E’ raccapricciante il racconto di quello che è accaduto dietro le quinte, secondo l’attore Sergio Rubini, che ha interpretato il ladrone buono
Uscito nel 2004, “La passione di Cristo” si è rivelato, a sorpresa, un vero e proprio successo con oltre 600 milioni di dollari di incasso a cui sono seguite reazioni di vario genere, tra chi ha accusato il regista Mel Gibson di antisemitismo e chi lo ha considerato una sorta di epifania del dolore.
Una spaccatura alimentata dai pareri contrastanti della stampa che hanno agevolato non poco il suo successo. Oltre a Rubini, il cast comprendeva altri interpreti italiani come Monica Bellucci (la Maddalena), Rosalinda Celentano (Satana), Claudia Gerini (moglie di Pilato), e Mattia Sbragia (Caifa) (Movie Player, 23 settembre).
Il “trauma” del buon ladrone
Il buon ladrone era invece l’attore pugliese Sergio Rubini, che alla trasmissione Propaganda Live (21 settembre), ha consegnato un ricordo a dir poco allucinante di “The passion”. Aneddoti e retroscena che hanno dell’incredibile e hanno rappresentato per lui un vero e proprio incubo.
Sergio Rubini
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— Propaganda Live (@welikeduel) September 21, 2018
Visioni e conversioni!
«Fu una esperienza terribile – confessa Rubini – io ho avuto problemi seri con Mel Gibson (…) Era un set particolare. A Matera, dove giravamo, tutti avevano le visioni, gente che si è convertita. Era pieno di preti ovunque e si facevano tre messe al giorno. Una in latino, una in inglese e una in materano. Jim Caviezel girava per le strade con il trucco di scena addosso e benediceva i bambini».
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“Mezzo nudo a novembre”
Nel controverso film sulle ultime ore di Gesù, l’attore pugliese vestiva i panni del buon ladrone, Disma, che finisce in croce sul Golgota e chiede perdono per i suoi peccati, guadagnandosi la salvezza eterna. O meglio svestiva: «Andavo in giro mezzo nudo per la città. Figurati io sono di Altamura e ho studiato lì. Immagina. Era novembre. Novembre a Matera! E io non avevo messo in conto cosa significasse essere appeso ad una croce a novembre con il perizoma!».
La croce
Rubini si sofferma soprattutto sull’attenzione di Gibson ai particolari e alla necessità maniacale di ricostruire ogni cosa in maniera perfetta: «Voleva che fosse tutto vero, poco ci mancava che avesse usato i chiodi per appenderci alla croce. Io ero attaccato e dovevo dare l’idea di pendere. Era molto faticoso (…)».
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