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Quando finisce un matrimonio

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Paul De Maeyer - pubblicato il 20/08/18
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Il divorzio porta all’impoverimento delle personeSecondo gli ultimi dati disponibili, nel corso del 2016 ci sono stati in Spagna 96.824 divorzi, inoltre 4.353 separazioni e infine 117 dichiarazioni di nullità di matrimoni ecclesiastici, ossia in totale 101.294 matrimoni dissolti. A ricordarlo è un articolo pubblicato il 12 agosto sul sito del quotidiano El País e firmato da Miguel Ángel García Vega.

Si tratta di un calo importante rispetto al 2006, quando si registrarono nel Paese ben 145.919 matrimoni dissolti, vale a dire 126.952 divorzi, 18.793 separazioni e 174 dichiarazioni di nullità.

Dai dati emerge che la media nazionale è di 2,2 dissoluzioni di matrimoni ogni 1.000 abitanti, un tasso che aumenta ad esempio a 2,7 a Ceuta, a 2,5 in Catalogna e nella Comunità Valenciana e a 2,4 nelle Isole Canarie. Il tasso invece è al di sotto della media nazionale ad esempio in Estremadura (1,7), Castiglia e León (idem), Castiglia-La Mancia (1,9) o Galizia (2,0).

Con la sua media di 2,2 la Spagna si colloca al 21° posto della classifica mondiale, che è guidata dalla Russia (4,5 dissoluzioni di matrimoni ogni 1.000 abitanti). Seguono poi Bielorussia (3,7), Danimarca (3,4), Puerto Rico (idem) e Lituania (3,3).

Tempi e costi

Per quanto riguarda i tempi, l’iter di divorzio o separazione consensuale dura in circa due terzi dei casi (il 67,1%) meno di tre mesi, nel 21,7% dei casi da tre a cinque mesi, nell’8,5% da sei a undici mesi e infine solo nel 2,7% dei casi supera la durata di un anno, rivela El País, basandosi sui dati dell’Istituto Nazionale di Statistica (INE).

Per quanto riguarda invece la procedura in giudiziale (o contenziosa), solo nel 5,5% dei casi i tempi scendono al di sotto dei tre mesi. In un quarto dei casi, cioè il 25,6%, va da tre a cinque mesi, mentre in quasi la metà dei casi, ovvero il 43,1%, da sei a undici mesi. Poi in un altro quarto dei casi, ossia il 25,8%, ci vuole più di un anno.

Mentre negli Stati Uniti l’industria del divorzio rappresenta un giro d’affari di circa 50 miliardi di dollari (oltre 42 miliardi di euro), in Spagna il costo della procedura dipende dalla complessità del caso, scrive l’autore. Se si tratta di un divorzio consensuale il prezzo può variare da 2.000 a 4.000 euro. Se invece occorre passare da un giudice il costo può salire anche a 16.000 euro.

Anche l’iter di nullità di un matrimonio ecclesiastico ha un suo costo, spiega El País. Un avvocato esperto in diritto canonico può costare 2.500 euro, poi ci sono i periti da pagare (quando va dimostrata ad esempio l’immaturità psico-affettiva del nubendo) e infine le tasse giudiziarie. Un sacerdote ha definito perciò la riforma lanciata da papa Francesco nel suo Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus (2015), che renderebbe gratuiti i processi di nullità “una vera rivoluzione”.

Il “buco nero” del divorzio

E’ quindi comprensibile che molte coppie in crisi cerchino soluzioni alternative e provino di fare a meno di avvocati e giudici, suggerisce il quotidiano. “Attualmente, sono molto numerosi i coniugi con problemi che si separano di fatto; ciascuno fa la sua vita, ma rimangono sposati”, spiega Carmen Marcos, avvocata ed esperta in diritto di famiglia.

Del resto, una volta concluso l’iter, i problemi non finiscono. La “grande battaglia” è il pagamento dell’assegno di mantenimento o di divorzio. “In molti casi il genitore non affidatario si disinteressa totalmente e paga il meno possibile”, dichiara sempre la Marcos, che aggiunge: “Qui la lotta è fino alla morte”.

El País, che non esita a definire il divorzio “un buco nero, che attrae e distrugge il patrimonio” delle persone coinvolte, ricorda a questo punto anche il ricercatore Jay Zagorsky, della Ohio State University (OSU), negli USA. Per l’autore di Marriage and Divorce’s Impact on Wealth (2005), il divorzio riduce di oltre tre quarti, ossia del 77%, la ricchezza di una persona.

Il 13° rapporto sulla povertà e l’esclusione sociale in Italia

Che il divorzio apra la porta al disagio economico e all’impoverimento lo dimostra il 13° rapporto sulla povertà e l’esclusione sociale in Italia stilato dalla Caritas e diffuso nel 2014 sotto il titolo False partenze. Dai dati empirici raccolti attraverso 466 interviste a genitori separati che frequentavano ad esempio centri di ascolto o consultori familiari emerge innanzitutto ciò che l’organismo definisce nella sintesi del rapporto un “forte disagio occupazionale”. Infatti, quasi la metà degli intervistati, ossia il 46,1%, era in cerca di un impiego.

La fine di un matrimonio porta inoltre ad una “precarietà abitativa”. Cresce, così indica lo studio della Caritas, la proporzione delle persone che vivono da familiari o amici (dal 4,8% al 19,0%), che si rivolgono a dormitori o strutture simili (dall’1,5% al 18,3%) o sono costrette a vivere in alloggi di fortuna – ad esempio la macchina (dallo 0,7% all’5,2%).

Mentre due terzi degli intervistati (cioè il 66,1%) hanno dichiarato di non essere stati più in grado di comprare i beni di prima necessità dopo la separazione, quasi la metà (il 49,3%) ha dovuto rivolgersi a centri di distribuzione di beni primari e più di un quarto a mense (il 28,8). E come se non bastasse, due terzi (il 66,7%) degli intervistati ha accusato anche un aumento dei disturbi psicosomatici.

“Il divorzio è un lusso”

A confermare il panorama piuttosto cupo disegnato dal rapporto della Caritas è una serie di tre articoli dedicata da Il Fatto Quotidiano all’impatto del divorzio sui vari componenti della famiglia e firmata da Elisa Murgese.

“L’immagine dell’ex moglie arpia e arricchita è un falso luogo comune. La verità è che il divorzio è un lusso in Italia e non si può pensare che qualcuno ne esca arricchito”, così dichiara la presidente dell’associazione Mamme Papà separati, Eugenia Maifredi, nel primo articolo della serie, dedicata alle conseguenze del divorzio per le madri.

Infatti per quanto riguarda le donne, se hanno un lavoro guadagnano di norma comunque meno degli uomini e dipendono inoltre dal pagamento dell’assegno di mantenimento, che spesso non arriva. Come spiega Bruno Aiazzi, co-fondatore del gruppo di mutuo aiuto OneParent, “almeno il 50% delle nostre assistite non ricevono l’assegno di mantenimento dagli ex mariti”.

Ma non è che gli ex mariti nuotino nei soldi. Spesso finiscono infatti in una situazione di grave disagio economico, “fatta di perdita di lavoro, isolamento e panico”, scrive la Murgese nel suo secondo articolo. Al salvarli da ciò che Tiziana Franchi, presidente di Associazione padri separati, definisce un “turbine di impoverimento totale” è poi spesso “chiedere aiuto a mamma e papà se non addirittura tornare a vivere nella stanza dove si è cresciuti da ragazzi”.

Tra il mutuo che resta ancora da pagare sulla casa dove i figli rimangono a vivere con la madre, poi l’assegno di mantenimento e infine l’affitto di una nuova casa, “le spese per l’uomo diventano insostenibili”, sottolinea la Franchi, anche per il fatto che “gli assegni di mantenimento non si possono scaricare dalla dichiarazione dei redditi e la nuova abitazione del divorziato ha utenze maggiorate perché è spesso registrata come seconda casa”.

A peggiorare la situazione è anche la mancanza di collaborazione tra ex coniugi, che spesso si parlano solo “via mail o tramite avvocato”, spiega a sua volta la psicologa clinica e giuridica di Padri Separati, Chiara Soverini, un manco che del resto rischia anche di pesare gravemente sullo sviluppo e sul futuro della prole.

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