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Padre Samir: Migranti e islam, cosa deve fare l’Europa

MUSLIM,PRAYER,PROSTRATE
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Asia News - pubblicato il 04/08/18
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L’urgenza di una separazione fra politica e religione nell’islam. I casi di Egitto e Siria. La guerra in Iraq (e in Siria) è anzitutto una guerra intra-islamica. I Paesi europei devono spingere i Paesi islamici ad attuare l’uguaglianza tra tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro religione, e l’uguaglianza assoluta tra uomini e donne.Il Cairo (AsiaNews) – Ai migranti che giungono in Europa non bisogna dare solo un pane e il tetto, ma anche offrire il meglio della nostra cultura, testimoniare l’ideale cristiano della fratellanza. E a partire dalla scuola, educare al rispetto fra europei e migranti, ragazzi e ragazze, cristiani e non cristiani. È uno dei suggerimenti che p. Samir Khalil Samir offre in quest’intervista che mette a fuoco i problemi e le possibili soluzioni per una convivenza fra cristiani e musulmani, nel Paesi arabi e in Europa.

 

1. L’islam è una religione di pace?

Sì e no! Nel Corano, come nel comportamento di Maometto, troviamo sia un atteggiamento pacifico che un atteggiamento violento. Quando non aveva ancora potere, Maometto entrò alla Mecca in modo pacifico. Nella seconda fase della sua vita, a Medina, ha fatto la guerra e organizzato razzie. Questo corrispondeva alle usanze comuni in Arabia.

Da notare che la parola “razzia” (che ritroviamo in varie lingue occidentali), viene dalla parola araba “ghazwa”, che significa proprio “attacco guerriero”. La prima biografia musulmana di Maometto, scritta da Abū ‘Abdallāh Muḥammad ibn ʻUmar al-Wāqidī (747-823),  s’intitola Kitāb al-maghāzī, cioè “libro delle razzie”.

Dopo la sua morte, i musulmani hanno seguito il suo metodo e hanno conquistato con successo altri Paesi, anche se erano in minoranza numerica.

Poiché l’Islam è un progetto globale, sia religioso che sociale e politico, nelle nuove società conquistate, essenzialmente popolate da cristiani, i musulmani sono stati ansiosi di imporre i loro standard islamici, influenzati in modo pesante dalle tradizioni beduine.

 

2. I critici dicono che l’islam non è solo religione, ma anche ideologia politica. Ci può essere un islam apolitico?

L’Islam è un progetto sociale globale. All’inizio esso è stato un progetto religioso, lanciato da Muhammad, il quale ha spinto i suoi contemporanei ad abbandonare il culto delle varie divinità per riconoscere un unico Dio, Allāh. È chiaro che a quel tempo l’esistenza di Ebrei e Cristiani nella penisola arabica ha avuto un ruolo significativo in diverse regioni, facilitando questa evoluzione.

Ma l’Islam è anche un progetto sociale e politico: sociale, per conformarsi ai costumi beduini, con tutte le sue tradizioni e norme; politico, per unire la comunità grazie a un nuovo progetto unico, l’esistenza di un unico Dio onnipotente! Di conseguenza, il progetto islamico comprende sia le dimensioni religiose, sia quelle politiche. E questo è il grande e vero problema fino ad oggi!

Al presente, esistono alcuni Stati a maggioranza musulmana che fanno la distinzione tra religione e politica.  La Siria, per esempio, è un Paese musulmano al 90%, che ha però una costituzione laica, la quale fu redatta su richiesta del presidente Hafez al-Assad, nel 1973. L’autore è un cristiano ortodosso, Michel Aflaq, che aveva fondato nel 1947, con Salah al-Bittar, il partito Baath. Il presidente è sempre un musulmano, ma l’islam non è la religione di Stato. Ogni cittadino segue la sua religione, ma le norme della Costituzione valgono per tutti e si applicano a tutti: musulmani, cristiani, ebrei, atei… L’ideologia di fondo è caratterizzata dal panarabismo socialista, che pretende di essere secolare, e cerca di distinguere tra religione e politica.

Potremmo anche citare la Tunisia sotto Bourguiba, che, anche se musulmana, nel 1956 ha introdotto una certa laicità e soprattutto un’uguaglianza assoluta tra uomini e donne.

In entrambi i casi, l’influenza della presenza francese in questi due Paesi ha avuto un ruolo cruciale.

 

3. Politica e Chiesa in Europa come devono affrontare il mondo musulmano? Come può funzionare il dialogo?

Nei rapporti con tutti gli Stati, compresi i Paesi musulmani, si dovrebbero sempre applicare due principi fondamentali: l’uguaglianza tra tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro religione; l’uguaglianza assoluta tra uomini e donne. Questo è il fondamento della dignità umana.

Di conseguenza, non è possibile distinguere tra un musulmano, un cristiano, un ebreo, un indù o un non religioso o ateo. Tutti hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri verso lo Stato, davanti alla legge. Non ci sono privilegi o eccezioni. La costituzione tocca tutti i cittadini. Ugualmente, tutti gli articoli della costituzione valgono per uomini e donne, i quali hanno gli stessi diritti e gli stessi obblighi previsti dalla legge.

Gli Stati europei dovrebbero chiedere che questi due principi siano attualizzati ed applicati, nelle loro relazioni con tutti gli Stati musulmani, compresa l’Arabia Saudita. Va da sé che i Paesi che osano fare questo corrono il rischio di essere penalizzati, rispetto ad altri Paesi. È quindi importante che tale decisione venga presa congiuntamente da tutti i Paesi europei, per evitare disparità tra di loro.

Ciò presuppone, inoltre, che l’Unione Europea abbia istituito un comitato congiunto per monitorare l’applicazione della presente decisione, per evitare che questi principi siano solo affermati in teoria e non in pratica.

 

4. Cristiani nei Paesi islamici: in questi anni abbiamo assistito a casi spettacolari di violenza e terrore degli islamisti.

Questa è una realtà ovvia. Per definizione, gli islamisti sono musulmani estremisti, che si differenziano nettamente dagli altri musulmani per il loro fanatismo e l’ottusa interpretazione di certe tradizioni. Ciò porta a una palese ingiustizia verso i cristiani.

Sulla base di quanto ho detto prima, l’Europa deve insistere in modo sistematico sull’assoluta parità di trattamento tra musulmani, cristiani e altri. Perciò, non si può stabilire delle differenze di trattamento, né a causa della religione, né a causa del sesso, né per altri motivi!

Anche qui tutti gli Stati europei devono assumere una posizione comune ed esigente verso gli Stati musulmani.

 

5. L’Egitto è la sua patria. Vi sono discriminazioni verso i cristiani? Cosa fa il governo a favore della minoranza cristiana?

Le differenze di trattamento sono molto visibili, in particolare quando si tratta della costruzione di una chiesa per esempio, dove il permesso è spesso negato. Il che obbliga i cristiani a costruirle in modo nascosto… col rischio che vengano poi distrutte dai fanatici!

Il presidente Al-Sisi fa enormi sforzi: ha finanziato la costruzione della chiesa più grande del Medio Oriente, nella futura capitale amministrativa dell’Egitto, ad est del Cairo; ha celebrato l’inaugurazione di questa chiesa (non ancora finita) nel gennaio 2018 (festa del Natale del calendario copto)… Ma resta il fatto che più di 1.000 chiese (tra le oltre 6.000 presenti in Egitto), sono teoricamente illegali, perché sono state costruite senza i permessi necessari. Quindi sono costante bersaglio di attacchi da parte di estremisti islamici.

Per quanto riguarda la discriminazione nella vita di tutti i giorni, oggi è quasi impossibile per un cristiano ottenere una funzione importante in un ufficio amministrativo, nonostante i suoi meriti. In passato non era così. La situazione è peggiorata per il crescente numero di elementi estremisti fanatici. A questo livello, lo Stato è assolutamente senza difese.

 

6. In Siria, la lunga coesistenza pacifica delle religioni è stata scossa dagli anni della guerra civile. Riuscirà il Paese a riprendersi da questa lotta, che è anche quella tra musulmani e cristiani?

La situazione della Siria è molto diversa da quella dell’Egitto. In linea di principio, la vera secolarità dello Stato è messa in discussione da un conflitto interno al mondo musulmano. Dal 1973, lo Stato è nelle mani della famiglia Assad, che è alawita, una branca degli sciiti. Gli sciiti costituiscono circa il 15% della popolazione musulmana. I musulmani sunniti hanno lanciato la guerra contro questo Stato. Anche in Iraq il governo (dopo la caduta di Saddam Hussein) è nelle mani degli sciiti. Iraq e Siria gli unici Stati arabi in cui gli sciiti sono al potere.

L’Isis ha avuto origine in Iraq. Il suo nome significa “Stato islamico per l’Iraq e la Siria”. Quella a cui assistiamo è una guerra intra-islamica, tra sciiti e sunniti. È anche ampiamente finanziata dal più ricco Stato sunnita, ossia l’Arabia Saudita, che è ciecamente sostenuto dagli Stati Uniti e, in parte, da alcuni Paesi europei.

Questo spiega la coalizione americana ed europea contro la Siria e quindi il sostegno della Russia alla Siria. I morti sono tutti siriani, siano essi sunniti, alawiti o altri.

Il bombardamento di città, tra cui Damasco, Homs e Aleppo, ha colpito anche molti cristiani. Molti hanno dovuto fuggire e cercare rifugio dove potevano. L’Europa ha compiuto uno sforzo colossale per accoglierli, in particolare la Germania. Spesso i rifugiati erano musulmani, i cristiani sono caduti nell’oblio.

Al presente, il Paese si sta riprendendo con molta lentezza. I problemi sono lungi dall’essere risolti e il numero di migranti è di diversi milioni: nessuno sa se potranno mai tornare nel loro Paese.

Di nuovo, il fanatismo religioso – questa volta tra sette musulmane – ha completamente distrutto il Paese. E il problema fondamentale dell’islam riappare automaticamente, perché l’Islam è un progetto, sia politico che religioso.

 

7. Cosa fare per i cristiani in Medio Oriente, perché stiano bene e non emigrino?

I cristiani non sono la causa del loro problema. Lo è piuttosto una visione dall’islam, che stabilisce una discriminazione religiosa tra musulmani e gli altri. Per questo si tratta di agire presso i musulmani. Si tratta di cambiare il modo di pensare, dalla sfera religiosa a quella politica.

È un problema culturale, legato al concetto stesso di religione. Anche il cristianesimo ha conosciuto questa identificazione tra religione e politica, e ha dovuto lentamente liberarsene.

Questo è più difficile per i nostri fratelli musulmani, perché l’unità di religione e politica è completa sin dall’inizio. L’Europa potrebbe aiutare culturalmente il mondo musulmano, impostando condizioni chiare per l’utilizzo degli aiuti europei. Sarebbe un contributo molto apprezzato anche da tanti musulmani.

Un problema simile si può trovare nello Stato di Israele, dove Stato e religione si mescolano, fino a creare ingiustizie riguardo a chi non è ebreo (in particolare i musulmani). Questa posizione israeliana rafforza la posizione dei musulmani estremisti.

Queste dimensioni del problema non vengono prese sul serio dall’Europa.

 

8. L’integrazione dei musulmani nella società europea può avere successo?

Direi di sì e ciò avviene attraverso l’educazione e la pratica. Anzitutto nella scuola. Qui, il futuro si sta preparando trattando ragazzi e ragazze con lo stesso rispetto, europei di origine e migranti, cristiani e non cristiani, allo stesso modo, e così via.

Poi, nella vita quotidiana, trattare tutti allo stesso modo, con più comprensione per qualcuno che è appena arrivato, con tutti i requisiti del Paese: non solo nelle cose visibili, ma anche nella vita privata, nei comportamento tra uomini e donne, tra ragazzi e ragazze, tra musulmani e non musulmani, nell’educazione scolastica come nella vita sociale e nelle leggi.

In breve, si tratta di educare la mentalità degli immigrati, per il meglio. Ma anche nella speranza che lo insegnino anche a coloro che sono rimasti nei loro Paesi d’origine, oppure coloro che un giorno ci torneranno.

L’aiuto materiale per i migranti – il pane, il tetto – non è sufficiente. È molto, ma non è abbastanza! L’emigrato deve anche ottenere un aiuto culturale, ricevendo anche la testimonianza di una dimensione spirituale, l’ideale europeo e cristiano, la fratellanza universale. Dare all’altro, chiunque esso sia, il meglio che abbiamo, in particolare la vera, assoluta e universale fratellanza, come ci ha insegnato il Vangelo!

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA “ASIANEWS”

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