La persecuzione di Hitler contro la Chiesa Cattolica in Germania, pur non essendo esente da atti di violenza, ebbe un carattere più lieve rispetto a quella dell’Unione Sovietica di Stalin, dove migliaia di sacerdoti furono uccisi o deportati in campi di concentramento. La ragione è dovuta al fatto che il capo del nazismo riteneva controproducente fare una guerra aperta alle confessioni cristiane, preferendo attuare un’offensiva di tipo amministrativo volta a ridurne lo loro spazio pubblico unita ad una fitta propaganda di discredito del clero.
Come sappiamo dalle confidenze fatte ai gerarchi più vicini, il dittatore tedesco era intenzionato ad attuare una politica più decisa nella lotta contro la Chiesa una volta terminata la guerra: «Il Führer è inesorabilmente determinato ad annientare le chiese cristiane dopo la vittoria» annotava Joseph Goebbels nel suo diario il 24 maggio 1942 (cit. in P.L. Guiducci, Il Terzo Reich contro Pio XII, Edizioni San Paolo 2013).
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Vi fu tuttavia una regione in cui i nazisti attuarono una feroce persecuzione contro il clero, assimilabile a quella compiuta in URSS, e questa fu nel territorio del Warthegau in Polonia. Secondo la logica nazista, mentre gli ebrei dovevano essere fisicamente eliminati, i polacchi erano invece considerati dei sottouomini da schiavizzare e attuarono in alcune regioni una vera e propria politica di apartheid. Dopo la conquista del paese, i nazisti colpirono duramente il clero polacco poiché considerato un simbolo dell’identità nazionale polacca e si stima che, durante la guerra, a causa della repressione tedesca, vennero uccisi in quella nazione 6 vescovi, 1932 preti, 580 religiosi, 113 chierici e 289 religiose; mentre la stima delle persone inviate in un campo di concentramento ammonta a 3642 sacerdoti, 389 chierici, 341 fratelli conversi e 1117 suore (R. Moro, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Il Mulino, Bologna 2002 p. 17).
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Tuttavia, molti storici specialisti del Terzo Reich come Michael Burleigh e Ian Kershaw, ritengono che la repressione antireligiosa effettuata nel Warthegau non fu dettata solamente da scopi puramente politici, ma serviva anche come una sorta di banco di prova nella futura politica dei nazisti riguardante la religione. A capo di quella regione, Hitler nominò il Gauleterier Arthur Greiser, fanatico nazista che fu direttamente responsabile della morte di centinaia di migliaia di ebrei e polacchi, e che per questo motivo sarà processato e impiccato nel dopoguerra a Poznan nel 1946. Greiser, pur essendo stato educato nella religione evangelica, aveva abiurato il cristianesimo a causa, a suo dire, della «separazione tra Stato e Chiesa». Nel Warthegau il gerarca nazista, oltre a provocare l’uccisione e l’imprigionamento di centinaia di sacerdoti, monaci e funzionari diocesani, emanò infatti un editto, datato 14 marzo 1940, contenente «13 punti» che rendevano di fatto impossibile il libero esercizio del culto.
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Questo documento proibiva l’esistenza di Chiese di diritto pubblico, ammettendo soltanto associazioni di carattere privato che non potevano avere contatti con gruppi esterni alla regione; e i cui componenti potevano essere solamente adulti che avessero fatto richiesta di iscrizione scritta. Queste nuove associazioni non potevano inoltre avere proprietà, raccogliere fondi e neppure svolgere opere di beneficenza. I sacerdoti ammessi dovevano provenire unicamente dal Warthegau ed erano obbligati a svolgere una mansione per provvedere al loro sostentamento. In aggiunta, Greiser fece sciogliere tutte le forme di associazionismo come i gruppi giovanili, proibì di tenere lezioni di catechismo nelle scuole, fece divieto ai tedeschi e ai polacchi di frequentare la stessa Chiesa, e stabilì la chiusura di conventi e monasteri. (A. Duce, Pio XII e la Polonia, Edizioni Studium 2007 p. 154).
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La politica antireligiosa di Greiser era guardata con ammirazione dai nazisti, come esempio da seguire in futuro nei rapporti con la Chiesa: «Non c’è posto per le Chiese cristiane – evangelica o cattolica – nel nuovo assetto della Germania. (…) Che questi siano i desideri del Führer lo dimostra il fatto che egli ha incaricato il Gauleiter del Warthegau di seguire tale strada», affermò il responsabile per l’educazione a Francoforte in un discorso tenuto ai funzionari nazisti nel novembre 1940. Frequenti furono le proteste da parte della Santa Sede per la situazione in Polonia, ma queste non ebbero alcun esito. Le rimostranze del nunzio apostolico Cesare Orsenigo ricevevano infatti solo risposte evasive, anche perché formalmente il gauletier Greiser (che sosteneva di avere una missione speciale) non prendeva ordini dal Ministero ma riceveva direttive direttamente da Hitler (si veda R.A. Graham, Il piano straordinario di Hitler per distruggere la Chiesa, da «La Civiltà Cattolica» a. 146, vol. I, pp. 544-552).
L’accusa rivolta a papa Pio XII è quella di non aver fermato l’Olocausto denunciando pubblicamente le atrocità del nazismo; tuttavia, come hanno notato già in passato alcuni studiosi, se il Papa non aveva il potere di salvare i suoi stessi sacerdoti dalla ferocia nazista, che possibilità poteva avere di fermare il genocidio degli ebrei?
Qui l’articolo originale pubblicato dall’Unione Cristiani Cattolici Razionali