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Così Don Tonino Bello educava i suoi seminaristi ad una vocazione sincera

DON TONINO BELLO
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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 25/07/18
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Sapevate che il vescovo beato è stato un formatore molto attento per tanti sacerdoti?

L’educatore di coloro che, come lui, avevano avuto il sentore di una chiamata particolare; una chiamata di dedizione a Cristo, alla Chiesa.

In quanti conoscono questo volto da “pedagogo” di Don Tonino Bello? Sicuramente non molti. Eppure Don Tonino è stato un padre buono per molti seminaristi, come racconta monsignor Vito Angiuli in “Ha scritto t’amo” sulla roccia” (edizioni San Paolo).

Da Ugento a Bologna

Spesso, ricorda Angiuli, si tralascia di ricordare che don Tonino ha vissuto circa vent’anni della sua vita a servizio del Seminario di Ugento.

Se a questo periodo si sommano gli anni della formazione seminaristica (Ugento, Molfetta e Bologna) e il tempo del ministero episcopale a Molfetta, durante il quale era uno dei componenti della Commissione della Conferenza episcopale pugliese incaricata di seguire l’andamento del Seminario regionale, si deve concludere che don Tonino ha vissuto gran parte della vita a servizio della formazione seminaristica come educatore, accompagnatore e responsabile vocazionale.


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Esperienza scuola di vita

C’è un motivo che spinge Don Tonino ad essere così attento alle vocazioni. Pur continuando a studiare con grande passione per tutta la vita, non era la scrivania (o la cattedra) la fonte della sua ispirazione e della sua riflessione, ma la storia e gli incontri con le persone. Imparava dalla vita, non solo dai libri. Si lasciava illuminare dagli avvenimenti e dai fatti.

Era questo modo di agire e pensare che il vescovo beato voleva trasmettere ai suoi allievi.

La bellezza della chiamata di Dio

Ecco perché è stata forte l’attenzione e la cura di don Tonino per la pastorale vocazionale, non solo nei numerosi anni del suo impegno in seminario, prima come alunno e poi come formatore, ma anche e soprattutto nella passione da lui continuamente nutrita per la bellezza di ogni esistenza vissuta in risposta a una chiamata di Dio, illuminata dalla grazia del Signore e sostenuta dal Suo amore fedele.


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Innamorato della propria vocazione, don Tonino non ha mai fatto mistero di viverla in maniera radiosa, annunciando con l’eloquenza della vita la gioia di un cammino intessuto di opere e giorni totalmente spesi per la causa di Dio in questo mondo, e dunque per la salvezza degli uomini

“Luce di fede e di carità”

Scrive monsignor Bruno Forte, per riassumere questo aspetto inedito di Don Tonino:

«Formatosi alla scuola del Concilio, don Tonino è stato formatore e appassionato curatore di vocazioni con l’impegno di tutto se stesso: innamorato della sua vocazione, sapeva fare innamorare gli altri della chiamata di Dio, mettendo ali alla sua vita quotidiana, sapendo leggere nei cuori, irradiando luce di fede e di carità con la sua semplice presenza, curando i rapporti personali senza mai massificare le relazioni, costruendo ponti di dialogo e di misericordia, ispirandosi sempre all’i- deale della perfetta letizia».



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“Gesti semplici e sublimi”

E un suo ex allievo Antonio Scarascia, ricordando la sua partecipazione ad un convegno su Don Tonino (settembre 2004), evidenziava:

«Mentre i relatori si avvicendavano sul palco, illustrando la figura di don Tonino a tutto tondo – il suo impegno per la pace, il pensiero e la teologia del pastore, l’assillo per l’emancipazione dei poveri, le raffinatezze del suo linguaggio profetico, la dimensione universalistica del suo messaggio – mentre ascoltavamo tutto questo, ci veniva naturale osservare che nessuna delle relazioni dava conto, neppure brevemente, dell’esperienza vissuta nel seminario, e non una parola veniva dedicata all’entusiasmo con il quale don Tonino visse quella stagione, alla sua innata attitudine a sorridere e a scherzare che noi sperimentammo e che caratterizzò il rapporto privato con la mamma Maria, con Trifone, Marcello e gli amici di Alessano e Tricase. Stava accadendo che l’attenzione agli scritti, alla parola e ai gesti del vescovo non solo lasciava sullo sfondo tratti importanti della sua personalità, ma finiva per trascurare del tutto la prima parte del suo ministero, avara di scritti e di pubblicazioni, ma ricca anch’essa di gesti semplici e sublimi, e stava accadendo, di conseguenza, che biografi ed esegeti pensassero a quella stagione come a uno spazio minore della sua vita, una parentesi priva di particolare interesse, tanto da poterla mettere da parte e quasi dimenticare».


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