Monsignor Dario Viganò e il regista tedesco rivelano l’origine di un documentario rischioso Come mai Wim Wenders, uno dei registi più acclamati a livello internazionale, si è lanciato nella pericolosa avventura di dirigere una grande produzione su un Papa in vita?
A questa domanda ha risposto il vincitore della Palma d’oro a Cannes (1984) e dell’Orso d’oro alla carriera al Festival del Cinema di Berlino (2015), poco prima dell’uscita del film in Italia, che sarà il 4 ottobre, giorno di San Francesco.
“Nel dicembre del 2013 ho ricevuto una lettera: mi chiedevano se fossi interessato a realizzare un film sul Papa. All’epoca incontrai Monsignor Dario Viganò, un uomo colto, uno studioso della settima arte, che mi offrì questo lavoro. Come realizzarlo? Come girare?”, si chiede il regista in un articolo pubblicato su “Il Cinematografo”
“Volevo che fosse una produzione indipendente, non legata al Vaticano. Altrimenti non saremmo stati convincenti”, chiarisce. La richiesta fu accolta, ma la lavorazione non è stata facile.
Infatti, l’idea è stata lanciata da monsignor Dario Viganò, all’epoca prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede di cui oggi è membro.
In un articolo pubblicato dall’agenzia SIR, il sacerdote rivela che dall’inizio ha pensato che Wenders era l’uomo giusto per questa impresa, vista la poesia e sensibilità dimostrata con il suo grande film “Il cielo sopra Berlino” (1987).
“Quegli angeli, così lontani dal cascame devozionale, marcati dalla poesia di Dante e di Rilke, sono come battiti di luce, meglio luce e movimento, come il cinema”, scrive Viganò. “E quello sguardo di Wenders, così profondo e lieve insieme, è rimasto radicato in me per anni. Per questo ho pensato al lui per un film con papa Bergoglio”.
Dietro le quinte
Nel marzo 2016 sono iniziate le riprese, organizzate in quattro sessioni con il Papa, di cui l’ultima ad agosto 2017.
“Abbiamo realizzato in totale otto ore di girato con papa Francesco – considerando le varie camere, un totale di 20 ore – e 6 ore ad Assisi, con una hand camera della Twenties, seguendo la suggestione stilistico-narrativa di Wenders”, rivela monsignor Viganò, che dal 2004 al 2015 è stato presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo e direttore della “Rivista del Cinematografo”.
“Così il film (della durata di 96 minuti) l’abbiamo visto solo a montaggio ultimato. Non ci sbagliavamo, una fiducia ben riposta”, confessa Viganò.
Da parte sua, Wenders confessa: “Nessuno mi ha spiegato che cosa si aspettassero da me. Non c’era un obiettivo, mi hanno lasciato solo, con una responsabilità enorme: raccontare al mondo chi è Francesco”.
“Lui ha una grandissima capacità di connessione con la gente, si rivolge a tutte le persone di buona volontà e non solo –aggiunge il regista–. Il cinema era il mezzo migliore per trasmettere al pubblico il suo pensiero, il suo carattere. La televisione sarebbe stata riduttiva. Il Vaticano non ha mai interferito, non mi ha mai chiesto di aggiungere o togliere qualcosa”.
Un set senza protocollo
Per capire l’ambiente del set, basta pensare che Papa Francesco si è presentato una volta sulla location, nei giardini vaticani, nella Fiat Panda, guidata da monsignor Dario. Non c’erano autisti né protocollo.
“Cominciamo a girare –rivela Viganò–. A un certo punto si alza il vento e sposta la mantellina del Papa, trasformandola in una specie di sciarpa. Al primo stop, commento: ‘Certo il vento ha spostato tutto…’. E il Papa mi risponde: ‘Don Dario, questa è la vita! Siamo persone vive, non statue da museo’. Un sorso d’acqua e riprendiamo”.
Il nome di Francesco, un programma
“In pochi sapevano che cosa stavamo realizzando. Il nostro riferimento non erano solo i cattolici, ma il mondo intero –continua spiegando Wenders–. Volevo permettere allo spettatore di guardare il Papa negli occhi, come ho fatto io. Lui ha avuto il coraggio di chiamarsi Francesco nel ventunesimo secolo”.
Wim Wenders ha rivelato anche come è stato il suo primo incontro con Papa Francesco, pochi minuti prima di iniziare le riprese.
“Ero molto nervoso –ricorda–, poi lui mi ha appoggiato una mano sulla spalla e mi ha detto: ‘ho sentito molto parlare di te, ma non ho mai visto i tuoi film’. Ho tirato un sospiro di sollievo, perché almeno partivamo entrambi da zero”. E aggiunge: “È stato magnifico”.
In questi tempi non si può non chiedere il parere di Wenders sulla crisi che vive la Chiesa a causa degli abusi commessi da vescovi e sacerdoti.
“Francesco chiede tolleranza zero verso questo tipo di aggressioni. Lui ha ereditato il problema dal passato, ed è il primo papa ad affrontarlo”, spiega Wenders. “Francesco è l’uomo che ci serve in questi tempi bui, è il capitano che con il suo ottimismo riesce a non far affondare la nave”.