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Ma a che serve il Sinodo?

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Isabelle Cousturie - Giovanni Marcotullio - pubblicato il 03/10/18
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Mentre si apre la XV assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi su «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», Aleteia vi dice tutto su questo evento perché non vi sentiate perduti nel corso dei lavori.

Il percorso sinodale è un cammino lungo e articolato in più tappe – tutte importanti – che impegnano le differenti componenti della Chiesa. State a vedere. Il sinodo su «i giovani, la fede e il discernimento vocazionale» non si apre oggi… in realtà è aperto da gennaio 2017 ed è cominciato con la diffusione di un Documento Preparatorio (DP) comprendente un vasto questionario destinato principalmente alle conferenze episcopali di ogni Paese, ai Sinodi delle Chiese orientali cattoliche e ad altri organismi ecclesiali. Un altro questionario è stato diffuso sull’internet per sondare i giovani di tutto il mondo. Il Vaticano ha anche diramato una “Lettera ai giovani” del Santo Padre. Le risposte ai questionari sono poi servite per l’elaborazione di un documento di lavoro – l’Instrumentum laboris – presentato a giugno scorso e contenente il complesso degli argomenti che saranno discussi al sinodo che parte oggi, 3 ottobre, e arriva al 28.


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Aleteia ha seguito la maggior parte delle iniziative che hanno costellato questo percorso, destinate a mobilitare la Chiesa e a far sentire la voce dei giovani di tutto il mondo su un certo numero di questioni che stanno loro particolarmente a cuore. Ma che importanza ha una tale assemblea, e che cosa faranno i vescovi dei risultati ottenuti? Ecco le cinque questioni-chiave che potreste porvi:

A cosa serve un sinodo?

Il sinodo dei vescovi – dal greco odós e syn, che vuol dire “fare strada insieme” – è stato stabilito da Paolo VI nel 1965 per conservare lo spirito di collegialità generato dal concilio Vaticano II, che raccoglieva tutti i vescovi del mondo. I partecipanti al Sinodo sono scelti e vengono da tutto il mondo. Vi si trovano rappresentanti designati dalle conferenze episcopali come cardinali, vescovi, religiosi, capi di movimenti e di associazioni. E contrariamente al concilio, in cui il voto dei vescovi sui differenti argomenti toccati influisce autorevolmente sulle decisioni del Papa, il potere del sinodo è ordinariamente consultivo, e questo significa che esso può discutere le questioni da trattare ed emettere auspici atti ad aiutare il Papa nel governo della Chiesa, ma non costringerlo a checchessia.


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I dibattiti sono numerosi e il Papa – che è il presidente dell’assemblea – invita i partecipanti a “parlare francamente” e ad “ascoltare con umiltà” ogni discussione. Il suo obiettivo è favorire una più stretta comunione tra il Papa e i vescovi, nei rispettivi compiti pastorali, mettendosi più in ascolto dei fedeli. Si può dunque dire che i vescovi, con questa assemblea sinodale, aiutano il Papa e si aiutano a vicenda con dei consigli. Per il Santo Padre, il Sinodo non è un parlamento ma un luogo nel quale si manifesta lo Spirito. I padri sinodali sono dunque chiamati a esprimersi con parrhesía, un’attitudine finalizzata all’annuncio della fede e che riposa sul “parlato” giusto e vero. Essi sono liberi di comunicare con la stampa – con discrezione e responsabilità.

Dove accade questo?

Il sinodo dei vescovi ha luogo nella grande sala detta “del Sinodo”, attigua all’Aula Paolo VI, dove generalmente hanno luogo le udienze pubbliche del Papa, a sinistra della Basilica di San Pietro. Tutte le sessioni, chiamate anche congregazioni generali, devono tenersi lì. Tale sala è sufficientemente grande da contenere i circa quattrocento chiamati al Sinodo 2018.

Come accade?

Il sinodo è aperto e si conclude mediante celebrazioni eucaristiche presiedute dal Papa. Per tre settimane e mezza, l’assemblea sinodale lavora tutti i giorni, a eccezione della domenica. Oggi, martedì 3 ottobre, i lavori si apriranno con un’introduzione del Relatore Generale del sinodo, cioè l’arcivescovo di Brasilia, il Cardinale Sérgio Da Rocha, che esporrà i temi discussi durante l’assemblea.


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Poi il sinodo si svolge in tre fasi. Durante la prima ogni membro presenta agli altri membri la situazione della propria Chiesa particolare relativamente ai temi del sinodo. Poi, alla luce di queste presentazioni, il relatore generale del Sinodo stabilisce un certo numero di questioni da discutere rimesse a tutti i membri del sinodo, stavolta divisi in piccoli gruppi – oppure organizzati in funzione delle differenti lingue. Ogni gruppo redige allora un rapporto che viene poi letto in assemblea plenaria. In quest’occasione, i Padri sinodali possono domandare chiarimenti sugli argomenti presentati e fare i loro commenti. Come prodotto di questi lavori vengono formulate differenti proposizioni. I padri sinodali possono votare con il “placet” (approvo), il “non placet” (non approvo) e il “placet iuxta modum” (approvo ma…), e in tal caso deve motivare per iscritto in modo chiaro e conciso qual è il punto di perfettibilità che individua. Questo per ogni proposizione. Le proposizioni dei gruppi sono poi raccolte in una lista unificata presentata dal Relatore generale in seduta plenaria.

Chi sono i partecipanti?

Partecipanti ai sinodi sono… i padri sinodali. Una maggioranza di essi, 181 per la precisione, sono stati eletti dalle loro rispettive conferenze episcopali. Gli altri, una quarantina, sono stati nominati direttamente dal Papa. Novità del sinodo dei giovani, la presenza di dieci padri sinodali non-vescovi, sia preti secolari sia religiosi. In ultimo, bisogna mettere in conto quella cinquantina di uditori, uomini o donne, e la ventina di esperti che provengono da tutto il mondo e che lavorano nel campo legato al tema del sinodo.


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Questo sinodo 2018 conta anche parecchi giovani – esattamente 36 –, poiché il Santo Padre aveva espresso dall’inizio il suo desiderio di implicare direttamente i giovani perché il Sinodo non fosse soltanto per i giovani, ma anche e soprattutto con i giovani tutti. E in quanto auditori essi non hanno diritto di voto, però possono intervenire e partecipare ai gruppi linguistici che lavoreranno alla redazione del documento finale.

Quali saranno i frutti di questo lavoro?

Alla fine del sinodo normalmente il Segretario generale redige un rapporto finale e lo sottomette al Papa, che lo consulta per trarne le conclusioni e presentarlo pubblicamente ai fedeli sotto forma di esortazione apostolica postsinodale. Invece a causa della nuova costituzione apostolica sul Sinodo dei vescovi, pubblicata lo scorso 18 settembre, il Santo Padre ha deciso che d’ora in poi non si pubblicheranno più esortazioni apostoliche, bensì verrà dato maggior peso alle decisioni del Sinodo e l’assemblea si concluderà con un documento redatto da una commissione composta da membri eletti dall’assemblea e nominati dal Papa.



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Questo testo sarà sottoposto all’approvazione del Sinodo, «ricercando nella misura del possibile l’unanimità morale», spiega il cardinal Lorenzo Baldisseri, segretario generale del sinodo. L’idea è fare del sinodo uno strumento più reattivo al servizio della Chiesa e incoraggiare le strutture ecclesiali ad essere “più missionarie”, vale a dire – aggiunge –

più sensibili ai bisogni delle persone, più aperti alle novità che si presentano, più flessibili in un’epoca di rapide trasformazioni.

Per essere adottato, il documento dovrà raccogliere l’approvazione dei due terzi dei padri sinodali. Una volta che si sia votato, esso verrà sottoposto al Santo Padre, il quale dovrà decidere se pubblicarlo o no.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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