Nessuno si aspettava di trovare dietro un telo nero un capolavoro così prezioso …
Cosa sarà?
Un gruppo di persone viene invitato ad ammirare un’opera d’arte nascosta dietro un telo nero. Ciascuno, a turno, entra e si siede di fronte al misterioso capolavoro in attesa che cali il sipario.
Vang Gogh? Monet? Una fotografia meravigliosa?
L’attesa in silenzio viene interrotta dal fruscio del telo che scivola via, ed ecco ognuno si ritrova di fronte a uno specchio. Perciò di fronte a se stessi.
Qualcuno scoppia a ridere, altri si emozionano, due bambine si abbracciano, altri ancora si fanno seri.
È questa la sorpresa contenuta nel video del Festival francescano che s’intitola Tu sei bellezza.
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Ma come? Non è un gesto quotidiano quello di specchiarsi? Lo facciamo tutte le mattine e poi molte altre volte nel corso della giornata. Le donne tengono in borsa sempre la pochette dei trucchi.
È quanto mai vero che nell’uso quotidiano «specchiarsi» e «riflettere» pur essendo sinonimi sono verbi dal senso diversissimo e lontanissimo.
Uno, nessuno, centomila
È quanto mai vero che l’unica cosa che non vediamo allo specchio è il vero e unico soggetto: l’io. È lì ma ci sfugge. La superficie riflettente è perfetta eppure noi vediamo: labbra su cui mettere il rossetto giusto, rughe nuove sulla fronte, sopracciglia da definire, occhi rossi per la stanchezza.
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Il riflesso è tutto intero, ma ci percepiamo a pezzi come vedessimo un dipinto cubista.
Il capolavoro di Pirandello intitolato Uno, nessuno, centomila, comincia proprio col signor Vitangelo Moscarda che una mattina, davanti allo specchio, nota un dettaglio del suo naso a cui non aveva mai fatto caso e che precipiterà in confusione la sua intera identità. È la trappola della regina di Biancaneve: chi è la più bella del reame?. Quando manca un «disegno» complessivo sulla nostra persona, chiediamo alle piccole cose di consolarci; e perciò basta un dettaglio fuori posto del viso a sgretolare la nostra immagine in uno, nessuno, centomila insensati frammenti.
L’unico modo di riappropriarci del senso di tante cose scontate è quello di vederle come una sorpresa. Se gli ideatori del video avessero proposto alle persone di filmarle mentre la mattina si alzano e si guardano allo specchio, il risultato sarebbe stato molto diverso da quello che vediamo.
Se la proposta è «vuoi vedere un’opera d’arte?», ogni persona si aspetta qualcosa di altro da sé. E lo specchio fa proprio questo, anche se ce ne siamo dimenticati: non siamo capaci coi nostri soli occhi di vedere il nostro volto, ci occorre uno strumento che rifletta le nostre forme.
E questa è un’altra grande trovata del buon Dio; l’io è fatto per essere guardato in un rapporto e non in solitudine. Anche per vedere bene me stesso, devo guardarmi come quel altro riflesso nello specchio.
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Un prodigio ai Tuoi occhi
Ha ragione la ragazza che afferma: «Guardarsi con gli occhi degli altri è più semplice». È anche una sfida più profonda e avvincente. C’è un abisso tra il nostro modo solitario di ammirarci, truccarci, ammiccare e lo sguardo di Dio che dice di noi: sei un’opera d’arte. Fa riflettere.
Noi siamo innanzitutto riflesso di un progetto divino, dovremmo davvero cominciare ogni mattina specchiandoci … negli occhi di Dio.
Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio;
sono stupende le tue opere,
tu mi conosci fino in fondo.
Non ti erano nascoste le mie ossa
quando venivo formato nel segreto,
intessuto nelle profondità della terra.
Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi
e tutto era scritto nel tuo libro;
i miei giorni erano fissati,
quando ancora non ne esisteva uno. (Salmo 138)
Non siamo un’opera d’arte perché siamo perfetti ed esteticamente bellissimi.
È il pensiero di essere indispensabili nella nostra piccola unicità a riempirci di entusiasmo per queste nostre forme così particolari (carine, ridicole, storte, adunche), di cui Dio s’è innamorato ancor prima che fossimo. Lo specchio vero è Lui.
Lui rende il mio ritratto unitario, perché non insensato: a me possono risultare incerti i passi di ogni giornata, può esserci l’ombra dietro l’angolo, e molti inciampi che mi vedono connivente. Non so che forma avrò fra dieci anni, che tinte assumerà il profilo della mia anima. L’unica baldanza che rende ogni giorno un’avventura degna di essere vissuta è l’ipotesi che il Padre ha messo all’inizio, come fosse il muretto che dà la spinta iniziale al nuotatore: «Tu sei un prodigio».
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Se mi guardo da solo, finisco nella trappola della regina di Biancaneve: «Chi è la più bella del reame?». Se lascio che sia Dio a guardarmi per primo e a fidarmi di quel che lui vede in me, comincia una storia più esaltante in compagnia della domanda di Santa Teresa D’Avila: «Cosa vuoi fare di me, buon Signore?»