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47 giorni di coma. E la forza della preghiera per tornare a vivere

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 01/09/18
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Il presidente dell’Unitalsi Lombardia racconta la sua malattia in un’autobiografia. Lui che accompagna i malati a Lourdes si è ritrovato a soffrire come loro. E la sua vita è cambiata

Quarantasette giorni di coma. Una riabilitazione lunga e difficile. Bruttissime sensazioni. E alla fine l’uscita dal tunnel con la forza della medicina e della preghiera.

Il 5 settembre a Roma si presenta il libro autobiografico del giornalista e presidente Unitalsi Lombardia Vittore De Carli,Dal buio alla luce con la forza della preghiera” (Libreria Editrice Vaticana).

E’ una testimonianza di come la malattia, percependola su stessi, rivoluziona la persona che la subisce. La storia è quella di De Carli in un momento particolare della sua vita in cui la routine quotidiana, intensa e frenetica fatta di lavoro e impegni di volontariato oltre che personali, è stata interrotta da una grave malattia.

Cosa le è accaduto?

«Il 14 agosto 2015 mi sono sentito male dopo essere tornato dall’ennesimo viaggio a Lourdes per accompagnare i malati Unitalsi. Sono stato portato all’ospedale di Como e dopo qualche giorno sono finito in coma, mi sono risvegliato 47 giorni dopo alla Maugeri di Pavia nell’Unità di Riabilitazione Pneumologica diretto da questo straordinario medico, che poi è diventato un amico, Piero Ceriana interverrà subito prima di me. In mezzo ci sono stati diversi arresti cardiaci, un’operazione a cuore aperto alla clinica Sant’Ambrogio di Milano eseguita dal dott. Paolo Panisi per la ricostruzione della valvola mitralica, cinque bypass, tanta paura da parte di mia moglie, i miei figli e tanti amici che si sono preoccupati non appena hanno saputo quel che era accaduto e decine di migliaia di preghiere che hanno recitato per me persone che nemmeno conosco, qui come alla Grotta di Lourdes, Loreto e Fatima».

Vittore De Carli 2

Unitalsi

La preghiere sono state davvero così importanti?

«Da cattolico penso che le preghiere mi hanno salvato come le medicine e per questo non posso che ringraziare dal profondo del cuore ognuna di queste persone. Anch’io ho pregato e tanto in quei 47 giorni in cui sono stato dall’altra parte, in un mondo di mezzo senza colori di cui però anche a distanza di tanti mesi ricordo praticamente ogni cosa. Non sono in grado di dirvi se ero all’Inferno, in Purgatorio, in Paradiso oppure in Costa Azzurra o in montagna, l’unica cosa di cui mi rendevo conto era che eravamo in tanti, arrivati da posti diversi, ognuno parlava la sua lingua e raccontava le sue cose, la propria vita. Ho capito che forse avevo sbagliato tutto nella mia vita, ho sempre pensato di comportarmi in modo corretto, ma mi trovavo a soffrire. Avevo dolori fisici, ma non al cuore, al polso della mano destra, alle gambe, il ginocchio, come se mi picchiassero». 


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Cioè?

«Non sono in grado di dirvi se ero all’Inferno, in Purgatorio, in Paradiso oppure in Costa Azzurra o in montagna, l’unica cosa di cui mi rendevo conto era che eravamo in tanti, arrivati da posti diversi, ognuno parlava la sua lingua e raccontava le sue cose, la propria vita. Ho capito che forse avevo sbagliato tutto nella mia vita, ho sempre pensato di comportarmi in modo corretto, ma mi trovavo a soffrire. Avevo dolori fisici, ma non al cuore, al polso della mano destra, alle gambe, il ginocchio, come se mi picchiassero».


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Si è ritrovato a percepire ciò che provano gli ammalati che lei accompagna a Lourdes.

««In quel periodo mi veniva in mente l’immagine di Giovanni Paolo II, quindici giorni prima di morire, mentre batte il pugno sul tavolo, perché non riesce a parlare. Ricordo la mie gambe che non riuscivo a muovere, temendo di restare immobile per sempre. Allo stesso tempo poi, pensavo a quei malati che accompagnavo a Lourdes, ai loro sorrisi, al loro ottimismo. E inizi a capire che ci può essere comunque una vita nuova».

SMOM-Lourdes-2014-1-111

SMOM

Che messaggio vuol lanciare con il libro?

«Il messaggio più significativo è il far diventare il libro uno strumento per manifestare l’amore di Dio attraverso le mani dell’uomo perché alla fine De Carli è un uomo di fede, grato alla misericordia e all’amore di Dio che gli ha permesso di essere ancora qui a raccontare la sua storia, per la prima volta come cronista della propria vita dopo aver raccontato per anni gli avvenimenti degli altri da giornalista professionista. Così i proventi del libro saranno interamente destinati alla realizzazione di una Casa di accoglienza a Milano intitolata a Fabrizio Frizzi parte del “Progetto dei piccoli” Unitalsi per ospitare le famiglie che devono ricoverare i loro bambini in strutture ospedaliere specializzate al di fuori del luogo di residenza».

FABRIZIO FRIZZI

Università Campus Bio-Medico di Roma I CC BY-NC-SA 2.0

Fabrizio Frizzi, storico testimonial dell’Unitalsi, sarebbe tanto felice.

«Di Fabrizio ricordo il suo sorriso e una sua frase che mi disse quando lo intervistai per il Corriere della Sera. “Cosa posso fare io per te?”. “Avrei bisogno di fare un’intervista”, dissi io. E lui: “Tu fai le domande e io ti rispondo”. L’intervista durò almeno mezzora, perché mentre rispondeva si dedicava a dispensare sorrisi a tutte le persone che si avvicinavano, poiché eravamo in Unitalsi. A Milano mancava una struttura di questo tipo  allora, una volta che verrà  realizzata, sarà dedicarla a Fabrizio, al suo sorriso che per anni ci ha dispensato. Ecco tutti quelli che arriveranno nella casa troveranno un suo sorriso».


FABRIZIO FRIZZI
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