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Che cos’è il clericalismo?

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Nicholas Senz - pubblicato il 24/08/18
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Papa Francesco ha dedicato una grande parte del proprio pontificato a denunciare questo fenomeno. Ma esattamente in cosa consiste?

All’indomani dei gravi scandali di abusi sessuali commessi da membri del clero, abbiamo visto numerose risposte e riflessioni venire sia da laici sia da chierici – e fra questi abbiamo letto Papa Francesco. Nella sua Lettera al Popolo di Dio sulla crisi attuale, Papa Francesco designa una volta di più il fenomeno del clericalismo come una delle componenti principali della crisi degli abusi sessuali.


POPE FRANCIS
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È una delle parole che si sfoggiano nelle conversazioni di chiesa, ma che raramente vengono definite. Una parola che abbastanza spesso si usa senza che se ne conosca realmente il senso. Che cos’è il clericalismo?



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Esso designa una maniera deviante di concepire il clero, una deferenza eccessiva e una tendenza a riconoscergli una superiorità morale. Papa Francesco ha dato una breve descrizione del fenomeno: «I preti si sentono superiori, sono molto distanti dal popolo». Aggiunge che il clericalismo può essere «favorito dai preti o anche dai laici». In effetti, anche i laici possono cadere nel clericalismo! Essi possono credere che il loro contributo alla vita della Chiesa non sia che di second’ordine, o che in qualunque campo «il prete ne sappia per forza di più».



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Ora, detto questo, rispettare i membri del clero è un dovere. I chierici sono chiamati da Dio ad essere i nostri capofila, i nostri insegnanti e i nostri santificatori nella vita cristiana, e per questo dobbiamo rispettarli. Dopo tutto sant’Ignazio di Antiochia dichiara che bisogna riverire i diaconi come Gesù Cristo stesso e il Vescovo come l’immagine del Padre. Egli afferma pure che «lì dove sta il Vescovo sta la Chiesa cattolica».



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Il clero è partecipe della tradizione apostolica trasmessa da Cristo stesso. I sacerdoti sono stati designati per essere nostri pastori. Hanno tale potere, conferito dal sacramento dell’Ordine, e ce l’hanno anche quando si comportano male. Un prete in stato di peccato mortale può sempre chiamare Cristo sull’altare durante la messa. Può sempre perdonare i peccati nella confessione, anche se la propria anima «naufraga nel peccato». I preti ricevono un «carattere indelebile» sulla loro anima mediante l’Ordine sacro, e tale carattere permette loro di agire in persona Christi («nella persona di Cristo»), e nessun peccato può cancellare tale carattere e ciò che esso implica. Sì, anche se un prete fosse condannato all’inferno, la sua anima conserverebbe sempre il sigillo del sacerdozio, il che implicherebbe che la sua sofferenza eterna sarebbe maggiore di quella di altri.



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Comunque il potere dell’Ordine sacro non implica che il clero sia automaticamente più sapiente, che possieda un migliore giudizio o – questo è importante sottolinearlo – che sia moralmente superiore alle altre persone. Una volta ordinati, i preti restano esseri umani, soggetti a tutti gli errori (e i peccati) che le persone ordinarie possono fare. Gli apostoli stessi hanno fatto ogni sorta di errori – dal fraintendere le parole di Cristo a tradirlo – e non c’è motivo di credere che i loro successori siano preservati da tali colpe.



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Inoltre, se si considera l’alta vocazione che i preti e i religiosi hanno ricevuto da Dio, si possono facilmente immaginare gli sforzi che il demonio dispiega per farli cadere. È una delle ragioni per le quali è importante pregare per gli ecclesiastici, essendo coscienti del fatto che la loro vita in questo mondo è una lotta spirituale.

Trovare il giusto equilibrio

In una dichiarazione divenuta celebre, Aristotele ha detto che «la virtù è un equilibrio tra gli estremi». Dunque quando si cerca di evitare il clericalismo bisognerebbe fare attenzione a non scivolare nell’eccesso opposto, l’anticlericalismo. Anche se non dobbiamo portare in processione i preti sulla lettiga, neppure dobbiamo scaraventarli sottoterra. Non si deve insultare né degradare la vocazione del clero. Il clero non andrebbe né vezzeggiato né disprezzato.



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Gesù aveva trovato un giusto equilibrio per i suoi apostoli, e fin dal principio. Dopo che la madre di Giacomo e Giovanni ebbe chiesto a Gesù se i suoi figli potessero sedere alla sua destra e alla sua sinistra nel Regno, gli altri apostoli insorsero perché quei due avrebbero ricevuto onori a loro discapito. Gesù rispose loro:

I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti

Mt 20, 25-28

Gesù non ha contestato il fatto che i suoi apostoli avrebbero avuto autorità sugli altri; piuttosto ha loro insegnato e mostrato che tale autorità è destinata al servizio. È un poco come quando dei genitori prendono una baby sitter e quella diventa “responsabile” dei loro figli. La baby sitter ha un’autorità sui bambini non perché possa mandarli presto a dormire in modo da potersi tranquillamente guardare un film o da passare la serata su Snapchat, ma perché possa occuparsi di loro correttamente. Essere “responsabili” significa che i bambini sono “la responsabilità della baby sitter”.


DANIEL PITTET, OFIARA PEDOFILII
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San Pietro, il primo Papa, era uno dei più grandi discepoli di Gesù. Riprese le parole del Maestro nella sua prima lettera, quando scrisse: «Non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge» (1Pt 5,3).

Dall’epoca di san Gregorio Magno, molti Papi hanno assunto il titolo di servus servorum Dei, “servo dei servi di Dio”. I membri del clero non sono i nostri padroni: ci sono per aiutarci. Come ha scritto Papa Francesco al cardinale Marc Ouellet, Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina:

I laici sono parte del Santo Popolo fedele di Dio e pertanto sono i protagonisti della Chiesa e del mondo; noi [sacerdoti] siamo chiamati a servirli, non a servirci di loro.

[Traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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