virtuali dovrebbero essere messe al servizio di quelle reali, e non diventare – come purtroppo sempre di più avviene – un loro sostituto o una fuga dalle difficoltà che si incontrano in qualsiasi relazione umana.
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