È definita la Maria Goretti della Slovacchia, morì nel 1944 a 16 anni per difendere la sua purezza. Padre Pavol Hudak dice di lei: “Anche le persone hanno il profumo speciale della bellezza, è il profumo del cuore puro, della sincerità e della bontà”
«Gesù, Maria, Giuseppe, vi consegno la mia anima» disse la sedicenne Anna Kolesarova la sera del 22 novembre 1994 prima di morire, uccisa a colpi di pistola da un soldato sovietico che voleva abusare di lei.
È definita la Maria Goretti della Slovacchia, ma i suoi amici la chiamano affettuosamente Anka ed è stata beatificata il 1 settembre scorso.
La cerimonia si è svolta a Košice (vicino al confine polacco e ungherese della Slovacchia) ed è stata presieduta, in rappresentanza del Papa, dal cardinale Giovanni Angelo Becciu, neo prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi che ha così riassunto l’esempio santo della ragazza:
Fortificata e ben preparata dal padre e dalla madre che con i loro insegnamenti e il loro esempio l’avevano ammaestrata a scegliere Dio prima di ogni altra cosa, a soli 16 anni si trovò di fronte al tragico dilemma se optare per la vita o la morte. La vita significava cedere ai brutali istinti di un militare dell’esercito sovietico e tradire la propria coscienza, la morte invece la portava pura all’abbraccio di Dio, che aveva imparato ad amare sopra ogni cosa. Venne colpita a morte la sera di mercoledì 22 novembre 1944, davanti agli occhi del padre. Fu uccisa per la sua resistenza e per la fermezza nel difendere la propria integrità fisica e la virtù della castità. (da La stampa)
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La fortezza è un’anima pura
Se volessimo usare i parametri della contemporaneità, dovremmo dire che Anna nella sua breve vita non aveva conosciuto gran che del mondo: nata, cresciuta ed educata nel paesino di Vysoká nad Uhom, conosceva quel ritaglio di terra finché la guerra non irruppe dentro la sua casa. Ed è qui che i nostri parametri saltano. A lei – che non era connessa con la banda larga ad ogni angolo remoto del globo – giunse l’esperienza più vertiginosa che possa toccare a un essere umano: la scelta tra la vita e la morte, la volontà di testimoniare un ideale a costo della pelle.
Per essere libera nella volontà di dire «no» alla violenza di uno stupro le bastò ciò che aveva per le mani: l’educazione cristiana che i suoi genitori le avevano porto come un’esperienza viva e le conoscenze scolastiche (era un’alunna modello e appassionata!). Aveva gli occhi aperti sul mondo e su di sé, sapeva … nel senso etimologico per cui «sapere» e «sapore» sono sinonimi: la sua vita era riempita di un gusto buono, semplice, radicato nel qui e ora di ogni giornata, innestato nella gloria dell’eterno.
Non era ingenua, era pura. Sapeva anche il dolore. La sua mamma era morta quando aveva appena 13 anni: i lutti lavano l’anima di lacrime, la puliscono.
Venne il giorno della prova, e lei – che sarà senz’altro stata impaurita terribilmente – ci vedeva bene, benissimo. La sera del 22 novembre 1944 stava nascosta in un nascondiglio insieme al padre e ai vicini di casa per sfuggire ai combattimenti in corso nella zona. Un soldato russo li scoprì e cominciò a importunarla; Anna rimase ferma nel suo diniego alla violenza anche di fronte a una pistola puntata, che poco dopo la freddò.
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La fortezza è una virtù fatta di anime pure, non di braccia dure come il cemento armato. Come un ladro di notte, dice il Vangelo. Se fossimo stanati nei nostri mille nascondigli di comodo, quale sarebbe la nostra risposta? Saremmo pronti?
C’è profumo di buono
La domanda diventa tanto più urgente pensando a coetanei di Anna che vediamo attorno a noi. Di recente il giornalista irlandese John Waters ha scritto un contributo per il mensile Tempi in cui esplora tutti i punti dolenti della generazione dei Millennials:
[…] privati di una comprensione del trascendente e impegnati a distruggere le icone culturali della civiltà occidentale e altre eredità del passato. I nostri giovani sono perduti e, cosa ancora peggiore, non sono più in ricerca. (…) viziati come nessuna generazione prima di loro, infatuati dalle celebrità e privati della capacità di provare empatia. (Ibid.)
Questo quadro lucido, tutt’altro che eccessivo – semmai drammaticamente realista, invita noi genitori ed adulti a non fare i predicatori dal ditino alzato, bensì i seminatori di Van Gogh. Seminatori al tramonto, sì, però fiduciosi che la luce – piccola – non svanisca del tutto.
Piantare è un gesto rivoluzionario di questi tempi, perché scommette sulla crescita nascondendo alla vista i semi: l’esperienza in questo caso è opposta all’idolo della visibilità (che fa lievitare notizie virali, presto viste altrettanto presto avvizzite).
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Anna è morta, e come seme buono, sta dando frutto. Lo racconta Padre Pavol Hudak, rettore della Casa di Anna Kolesarova, coinvolto nel processo di beatificazione: solo nell’ultimo anno ha celebrato 15 matrimoni tra coppie di fidanzati che si sono conosciuti andando in pellegrinaggio alla casa di Anna e hanno preso sul serio l’ipotesi della castità,
La testimonianza di Anna ci dice che quello che conta è la castità del nostro cuore e una volta che ce l’hai, si riflette anche nella bellezza esteriore. La rosa è bella perché è una rosa, tuttavia possiede anche un tipo di bellezza che non si può vedere: il suo profumo. Se vuoi svelarne la bellezza completa, devi inclinarti e avvicinarti per annusarla. Anche le persone hanno il profumo speciale della bellezza, è il profumo del cuore puro, della sincerità e della bontà. (da AgenSIR)
Verrebbe da ricordare, come già notò Jonah Lynch, che uno dei sensi più forti – l’olfatto – non può in nessun modo essere trasmesso nella realtà virtuale. È un segno di speranza, credo. Il giardino che possiamo coltivare nel cuore di uno solo dei nostri figli può far impallidire di miseria il più roboante dei circhi mediatici.